lunedì, Marzo 18, 2024
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La contraffazione: la tutela del “Made in Italy” e il sistema “Traceability & Fashion”

La contraffazione: la tutela del “Made in Italy” e il sistema “Traceability & Fashion”

A cura di Avv. Martina Cergnai

L’Italia risulta tra i primi dieci paesi al mondo nel settore dell’export.[1]

In un paese come il nostro, dove è proprio l’export (insieme al settore manifatturiero) a giocare un ruolo preminente nella formazione del PIL nazionale, esiste uno stretto legame tra crescita economica e proprietà intellettuale.

Ma cosa si intende per proprietà intellettuale?

L’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale la definisce come “un diritto sulle creazioni della mente”[2] e può essere suddivisa essenzialmente in due categorie:

  • quella della “proprietà industriale”, che mira a salvaguardare marchi, brevetti, modelli e disegni contro le condotte di contraffazione e falsificazione;
  • quella del “diritto d’autore”, quale protezione dei titoli originari o connessi alle opere dell’ingegno di carattere creativo (opere letterarie, artistiche, musicali, ecc.) [3].

Da un punto di vista normativo, la tutela della proprietà intellettuale trova una propria disciplina specifica nel Codice della Proprietà Industriale (D. Lgs. n. 30/2005), nella legge n. 633/41 per la protezione del diritto d’autore e anche nel codice penale[4].

Vi sono poi delle norme che disciplinano la protezione del “Made in Italy”[5], ovvero l’indicazione di provenienza che indica l’origine di un bene e la “sicurezza dei prodotti”[6], ossia di corrispondenza delle caratteristiche dei beni rispetto agli standard imposti dal legislatore europeo.

L’Italia ha anche un altro (triste) primato: risulta infatti al primo posto nella classifica mondiale dei paesi più esposti al fenomeno della contraffazione[7], una condotta penalmente rilevante[8] che consiste essenzialmente nella riproduzione non autorizzata di un bene e della sua relativa commercializzazione, in violazione del diritto di proprietà intellettuale e/o industriale (marchi d’impresa e altri segni distintivi, brevetti, modelli di utilità, design industriale)[9] che protegge appunto un determinato tipo di prodotto.

Il mondo del Fashion è chiaramente trai i settori più colpiti dalla contraffazione, con stime che quantificano danni al settore per circa 5,2 miliardi[10] euro all’anno e tra le forme più comuni di contraffazione rientrano quelle relative al c.d. “made in Italy” e all’ “Italian sounding”.

L’origine e la provenienza dei prodotti sono infatti naturalmente collegate alla qualità dei prodotti, risulta pertanto più “appetibile” abbinare indebitamente l’etichetta “italiana” a merci di origine/provenienza diversa, stante l’insito valore riconosciuto alle filiere produttive nazionali[11] .

Al fenomeno sopra indicato si aggiunge poi il c.d. Italian sounding – un tipo di imitazione molto diffuso all’estero e riguardante numerosi prodotti dell’eccellenza nazionale – che consiste nella produzione e distribuzione di beni che, con nomi, colori, immagini e simboli richiamano l’italianità dei prodotti.

Il sistema “TF – Traceability & Fashion”

In risposta ai fenomeni summenzionati Unionfiliere – organismo costituito per coordinare gli interventi per la riqualificazione e la promozione delle filiere del Made in Italy[12]– ha ideato e sviluppato un sistema di tracciabilità, denominato“TFashion”, che ha lo scopo di garantire l’origine e la sicurezza dei propri prodotti.

Questo sistema, ideato su base volontaria, è dedicato a tutte le imprese italiane che – oltre a voler garantire l’origine e la sicurezza dei propri prodotti – vogliono distinguersi dai competitors sul fronte della trasparenza verso il consumatore finale, della responsabilità nei confronti dei propri fornitori, dell’autenticità del prodotto realizzato e della eticità dei comportamenti adottati.

Per poter accedere al sistema di tracciabilità le imprese devono essere in grado di dimostrare il Paese dove sono avvenute tutte le fasi di lavorazione del prodotto ed accettare di sottoporsi a specifici controlli, svolti da organismi di certificazione terzi e indipendenti, destinati a verificare la rispondenza ai requisiti previsti in appositi disciplinari di tracciabilità.

Ogni impresa che aderisce al sistema “TF” è in grado di fornire informazioni aggiuntive al consumatore relative, ad esempio, alla qualità dei tessuti utilizzati, al rispetto di requisiti di salute e di sicurezza delle lavorazioni, all’affidabilità aziendale[13].

Le aziende che aderiscono al sistema di tracciabilità volontario, superando i controlli previsti, possono applicare ai propri prodotti finiti una specifica etichetta, un vero e proprio “passaporto”, in grado di qualificare il singolo prodotto in relazione ai diversi parametri previsti dallo schema di certificazione, accettando di fornire al consumatore una informazione quanto più chiara ed esauriente circa le caratteristiche intrinseche e la “storia” del prodotto stesso.

Fino ad ora il progetto ha riscosso un certo successo e sono moltissime le aziende italiane che hanno aderito al progetto TFashion certificando i propri prodotti e processi e favorendo la creazione di filiere sempre più integrate tra clienti, fornitori e subfornitori[14].

Questo testimonia quanto la tracciabilità volontaria stia diventando, sempre più, uno strumento accettato e diffuso tra quelle imprese che, consapevoli dell’eccellenza delle proprie produzioni, scommettono sulla “trasparenza” per raggiungere nuove e più vaste fette di mercato, in Italia e all’estero[15].

In conclusione, con lo sviluppo di questo sistema di tracciabilità volontario “TF – Traceability & Fashion”, ad oggi rivolto essenzialmente alle imprese della filiera del settore del Fashion (tessile, abbigliamento, calzature, pelletteria ecc…), le Camere di Commercio Italiane hanno avviato una stagione di forti investimenti, economici e “culturali” con l’obiettivo di promuovere presso le imprese la diffusione della tracciabilità volontaria quale strategia per qualificare e differenziare le produzioni, migliorare la competitività e rafforzare i propri rapporti entro la filiera[16].

[1] Ministero dello sviluppo economico, Bollettino n. 4 del 2016, Tavola 8 – Quote di mercato delle principali aree e paesi sulle esportazioni mondiali di merci

[2] Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale

[3] Lotta alla contraffazione e tutela del made in Italy DOCUMENTO DI ANALISI N. 5, Senato della Repubblica

[4] Titolo VII del Libro II del Codice penale “Delitti contro la fede pubblica” (articoli 473 e seguenti) e, in parte, nel successivo Titolo VIII “Delitti contro l’economia” (articoli 514 e seguenti).

[5] Il perimetro di tutela fa anzitutto riferimento ai contenuti del regolamento (UE) n. 952/2013 del 9 ottobre 2013, recante “Codice doganale comunitario” nonché a normativa di fonte interna oggetto di ripetuti interventi di modifica ed integrazione.

[6] Da questo punto di vista, la disciplina di riferimento è contenuta, essenzialmente, nel decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, “Codice del Consumo”.

[7] Dati OCSE https://www.oecd.org/apropositodi/

[8] Articolo 473 Codice Penale – Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni

[9] Lotta alla contraffazione e tutela del made in Italy DOCUMENTO DI ANALISI N. 5, Senato della Repubblica, pag.12.

[10] Report Confindustria Moda

[11] Lotta alla contraffazione e tutela del made in Italy DOCUMENTO DI ANALISI N. 5, Senato della Repubblica, pag.13

[12] https://www.tfashion.camcom.it/P42A0C0S160/Il-sistema-di-tracciabilita.htm

[13] cfr. nota 12

[14] cfr. nota 11

[15] cfr. nota 11

[16] Lotta alla contraffazione e tutela del made in Italy DOCUMENTO DI ANALISI N. 5, Senato della Repubblica, pag.14

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