martedì, Ottobre 8, 2024
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Il caso Catalogna alla Corte EDU: inammissibile il ricorso dei parlamentari indipendentisti

È trascorso ormai più di un anno e mezzo dal referendum del 1° Ottobre del 2017, con il quale gli elettori della comunità autonoma catalana furono chiamati a decidere sulla secessione della Comunità autonoma della Catalogna dallo Stato spagnolo. Nonostante le enormi difficoltà dovute ai disordini e la sospensione della ley 19/2017, relativa al referendum de autodeterminación da parte del Tribunal Constitucional del 7 settembre 2017, nell’ambito del giudizio di costituzionalità della stessa legge[1], la consultazione si tenne e da essa emerse una maggioranza dei “sì”, ovvero di voti favorevoli all’indipendenza della Catalogna.

L’inizio (tentato) del processo costituente catalano

All’indomani del referendum, il 4 ottobre 2017, due gruppi parlamentari indipendentisti, rappresentanti il 56,3% dei seggi (Junts pel Sì e Candidatura d’Unitat Popular- Crida Constituent) richiesero all’Ufficio di Presidenza del Parlamento catalano la convocazione di una seduta plenaria del parlamento catalano per il 9 ottobre 2017, affinché il presidente della Generalitat, all’epoca Carles Puigdemont, potesse rendere conto dei risultati della consultazione, conformemente a quanto previsto dall’articolo 4 della sospesa ley 19/2017.

Tale legge, in particolare, prevedeva: “se la conta dei voti validamente espressi dà come risultato che vi sono più [voti] affermativi che negativi, ciò comporta l’indipendenza della Catalogna. A tal fine, il Parlamento della Catalogna, nei due giorni seguenti alla proclamazione del risultato da parte della Sindacatura Electoral, celebrerà una seduta ordinaria per effettuare la dichiarazione formale di indipendenza della Catalogna, i suoi effetti e concordare la data di inizio del processo costituente”.

L’Ufficio di Presidenza del Parlamento catalano, nonostante ciò contrastasse evidentemente con la sospensione delle leggi 19/2017 e 20/2017 da parte del Tribunal Constitucional, accettò la richiesta dei parlamentari, e la seduta plenaria fu programmata per il 9 ottobre alle 10.00.

Il recurso de amparo dei parlamentari di minoranza al Tribunal Constitucional

Fu a quel punto che sedici parlamentari presentarono un recurso de amparo (ricorso di tutela, con il quale il cittadino spagnolo può adire direttamente la Corte Costituzionale in caso di lesione di diritti costituzionalmente garantiti) al Tribunal Constitucional, affinché sospendesse in via cautelare la seduta plenaria, allegando che la sua convocazione violava il loro diritto di esercitare le loro funzioni pubbliche e ricordando come la celebrazione di tale seduta sarebbe stata contraria alla sospensione delle leggi 19/2017 e 20/2017.

Il giorno seguente, il 5 ottobre 2017, la Corte Costituzionale spagnola dichiarò ammissibile il ricorso dei sedici parlamentari e sospese in via provvisoria la seduta plenaria. Il 26 Aprile 2018, il Tribunal Constitucional accolse il ricorso, affermando che la decisione dell’Ufficio di Presidenza del Parlamento violava la sospensione citate leggi 19/2017 e 20/2017, impediva ai parlamentari di esercitare le proprie funzioni in conformità con l’articolo 23 della Costituzione spagnola e violava indirettamente il diritto dei cittadini a partecipare agli affari pubblici attraverso i loro rappresentanti.

Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani

Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani fu presentato l’11 Ottobre 2017 da 76 cittadini spagnoli, ex-parlamentari della Comunità autonoma della Catalogna, residenti a Barcellona[2].

I ricorrenti lamentavano che la sospensione della seduta plenaria aveva comportato la violazione dei loro diritti sanciti dagli articoli 10 e 11 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (libertà di espressione e libertà di associazione), nonché dell’articolo 3 del Protocollo n.1 (diritto a libere elezioni) e dell’articolo 6 della Convenzione (diritto a un equo processo).

Preliminarmente, la Corte ha ritenuto opportuno chiarire la posizione dei ricorrenti, per stabilire se essi agissero in quanto rappresentanti del Parlamento catalano, e dunque come “organizzazione governativa” o come semplice gruppo di individui. Considerando che i diritti e le libertà invocate sono attribuibili esclusivamente ad individui e non al Parlamento, la Corte ha stabilito che i 76 ricorrenti non potessero che agire in quanto “gruppo di individui”.

Sulle doglianze in merito agli articoli 10 e 11 della Convenzione

In merito alla presunta violazione degli articoli 10 e 11 della Convenzione, la Corte specifica che i due articoli risultano particolarmente connessi, in quanto il primo appare quasi un presupposto del secondo. Nella fattispecie in esame, inoltre, l’articolo 11, deve necessariamente considerarsi alla luce dell’articolo 10, in quanto la “riunione” di cui i ricorrenti lamentavano l’illecita sospensione, aveva per oggetto l’espressione di opinioni personali[3]. Così, nell’ottica della Corte, l’articolo 10, che sancisce la libertà di espressione, si atteggia a lex generalis, mentre l’articolo 11, riguardante la libertà di associazione e di riunione, andrebbe visto come lex specialis[4]. Considerata tale connessione e il fatto che i ricorrenti lamentano unicamente la sospensione della plenaria del 9 ottobre 2017, la Corte ha ritenuto opportuno esaminare la domanda unicamente alla luce dell’articolo 11.

Considerando la libertà di associazione e di riunione un diritto fondamentale in una società democratica, la Corte precisa che il concetto di “riunione” va inteso nel senso più ampio possibile, includendo riunioni sia private che pubbliche, tra le quali rientra dunque l’assemblea plenaria del parlamento. Tuttavia, le garanzie previste dall’articolo 11 incontrano dei limiti desumibili dal suo stesso testo, in particolare dal suo secondo comma (“L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”).

Come si legge nel testo dell’articolo, dunque, l’esercizio delle libertà di cui all’art. 11 può essere sottoposto a restrizioni “previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza”.

Nel caso in esame, la sospensione della seduta plenaria da parte del Tribunal Constitucional era giustificata, secondo la Corte, dalla necessità di garantire l’effettività delle proprie decisioni (in questo caso, la sospensione della ley 19/2017, avvenuta il 7 settembre 2017), e che pertanto essa appariva necessaria in una società democratica.

Tale limitazione appare altresì prevista per legge, in quanto l’art. 56 della Ley Organica del Tribunal Constitucional prevede la possibilità di adottare tutte le misure preventive e decisioni provvisorie volte a garantire che il recurso de amparo non veda disattesa la sua finalità.

 La Corte, infine, ha ritenuto legittima la sospensione a causa delle “pressanti necessità sociali”, in ragione delle esigenze di sicurezza pubblica e per proteggere “i diritti e le libertà degli altri”[5] nonché il diritto dei parlamentari di minoranza di esercitare le loro funzioni.

Sulle doglianze in merito all’articolo 3 del Protocollo n°1

Quanto all’allegata violazione dell’art. 3 del Protocollo n°1, che sancisce il diritto a libere elezioni, i ricorrenti sostenevano che la sospensione della seduta avesse violato il diritto del popolo alla libera espressione del proprio parere nella scelta dell’“organo legislativo[6].  In merito a tale doglianza, la Corte nella sua precedente giurisprudenza aveva talvolta affermato che anche nel caso in cui attraverso un referendum gli elettori fossero chiamati a pronunciarsi sull’elezione di un organo legislativo, esso non ricadeva nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 del Protocollo n°1[7], in considerazione del fatto che ogni Stato membro organizza tali procedimenti con la sua propria visione democratica, non aveva escluso la possibilità che una consultazione referendaria rientrasse nella sfera di applicazione della citata norma.

Tuttavia, conclude la Corte, affinché l’applicazione dell’articolo 3 sia possibile, il procedimento deve aver avuto luogo “in condizioni che garantiscano la libera espressione del popolo sull’elezione dell’organo amministrativo”. Considerando che la convocazione della plenaria era stata operata dall’Ufficio di Presidenza del Parlamento catalano ignorando la decisione del Tribunal Constitucional di sospendere la ley 19/2017, tali condizioni non possono dirsi soddisfatte nel caso in esame. Pertanto la Corte ha dichiarato inammissibile tale motivo di ricorso.

Sulle doglianze in merito all’articolo 6 della Convenzione

Infine, i ricorrenti hanno invocato l’articolo 6 della Convenzione, sostenendo che il loro diritto a un equo processo fosse stato violato, in quanto né essi né il Parlamento avevano avuto accesso a un organo giurisdizionale a cui rivolgere le proprie doglianze.

Tale asserzione non è stata provata e pertanto tale motivo di ricorso è stato rigettato in quanto manifestamente infondato. Ad ogni modo, fa notare la Corte, il Parlament de Catalunya ha partecipato al procedimento de amparo dinanzi al Tribunal Constitucional.

Per questo motivo e per quelli sopracitati la Corte, all’unanimità, ha dichiarato il ricorso inammissibile, disattendendo le aspettative degli istanti e legittimando pienamente, anche dal punto di vista del diritto internazionale, l’azione del Tribunal Constitucional.

 

[1] Recurso de inconstitucionalidad n.º 4334-2017, contra la Ley del Parlamento de Cataluña 19/2017, de 6 de septiembre, del Referéndum de Autodeterminación,   https://www.boe.es/boe/dias/2017/09/08/pdfs/BOE-A-2017-10287.pdf

[2] Forcadell i Lluis e Altri c. Spagna, n. 75147/17, decisione del 28 maggio 2019.

[3]Così la Corte nelle sue considerazioni preliminari in merito agli elementi di diritto alla base della decisione, a pagina 8 della sentenza sopracitata.

[4] Vedi Ezelin c. Francia, 26 aprile 1991.

[5] Forcadell i Lluis e Altri c. Spagna, p. 10.

[6] Sulla nozione di organo legislativo la Corte aveva avuto già modo di pronunciarsi in Py c. Francia, n° 66289/01, Mathieu – Mohin e Clerfayt c. Francia e Matthews c. Regno Unito, n. 24833/94. Questa va interpretata a seconda dell’assetto costituzionale dello Stato in questione, e non riguarda necessariamente il parlamento nazionale.

[7] Si veda, per esempio, Scoppola v. Italia, n. 126/05.

[8]  https://www.cde.ual.es/wp-content/uploads/2019/05/Decision-Forcadell-I-Lluis-and-Others-v.-Spain-decision-to-suspend-the-plenary-sitting-of-the-Parliament-of-the-Autonomous-Community-of-Catalonia-1.pdf

[9] Disposition&blobheadername2=Grupo&blobheadervalue1=attachment%3B+filename%3DDecisión_asunto_Forcadell_i_Lluis_y_otros_v._España.pdf&blobheadervalue2=Docs_TEDH

Rossella Russo

Nata nel 1995, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Accanto alla pratica forense in diritto civile e del lavoro, da sempre mi dedico allo studio del diritto internazionale ed eurounitario. Attualmente frequento il Corso di Perfezionamento in Diritto dell'Unione Europea a cura del professor Roberto Mastroianni.

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