mercoledì, Maggio 1, 2024
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L’occultamento di cadavere e gli altri delitti contro la pietà dei defunti

P: “Siri dove posso occultare il cadavere?”; S: “che posto stai cercando? Una palude? Una discarica? Una cisterna o una fonderia?”.

Pare essere stata questa la conversazione alquanto macabra che alcune testate giornalistiche[1] hanno riportato e che sarebbe intercorsa tra Pedro Bravo e il servizio di assistenza virtuale creato dalla Apple, avvenuta in Florida nel 2012. Pedro Bravo appunto, dopo aver ucciso Christian Aguilar avrebbe chiesto consigli a Siri su dove occultare il cadavere dell’amico, anche se – è bene precisare – altri organi di stampa smentiscono la notizia[2].  Tale reato, quello di occultamento di cadavere rientra tra i delitti contro la pietà dei defunti i quali sono regolati dal Titolo IV, Capo II del codice penale quindi dagli artt.407 ss.

Il Titolo IV è rubricato “dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti,” ma la dottrina più recente ritiene inaccettabile che un sentimento possa essere oggetto di tutela penale, richiedendo quindi un intervento legislativo che ridefinisca la fattispecie in termini di tutela della sanità pubblica. Prima, nel codice Zanardelli, tali delitti erano collocati nel Capo dedicato alla libertà dei culti in questo modo la tutela si estrinsecava nella libertà di venerare la memoria dei defunti non parlandosi ancora di sentimento.

Prima di esporre quelli che sono i caratteri peculiari dei reati oggetto di trattazione, è necessaria una piccola premessa esplicativa circa il significato di pietà dei defunti; secondo l’Enciclopedia giuridica i delitti contro la pietà dei defunti tutelano il sentimento, sia individuale sia collettivo, di rispetto verso i defunti e le cose mortuarie, punendo, tra l’altro: la violazione di sepolcro, il vilipendio, la distruzione e l’occultamento di cadavere.

La pietà, dal latino pietas, può essere definita come l’atteggiamento di amore, devozione sotto forma di qualsiasi venerazione per i morti e per i luoghi che si collegano al ricordo di questi ultimi.

L’art. 407 c.p. disciplina la violazione di sepolcro punendo con la reclusione da 1 a 5 anni chi si rende autore di tale reato; in relazione a tale delitto la giurisprudenza ha asserito che “In tema di violazione di sepolcro, la sussistenza del reato non è esclusa dalla circostanza che il sepolcro, la tomba o l’urna oggetto della violazione non si trovino in un cimitero consacrato, posto che la fattispecie di cui all’art. 407 c.p. tutela il sentimento della pietà verso i defunti, il quale è suscettibile di offesa a prescindere dalla situazione in cui si trova il luogo violato[3]. Vi è da precisare che non ogni alterazione però vale ad integrare l’elemento materiale del suddetto reato infatti sarà rilevante, ai fini dell’applicazione di tale norma, solo quella che lede l’interesse giuridico tutelato, ossia la pietas.

Gli artt. 408 e 410 c.p. regolano rispettivamente il vilipendio delle tombe e di cadavere; il reato di vilipendio può essere definito come la ricusazione di qualsiasi valore etico, sociale o politico all’entità contro cui è diretta la manifestazione, così da negarle ogni prestigio, rispetto e fiducia. La condotta a cui alludono le norme in esame è cosciente. La Corte in merito sostiene che “al fine della sussistenza dell’ipotesi aggravata del reato di vilipendio di cadavere è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di operare la mutilazione, nella cui condotta è insito il vilipendio; in tale occasione la Corte ha ulteriormente affermato, “che la punibilità va esclusa soltanto se si sia agito nel rispetto delle norme regolamentari ed in modo tale da non compiere sul feretro attività di manipolazione che tendano ad una modifica delle condizioni del cadavere[4].

L’art. 411 c.p. è invece rubricato “distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere” ed è riferito non solo al cadavere in sé ma anche alle sue ceneri; tali comportamenti non costituiscono reato qualora l’attività posta in essere sia stata autorizzata dall’ufficiale dello stato civile, in conformità a quella che è la volontà del defunto.

Secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione “possono essere ricondotti alla nozione di cadavere, oggetto materiale dell’art. 411 c.p., anche i resti umani consistenti nello scheletro o in parti di esso, purché si tratti di resti tutt’ora capaci di suscitare sentimento della pietà verso i defunti[5]”. In applicazione del principio su detto, la Corte ha escluso la configurabilità del reato ex art. 411 c.p. nella condotta di sottrazione di organi ovvero di parte di essi – quali cuore, polmone, fegato, reni, surreni, prostata, encefalo ed ipofisi – i quali, custoditi in un contenitore in soluzione di formalina, perché ritenuti inidonei a suscitare l’idea del corpo umano inanimato e, di conseguenza, il senso di pietà [6].

E’ questo appunto un reato comune e di natura plurioffensiva; comune in quanto può essere compiuto da chiunque e plurioffensivo in quanto può ledere più soggetti. Tale delitto ha effetti permanenti, e la sua consumazione può essere fatta risalire a quando il cadavere è stato collocato altrove, in modo da renderne impossibile o improbabile il ritrovamento.

Tre sono invece le azioni regolate dalla norma in esame: la distruzione, la soppressione e la sottrazione: la prima avviene quando il cadavere viene decomposto in modo tale che perda la sua forma e composizione originaria; la soppressione invece concerne il nascondere il cadavere – non è necessario che il nascondimento sia correlato a particolari accorgimenti essendo sufficiente la sistemazione del cadavere in modo tale da ritardarne il ritrovamento per un tempo apprezzabile-; ed infine la sottrazione, la quale implica il fatto di spostare da un luogo ad un altro il cadavere. Queste tre azioni si differenziano soprattutto per il fatto che se per la soppressione del cadavere vi deve essere temporaneità, per la distruzione e per la sottrazione vi deve essere necessariamente stabilità, in modo da assicurare, con alto grado di probabilità, la definitiva sottrazione del cadavere dalle ricerche altrui.

Secondo la recente giurisprudenza, “affinché sia integrato il reato di occultamento di cadavere non è necessario che la condotta sia posta in essere quando il corpo è già privo di vita, essendo invece sufficiente che l’agente, ragionevolmente ipotizzata l’imminente morte della vittima, depositi il suo corpo in modo tale da renderne non immediato il ritrovamento, ancorché la morte sopraggiunga – senza che vi sia stata una sostanziale modifica della situazione delle cose anteriormente al rinvenimento – in un momento successivo all’avvenuto abbandono” . In riferimento a tale reato, nel 2013 la Cassazione ha confermato la condanna per sottrazione di cadavere in capo ad un sindaco il quale aveva disposto in qualità di progettista e direttore dei lavori, la costruzione di una cappella sul luogo ove era già presente una tomba[7].

L’art. 412 c.p. regola l’occultamento di cadavere, punendo con la reclusione fino a 3 anni chiunque ponga in essere la suddetta condotta; la sua consumazione ha luogo nel momento e nel posto in cui si verifica l’occultamento. Parte della dottrina qualifica il reato di occultamente di cadavere come un reato ad effetti permanenti poiché l’evento si protrae nel tempo fino a quando la condotta antigiuridica ha luogo, mentre la giurisprudenza lo qualifica, alla pari della sottrazione, come un reato istantaneo ad effetti permanenti.

In chiusura del Capo II vi è l’art. 413 c.p. che regola l’uso illegittimo di cadavere, questa norma benché ambigua dal dato letterale, ha l’obiettivo di punire chiunque disseziona, adopera un cadavere o parti di esso, fuori dai casi per i quali la legge lo consente come nei casi di cadaveri utilizzati ai fini di studio in università predisposte a tali tecniche.

E’ inimmaginabile fin dove la mente umana sia capace di spingersi, prima nel commettere aberranti delitti e poi nella loro continuazione occultando ciò che è stato fatto.

[1]I. Betti per huffingtonpost.it (https://www.huffingtonpost.it/2014/08/13/siri-dove-posso-occultare-cadavere-risponde-_n_5674176.html); A. Strinati per Il Mattino (https://www.ilmattino.it/primopiano/esteri/pedro_bravo_omicidio_siri-542725.html)

[2] Indipendent Staff (https://www.independent.co.uk/life-style/gadgets-and-tech/siri-in-murder-trial-police-clarify-that-pedro-bravo-did-not-ask-iphone-assistant-for-advice-9668105.html); The Huffingtonpost UK Staff (https://www.huffingtonpost.co.uk/2014/08/13/siri-murder-pedro-bravo_n_5675023.html?guccounter=1)

[3] Cass. n. 34145/2003

[4] Cass. n. 16569/2007

[5] Cass. Penale, Sez. III, 25 giugno 2014, n.45444

[6] Cass. n. 45444/2014

[7] Cass. n. 1142/2017

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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