domenica, Novembre 10, 2024
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Gli Incoterms®: il favor della Convenzione di Vienna e degli ordinamenti di Common Law

La Convenzione di Vienna legittima il ricorso internazionale agli Incoterms®

La diversa diffusione delle ormai note clausole, impiegate a livello internazionale nelle contrattazioni di beni mobili – più propriamente note come Incoterms® – è diretta conseguenza delle radicate difformità sussistenti tra i sistemi di common e civil law. È oramai inconfutabile che l’apparentemente trascurabile appartenenza ai suddetti ordinamenti costituisca, invece, quell’elemento – per eccellenza – dirimente nel diffondersi di quelle condotte caratterizzate da un sempre più abituale ricorso agli Incoterms®.

Ebbene, nell’intento di dimostrare la diretta correlazione sussistente tra la diffusione degli Incoterms® e la tipologia di sistemi giuridici in cui se ne riscontri un maggior ricorso, non ne possiamo trascurare la genesi. Del resto, seppur gli Incoterms® abbiano conosciuto compiuta formalizzazione e riconoscimento ufficiale solamente nel 1936, gli scambi commerciali internazionali sono sempre stati regolati attraverso l’impiego di formule universalmente conosciute, sin dai tempi più antichi. Una duplice indagine svolta dall’ ICC ebbe, infatti, cura di individuare le clausole maggiormente diffuse negli scambi tra Paesi commerciali diversi, adottando un campione che constava – già nel 1930 – di più di 30 stati, con inevitabili differenti ordinamenti giuridici ed il cui risultato è a noi noto tramite la prima pubblicazione degli Incoterms® nel 1935.

Tuttavia, se quindi la formalizzazione di queste clausole rappresenta il frutto dell’osservanza della prassi, sovente tra parti contrattuali di Paesi diversi, non possiamo che rinvenire, invece, nei tempi più recenti le ragioni della loro diversa velocità di diffusione. Una prima considerazione non può che indirizzare la nostra attenzione al panorama normativo internazionale dell’ultimo secolo. Si osservi, infatti, che i principi generali della vendita internazionale di beni mobili furono convenzionalmente disciplinati dalla Convenzione di Vienna del 1980[1],che svolse un ruolo determinante nel riconoscere l‘effettivo valore degli usi, ed indirettamente degli Incoterms®, tanto da annoverarli come valido parametro da considerare nell’ambito della formazione del contratto[2] , della valutazione della conformità dei beni alle pretese vantate[3] nonché al fine di interpretare l’intenzione delle parti, laddove dubbia[4]. Non di meno, con una previsione che implicitamente inglobava le altre, annoverava che le parti fossero vincolate dagli usi ai quali avessero assentito.

Prevedere, inoltre, che l’agire delle parti andasse interpretato in maniera confacente agli usi notoriamente conosciuti nella prassi internazionale[5], sottintendendo che le parti vi avessero fatto ricorso, ammetteva implicitamente la legittima collocazione degli Incoterms® nel novero degli usi. Del resto, è proprio alla luce delle previsioni della Convenzione di Vienna che l’orientamento maggioritario della giurisprudenza e della dottrina internazionale propendeva nel senso di riconoscere piena efficacia agli Incoterms®.

Sulla scorta di quanto considerato, parte della dottrina non mancò di attribuire “un’efficacia quasi normativa agli usi del commercio internazionale”. Allo stesso tempo, anche la giurisprudenza dell’Unione Europea sembrò indirizzarsi nella stessa direzione, riconoscendo agli usi internazionali, tra cui gli Incoterms®, l’eguale valore di tutti i termini e le ulteriori clausole impiegate nel contratto di vendita internazionale, seppur limitatamente all’identificazione del luogo effettivamente stabilito dalle parti per la consegna dei beni[6].

Pertanto, la chiara considerazione di cui gli usi godano nella Convenzione di Vienna, essendo considerati alla stregua di una normativa direttamente applicabile al contratto, permise di stemperare, con favorevole epilogo, l’acceso dibattito inerente la possibilità di considerare gli Incoterms® alla stregua di regole oggettive consuetudinarie, consentendo ormai pacificamente, di far novero degli Incoterms® tra gli “usi” , nell’accezione impiegata dalla Convenzione.

Gli Incoterms® nei sistemi giuridici di common law

Ormai già nota[7] l’impostazione Italiana che solo di recente, con diffidenza ed estrema cautela, sembra aver mostrato posizioni di maggiore apertura al riconoscimento degli Incoterms®, si mostrano di estremo interesse la differenti circostanze che hanno invece favorito il diffuso ricorso agli Incoterms® nei Paesi di common law.

Ebbene, al riguardo, accertata l’indubbia funzione assolta dalla Convenzione di Vienna ai fini del riconoscimento degli Incoterms®, risultano opportune talune premesse. Si osservi innanzitutto che l’operare della Convenzione risulti subordinato alla circostanza che i Paesi in cui risiedano le parti contrattuali l’abbiano ratificata. Al contrario, gli Incoterms®, in quanto “formalizzazione di usi” cui le parti erano già solite ricorrere prima ancora dell’ingente lavoro svolto dall’ICC, non sono subordinati ad alcun requisito ai fini della loro applicabilità. In che modo, quindi, soprattutto nei Paesi di common law che non abbiano ratificato la Convenzione, si giustifica ugualmente il diffuso ricorso agli Incoterms®? Nel delineare un quadro esaustivo non possiamo esimerci dal considerare le realtà giuridiche, rispettivamente degli Stati Uniti d’America – Paese ratificatore della Convenzione – e dell’Inghilterra – grande assente nel novero dei paesi aderenti.

Tuttavia, prima di addentrarci nelle specificità dell’analisi, si menzioni la residuale ipotesi in cui la contrattazione internazionale avvenga tra un Paese ratificatore ed uno non ratificatore. Nel caso di specie, laddove prevalga l’applicazione della legge del paese ratificatore, la Convenzione potrà conoscere applicazione, nel contratto in oggetto, anche se non ratificata da entrambi in quanto fonte di diritto per il paese, per la cui legge si sia optato.

Il caso del Regno Unito

Volgendo lo sguardo alla realtà britannica, il grande successo conosciuto dagli Incoterms® si giustifica in considerazione del ruolo svolto dalle consuetudini nel sistema delle fonti di diritto inglese. La peculiarità degna di nota risiede nella circostanza che le consuetudini siano applicabili alla stregua di regole di diritto laddove risultino di lunga tradizione e quindi consolidate, ragionevoli e logiche ed infine, dal contenuto certo ed a lungo osservato.

Ebbene, gli Incoterms® – generalmente riconosciuti come usanze commerciali – sembrerebbero essere applicabili, pur in assenza della mancata ratifica della Convenzione, nella misura in cui siano considerati anch’essi una forma di consuetudine. Si badi, infatti, che più diffuso risulti il riferimento agli Incoterms® in uno specifico ambito commerciale ovvero in una data regione, più convincente sembrerebbe l’argomentazione che questo riferimento integri una consolidata abitudine ovvero una tradizione che debba essere seguita. Alternativamente, anche solo il contenuto di uno specifico Incoterm® potrebbe essere considerato come una consuetudine.

Ebbene, accogliere questa tesi – dai più sostenuta – significherebbe che, anche in assenza di un esplicito accordo delle parti, i suddetti terms avrebbero gli effetti di una regola di diritto. Pertanto, attesa la natura riconosciuta alla consuetudine, come fonte di diritto, gli Incoterms®, in quanto usi commerciali consolidatisi sin dal XIX secolo, sembrerebbero realmente considerati alla stregua delle consuetudini (“trade customs” )[8], con conseguente ed effettivo riconoscimento dello stesso valore delle regole di diritto.

Non di meno, il panorama di generale accettazione dei suddetti temrs non sembra mutare neanche alla luce della codificazione positiva. Le stesse disposizioni del Sale of Goods Act[9], rimettendo la determinazione contrattuale all’effettiva volontà delle parti e quindi alla loro libera contrattazione, non forniscono previsioni tendenzialmente inderogabili. Si noti, infatti, che anche laddove il Sale of Goods Act[10] preveda che l’effetto traslativo della proprietà si perfezioni al momento della conclusione del contratto, subordini l’efficacia della norma alla circostanza che le parti non abbiano inteso trasferire diversamente la proprietà. Del resto, anche in tema di trasferimento del rischio, il Sale of Goods Act[11], pur subordinandone l’effetto traslativo al momento del trasferimento della proprietà, ne ammette una disciplina derogativa conforme all’eventuale diversa pattuizione delle parti. È questo il caso, per lo più, delle vendite internazionali, in cui l’impiego dei terms commerciali, implicando specifiche previsioni in tema di tempo e luogo della consegna, derogano le previsioni comuni in tema di trasferimento del rischio.

Pertanto, la peculiarità del sistema britannico sembrerebbe proprio risiedere nel riconoscere piena efficacia alla pattuizione delle parti e quindi natura vincolante alle previsioni di ciascun Incoterm®, laddove le parti vi abbiano fatto ricorso. Si assiste quindi alla piena derogabilità delle norme scritte in virtù della quale il principio di autonomia contrattuale gode di massimo riconoscimento.

Il caso degli Stati Uniti

Oltreoceano, la realtà giuridica degli Stati Uniti d’America si mostra di altrettanto interesse. Dai tratti antitetici rispetto all’orientamento giurisprudenziale italiano, la dottrina e la giurisprudenza statunitense convengono nel riconoscere piena efficacia agli Incoterms®.

Del resto, la stessa Corte Federale d’Appello degli Stati Uniti non ha mancato di accertare che, seppur le previsioni degli Incoterms® non operino autonomamente, le parti possano sempre farvi ricorso in forza dell’articolo 9 della Convenzione di Vienna, con conseguente riconoscimento della piena efficacia delle relative previsioni. Laddove, al contrario, le parti non ne avessero pattuito il ricorso, la Corte riconobbe loro – in forza del medesimo articolo 9 – la diversa funzione di regole interpretative delle pattuizioni contrattuali in ragione della loro estrinseca natura di usi invalsi nella prassi commerciale.

Anche in questo caso, il fondamento dell’apertura giurisprudenziale sembra risiedere nell’estrema flessibilità delle disposizioni normative. Nel caso di specie, lo Uniform Commercial Code[12], nel disciplinare il contrattato di vendita, pur prevedendo la generica obbligazione di trasferire la proprietà, omette alcuna più puntuale previsione, mancando di ogni riferimento al momento in cui l’acquirente divenga proprietario dei beni. È, pertanto, evidente l’intento di rimettere alla libera determinazione delle parti l’individuazione del momento ovvero della circostanza la cui ricorrenza comporti il perfezionamento dell’effetto traslativo della proprietà.

Il quadro giuridico così delineato consente, quindi, di affermare che la struttura degli Incoterms® – incentrando l’intera disciplina attorno al trasferimento del rischio, senza curarsi di come e quando, nei singoli ordinamenti, sia previsto il trasferimento della proprietà – non collida con l’organizzazione del diritto statunitense nella misura in cui anch’esso rimandi l’intera previsione alla libera pattuizione delle parti. Del resto, la stessa logica della completa derogabilità delle disposizioni normative è altresì sottesa alle disposizioni in tema di trasferimento del rischio[13]. Il commentario allo Uniform Commercial Code ha, infatti, cura di specificare che, al riguardo, una diversa pattuizione delle parti possa manifestarsi attraverso il ricorso ad appositi “trade terms” ovvero a quelle strutturate condizioni commerciali in forza delle quali comporre l’intero impianto dell’elaborato contrattuale, tra cui, appunto, gli Incoterms®.

Ebbene, la derogabilità delle previsioni concernenti il trasferimento del rischio e la riconosciuta libertà delle parti di individuare il momento traslativo della proprietà rappresenta ciò che ha favorito il diffuso ricorso agli Incoterms® nei sistemi giuridici d’Inghilterra e Stati Uniti, senza che, in alcun modo, se ne mettesse in dubbio la legittima efficacia delle relative previsioni. Al contrario, ed inevitabilmente, l’inderogabilità delle stesse disposizioni nell’ordinamento giuridico italiano costituisce quel vulnus normativo che ne ha ostacolato il medesimo riconoscimento d’efficacia.

[1] La Convenzione è stata ratificata dall’Italia nel 1985 ed è in vigore dal 1988.

[2] La funzione in oggetto è assolta dall’art 18 paragrafo 3 della Convenzione : “Se, tuttavia, in virtù dell’offerta, degli usi o consuetudini che si sono stabiliti fra le parti il destinatario dell’offerta può indicare che acconsente, compiendo un atto attinente, ad esempio, alla spedizione delle merci o al pagamento dei prezzi, senza darne comunicazione all’autore dell’offerta, l’accettazione avrà effetto nel momento in cui questo atto è compiuto, purché lo sia entro i termini previsti dal precedente paragrafo”.

[3]Il riferimento è all’articolo 35 paragrafo 2, punto primo, della convenzione: “Salvo che le parti non convengano altrimenti, le merci sono conformi al contratto solo se sono atte agli usi ai quali servirebbero abitualmente merci dello stesso genere”.

[4] L’art 8 paragrafo 3 prevede che “Al fine di stabilire l’intenzione di una parte o ciò che avrebbe inteso una persona ragionevole, si dovrà tener conto delle circostanze pertinenti, in particolare dei negoziati eventualmente intercorsi fra le parti, delle consuetudini fra di esse stabilitesi, degli usi e di ogni loro successivo comportamento”.

[5] Ci riferiamo all’articolo 9 della Convenzione.

[6] Per una spiegazione più dettagliata, si veda l’articolo “Gli Incoterms®: il riconoscimento internazionale e la diffidenza della giurisprudenza italiana”, pubblicato nella medesima rivista.

[7] Per una completa trattazione, al riguardo, si rinvia all’articolo “Gli Incoterms®: il riconoscimento internazionale e la diffidenza della giurisprudenza italiana”, pubblicato nella medesima rivista.

[8] Risultano, infatti, definiti come “trade custom” ovvero “costum of trade” anche nella guida pubblicata dalla Camera di Commercio di Parigi per l’utilizzo degli Incoterms® (Si veda “ICC Guide to Incoterms®”).

[9] Il Sale of Goods Act disciplina il diritto contrattuale e commerciale inglese.

[10] Ci si riferisce alle sezioni 16 e 17 del Sale of Goods Act.

[11] In questo caso il riferimento è alla sezione 20.

[12] Lo Uniform Commercial Code è uno dei numerosi Act adottati nell’intento di armonizzare le leggi sulla vendita e le altre transazioni commerciali tra gli Stati d’America.

[13] Ci si riferisce alle previsioni del paragrafo 2, art 509 dello Uniform Commercial Code.

Immagine a cura di Alessandra MUTO; Ig: @iamalemu.

Annamaria Iandoli

La Dott.ssa Annamaria Iandoli si laurea con lode presso l'università di Roma "LUISS Guido Carli". Animata da un forte interesse per le materie civilistiche, attualmente svolge la pratica forense presso l'Avvocatura Capitolina di Roma- Settore Patrimonio ed è tirocinante presso le sezioni civili della Suprema Corte di Cassazione.

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