Incesto, un tabù vecchio come il mondo
L’incesto, è uno di quei reati che si ascrivono in una più ampia categoria o per meglio dire in un ambito, quello della famiglia, che il diritto così come il legislatore hanno bene a cuore. La famiglia non ha una nozione univoca in quanto più che prendere in considerazione il concetto che questa porta con sé, il termine rimanda a degli specifici rapporti parentali di cui questa si compone; da qui la rilevanza dell’incesto.
L’incesto è disciplinato dall’art. 564 c.p. e comunemente viene individuato come la relazione che intercorre tra due persone appartenenti ad una medesima “famiglia”, quindi con un medesimo sangue; la nozione penalistica dell’incesto però non è così tanto lineare:
“chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da due o otto anni nel caso di relazione incestuosa. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l’incesto è commesso da persona maggiore d’età con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne. La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della responsabilità genitoriale”.
Dalla lettura della norma, non appare subito chiaro cosa questa miri a tutelare, qual è il bene giuridico che protegge; tanto è vero che questo risulta essere molto discusso in dottrina. Quest’ultima pare seguire tre orientamenti diversi: il primo parla di prole come bene giuridico tutelato, in quanto è scientificamente provato che l’unione tra due consanguinei potrebbe, con elevato grado di probabilità, generare un figlio con gravi problematiche salutari arrecandogli quindi un danno consapevolmente. Altra parte della dottrina ritiene che l’art. 564 c.p. abbia ad oggetto l’eticità della famiglia, quindi l’idea morale che non possa esserci un rapporto sessuale tra due consanguinei. Il terzo orientamento dottrinale infine, sostiene che sia proprio la moralità pubblica ad essere oggetto di tutela, cioè il fatto che la famiglia si atteggi in conformità alla sensibilità pubblica.
A porre fine a tale dibattito, è intervenuta la Corte Costituzionale che nel 2000 ha statuito che l’art. 564 c.p. offre protezione alla famiglia, così come testimoniato dalla collocazione nel Titolo XI del libro II del codice penale “Dei delitti contro la famiglia”, e non nell’abrogato Titolo X, “Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”. Più precisamente, continua la Corte, “in corrispondenza a un ethos le cui radici si perdono lontano nel tempo, mira ad escludere i rapporti sessuali tra componenti della famiglia diversi dai coniugi: un’esclusione determinata dall’intento di evitare perturbazioni della vita familiare e di aprire alla più vasta società la formazione di strutture di natura familiare[1]”.
Il reato di incesto è classificabile come reato proprio in quanto i soggetti di diritto a cui la norma fa riferimento sono tassativamente elencati nel testo dell’art. 564 c.p., e sono appunto il discendente, l’ascendente, l’affine in linea retta, la sorella o il fratello; ricomprendendo anche di conseguenza i genitori e i figli adottivi nei casi di adozione piena, così come i figli naturali e quelli legittimi, essendo ormai per l’ordinamento equiparati. Ecco perché la definizione popolare di incesto non è così rispondente a ciò che il codice ci mostra.
Poiché l’incesto non trova una definizione manualistica a 360 gradi, la condotta penalmente rilevante non è di conseguenza chiara. Secondo parte della dottrina potrebbe parlarsi di incesto solo qualora vi fosse la consumazione completa di un rapporto sessuale tra le categorie sopra elencate; mentre per altra parte questo non sarebbe necessario, andando a rilevare soltanto la condotta amorosa che appaia manifestazione di desiderio sessuale[2].
In realtà ciò che rileva ai fini della punibilità dell’incesto come elemento imprescindibile è il pubblico scandalo: “il pubblico scandalo costituisce una condizione obiettiva di punibilità dell’incesto, indipendente dalla volontà dei colpevoli. Volontario deve essere il modo con cui è commesso l’incesto, e cioè il comportamento, anche incauto, dei soggetti dal quale deve derivare, con nesso di causalità, il pubblico scandalo. I colpevoli devono, pertanto, contenersi in modo che il loro fatto sia palese, con la possibilità di essere appreso da un numero indeterminato di persone che possono, che possono anche avere notizia dalle conseguenze dei turpi rapporti, collegate con altre circostanze indizianti al comportamento dei soggetti, come nell’ipotesi in cui la gravidanza e ka filiazione siano state rese ostensibili e abbiano potuto essere univocamente apprese dal pubblico come conseguenza dei rapporti incestuosi”[3].
Seguendo la scia di questo remoto orientamento, la Cassazione nel 2014 ha tenuto a precisare che affinché la condotta incestuosa sia punibile dovrà aversi una situazione di turbamento sociale che non deve necessariamente derivare dall’ostentazione della relazione, essendo sufficiente anche un comportamento incauto che la renda pubblica”[4].
In realtà la qualificazione che ha assunto il pubblico scandalo non è dato certo infatti questa, per l’orientamento predominante della giurisprudenza, viene ad essere qualificata come condizione di punibilità del reato indipendentemente dalla volontà dei colpevoli, quindi prescindendo da un qualsiasi elemento soggettivo, questo anche in relazione all’oggetto giuridico che la norma tutela che, sempre secondo tale orientamento sarebbe il bene-famiglia; altra parte della giurisprudenza invece, ravvisando l’oggetto di tutela della norma nella moralità pubblica, qualifica il pubblico scandalo come elemento costitutivo della fattispecie, il che vuol dire che questo dovrà essere necessariamente coadiuvato da una componente soggettiva quale la voluntas dei due soggetti.
Il comma secondo dell’art. 564 c.p. fa riferimento alla pena applicata nel caso in cui tra le due parti vi sia una relazione incestuosa. Quello a cui il legislatore fa riferimento è quindi un comportamento reiterato, che si ripete nel tempo caratterizzato da abitualità; anche per questo aspetto bisogna fare una piccola riflessione circa la natura che il legislatore gli ha voluto assegnare: secondo parte della dottrina potrebbe essere qualificato come una figura autonoma di reato, in quanto la pena, così come appare dalla lettura del testo, è determinata indipendentemente; altra parte della dottrina invece qualifica il comma 2 un’aggravante del reato base di incesto, previsto al comma 1.
Sono tantissimi i casi di incesto nel mondo uno dei più recenti è la storia di Nick Cameron e Danielle Heaney i quali sono fratello e sorella, o meglio fratellastri avendo una stessa genitrice, ma padri diversi. Nonostante la stretta parentela, i due ragazzi si amano e sono anche andati a convivere nonostante la diffida nei loro confronti da parte dallo sceriffo del paese scozzese in cui vivono che, avvisato dalla famiglia dei ragazzi, li costrinse a non avere rapporti sessuali incestuosi, pena il carcere.
L’incesto sembra quasi essere un tabù nel mondo, una malattia di cui le persone stentano a parlare eppure, nella storia, ci sono precedenti illustri e accettati, come quello dei faraoni in Egitto, che si sposavano tra fratelli per conservare la purezza del sangue reale. Anche Cleopatra, era sorella del marito Tolomeo. Oggi l’incesto è considerato un crimine nella maggior parte del mondo, anche se ci sono alcuni Paesi, come Olanda, Spagna e Francia, dove tale relazione è legale, se consensuale; anche qui, però, la morale pubblica è ostile e condanna il rapporto fra consanguinei.
Al Centro Direzionale di Napoli nel 2016 c’è stato addirittura un convengo tenuto dall’Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza Campana il quale ha posto alla luce con dati alla mano gli elevati abusi interfamiliari con conseguente reato d’incesto, sottolineando come tale fenomeno sia consistente, trasversale e sommerso soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 6 e i 10 anni. La giurisprudenza infatti ci insegna che il reato di violenza carnale e quello di incesto possono concorrere tra loro in quanto “la congiunzione carnale con i soggetti indicati dall’art. 564 c.p. che dà luogo al reato di incesto, può essere sia consensuale che violenta. In tal secondo caso sussiste anche il reato di violenza sessuale“[5].
[1]Corte Cost., 21 novembre 2000, n. 518
[2]Paterniti in Compendio di Diritto Penale-Parte Speciale, Nel Diritto Editore 2017
[3]Cass. Pen., 24 giugno 1966, n. 1976
[4]Cass. Pen., Sez. III, 7 ottobre 2014, n. 53139
[5]Cass. Pen., 18 giugno 2008, n. 9109
Valeria D’Alessio è nata a Sorrento nel 1993.
Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt’oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento.
Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un’agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta.
È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell’arte.
Con il tempo ha imparato discretamente l’inglese e si dedica tutt’oggi allo studio del francese e dello spagnolo.
Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l’interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell’anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell’escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell’ergastolo ostativo.
Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense – come praticante avvocato abilitato – presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all’esercizio della professione Forense nell’Ottobre del 2020.
Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell’evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.