sabato, Aprile 20, 2024
Criminal & Compliance

La denuncia di crediti inesistenti e l’omessa dichiarazione dei beni nell’inventario

L’art. 220 L.F. sanziona il fallito che, al di fuori dei casi previsti dall’art. 216 L.F., nell’elenco nominativo dei suoi creditori , denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l’esistenza di altri beni nell’inventario ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli artt. 16 n. 3 e 49 L.F.

Con questa norma vengono disciplinati quattro diversi reati:

  1. La denuncia di creditori inesistenti;
  2. L’omessa dichiarazione di beni da comprendere nell’inventario;
  3. L’inosservanza dell’obbligo di depositare i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie (art. 19);
  4. L’inosservanza dell’obbligo di residenza e comparizione (art. 49).

Trattasi di reati avente natura post-fallimentare, potendo essere commessi solo dopo l’emissione della sentenza dichiarativa del fallimento. Sono, inoltre, reati propri, dal momento che possono essere commessi soltanto dall’imprenditore fallito ex art. 220 L.F. e dagli amministratori, dai direttori generali, dai liquidatori, dall’institore e dai soci illimitatamente responsabili di s.n.c. e di s.a.s. ai sensi degli artt. 222, 226 e 227 L.F.

In questo articolo verrà analizzato il primo dei reati summenzionati: la denuncia di crediti inesistenti.

Tale condotta si verifica quando il soggetto fallito indica dei creditori inesistenti nel relativo elenco nominativo.

Mediante tale elenco si intende fare riferimento al dettato dell’art. 14 L.F., per la precisione all’ «elenco nominativo dei creditori» con «l’indicazione dei rispettivi crediti» che l’imprenditore il quale chieda il proprio fallimento deve depositare presso la cancelleria del Tribunale.

Inoltre, un elenco con lo stesso contenuto e, di conseguenza, di pari rilevanza può essere presente a seguito di una sua spontanea compilazione da parte del fallito che, in seguito, procede a consegnarlo al curatore nell’ambito delle notizie che quest’ultimo deve raccogliere per poi redigere l’elenco dei creditori ex art. 89 L.F. In tale ultimo caso, si richiede che, al fine della rilevanza di detto elenco, tale indicazione da parte del fallito al curatore sia contenuta in un atto scritto[1].

Per quel che concerne la nozione di creditori inesistenti, si intende far riferimento a soggetti i quali, anche se esistenti, non sono titolari di diritti di credito verso l’impresa fallita.

In tale ambito, essendo tale nozione sovrapponibile a quella proposta dall’art. 216 L.F. in ambito di esposizione di passività inesistenti, risulta fondamentale indicare con certezza la linea di confine tra le due fattispecie.

Sul punto, si è rilevato che l’elemento discretivo tra di esse è dato dalla concreta finalità della condotta del soggetto attivo.

In particolar modo, se questa avviene con lo scopo di far ottenere un vantaggio patrimoniale al creditore fittizio o ad un terza persona a danno dei creditori del fallimento, si avrà il delitto di cui all’art. 216 L.F. Se, invece, la condotta è priva di tale ultimo elemento, allora ricorrerà il delitto in esame in questa sede[2].

Si concretizzerà questo reato nel caso in cui si indichi come creditore una persona inesistente non essendoci in una tale ipotesi alcuna chance che si verifichi un danno ai creditori[3].

Analogamente, se il fallito, nel chiedere il proprio fallimento e al fine di ottenerlo indichi un numero di creditori maggiore di quelli reali al solo fine di prospettare un cospicuo passivo e purché non voglia il pregiudizio creditorio[4].

Invece, nel caso in cui il creditore esista ed il motivo della condotta sia quello di fargli avere uno credito che non gli spetterebbe, ricorrerà allora il delitto di cui all’art. 216 L.F.

Relativamente a tale nozione, è stato specificato che l’espresso riferimento ai soli creditori inesistenti rende non configurabile questa fattispecie se il soggetto indicato sia effettivamente un creditore, ma per una somma inferiore a quella dichiarata dal fallito.

In tali casi non si verificherà il reato in esame; tuttavia, potrà verificarsi la fattispecie di cui all’art. 216, comma 1 n. 1 seconda parte L.F., dal momento che si tratta di una esposizione fittizia di passività con danno per la massa dei creditori e vantaggio per il creditore che insinua un credito superiore a quanto di sua spettanza.

Relativamente ai cd. crediti incerti, la loro indicazione non può determinare la sussistenza di questa fattispecie, essendo un dovere del fallito quello di comunicare anche tale tipologia di crediti, laddove non sia in grado di stabilirne l’attuale vigenza. L’elemento decisivo in queste ipotesi, ai fini dell’esclusione di una sua responsabilità, è che lo stesso indichi al curatore questa situazione di incertezza.

Per quanto concerne la consumazione del reato, secondo parte della dottrina questa si verificherebbe nel momento in cui avviene la falsa indicazione[5].

Secondo altra dottrina, invece, al momento della dichiarazione di fallimento[6].

L’omessa dichiarazione di beni nell’inventario

Tale fattispecie punisce il fallito il quale ometta di dichiarare l’esistenza di beni da ricomprendere all’interno dell’inventario.

Trattasi di una disposizione che è direttamente collegata al 3° comma dell’art. 87 L.F. nella parte in cui prevede che il curatore prima di chiudere l’inventario «invita il fallito o, se si tratta di società, gli amministratori a dichiarare se hanno notizia che esistono altre attività da comprendere nell’inventario, avvertendoli delle pene stabilite dall’art- 220 in caso di falsa o omessa dichiarazione».

L’obiettivo della norma è quello di evitare che, anche con un silenzio strumentale o in caso di mera colpa, venga cagionato un danno alla massa dei creditori mediante il distacco di alcuni beni dall’attivo[7].

Perché sussista questo delitto, dunque, è necessario che il soggetto attivo sia stato interpellato dal curatore fallimentare con le modalità indicate dall’art. 87 L.F. Trattasi di un presupposto del reato che non può sussistere finché non sia stato rivolto l’invito a dichiarare se esistono o meno altre attività da far ricomprendere all’interno dell’inventario[8]. Tale operazione non necessita di forme predeterminate e può anche avere carattere implicito[9].

Su tale punto, in particolare, si è scritto che è sufficiente che quando si procede all’inventario delle attività risulti dal primo verbale, anche in maniera implicita, che l’imputato sia stato posto nelle condizioni di fare dichiarazioni in merito ai beni posseduti, sia stato portato a conoscenza dell’obbligo di dire la verità e della discendente responsabilità penale e che, nonostante questo, abbia comunque tenuto un comportamento reticente[10].

In relazione ai rapporti tra la fattispecie in esame e quella di cui all’art. 216 L.F., si è indicato come ricorra l’ipotesi criminosa dell’omessa dichiarazione di beni, prevista dall’art. 220 L.F., nel caso in cui il fallito abbia semplicemente non fatto menzione dell’esistenza di un bene del proprio patrimonio.

Invece, sussiste il reato di bancarotta fraudolenta per occultamento nel caso in cui lo stesso svolga un’attività ulteriore, volta a celare l’esistenza del bene, nascondendolo materialmente oppure facendolo apparire, mediante il compimento di atti simulati, di proprietà altrui[11].

Il reato in esame può essere consumato sia con una condotta attiva che omissiva. In special modo, nel caso in cui la condotta consista nella consegna al curatore di una dichiarazione incompleta, tale sarà il momento in cui il reato sarà stato consumato.

Se, invece, la condotta abbia natura omissiva, non rispondendo il fallito all’interpello indirizzatogli dal curatore, allora la consumazione del reato si avrà alla scadenza del termine stabilito nell’interpello oppure, in mancanza, nel termine ragionevolmente implicito nello svolgimento della procedura[12].

 

 

[1] In tal senso, Bricchetti e Pistorelli.

[2] Cass. sez. V, 16.10.1972, Beccali, in Giust. Pen., 1973, II, 274.

[3] In tal senso, Giuliani e Ballestrino.

[4] Vedi nota n. 1.

[5] Ad esempio, tramite una vendita fittizia. Su tale argomento, cfr. Cass., sez. V, 10.5.1983 n. 7178 e Calzolari, in Riv. Pen., 1984, 89.

[6] Vedi nota n. 3.

[7] In tal senso cfr. Mangano, Disciplina penale del fallimento, p. 181.

[8] Giuliani-Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, p. 532.

[9] Cassazione 10.2.1964, Trequattrini, in Cass., pen. mass. Ann., 1964, 924.

[10] Vedi nota 2.

[11] In tal senso Nuvolone, Giuliani e Ballestrino.

[12] Pedrazzi, Galgano.

Dott. Giovanni Sorrentino

Giovanni Sorrentino è nato a Napoli nel 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti presso il Liceo Classico Jacopo Sannazaro, intraprende lo studio del diritto presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Nel dicembre del 2017 si è laureato discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il riciclaggio", relatore Sergio Moccia. Attualmente sta svolgendo la pratica forense presso lo Studio Legale Chianese. Nel 2012 ha ottenuto il First Certificate in English (FCE). Ha collaborato dal 2010 al 2014 con la testata sportiva online "Il Corriere del Napoli". È socio di ELSA (European Law Students' Association) dal 2015. Nel 2016 un suo articolo dal titolo "Terrore a Parigi: analisi e possibili risvolti" è stato pubblicato su ElSianer, testata online ufficiale di ELSA Italia. Nel 2017 è stato selezionato per prendere parte al Legal Research Group promosso da ELSA Napoli in Diritto Amministrativo (Academic Advisors i proff. Fiorenzo Liguori e Silvia Tuccillo) dal titolo "L'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato", con un contributo dal titolo "Il contratto di avvalimento". Grande appassionato di sport (ha giocato a tennis per dieci anni a livello agonistico) e di cinema, ama viaggiare ed entrare in contatto con nuove realtà. Email: giovanni.sorrentino@iusinitinere.it

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