mercoledì, Maggio 1, 2024
Diritto e Impresa

Lo schema ABI e la nullità della fideiussione omnibus

Numerose sono le pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimità sulla fideiussione omnibus.
La questione controversa ha origini risalenti e fonda le proprie radici nel format predisposto dall’ABI nel 2002, denominato “Condizioni generali di contratto per fideiussioni bancarie”, che si compone di tredici articoli. Nello specifico, tre clausole in esso contenute sono state oggetto di discussione dopo che con il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 la Banca D’Italia, che sino al 2006 svolgeva funzioni di Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia bancaria, le ha censurate dichiarandole nulle.
Si tratta della c.d. “clausola di reviviscenza”, in base alla quale “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi o per qualsiasi altro motivo” (art. 2 dello schema ABI); della “clausola di sopravvivenza” in virtù della quale si prevede la sopravvivenza della fideiussione nel caso in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, il debitore pertanto dovrà restituire le somme erogate in esecuzione del debito principale dichiarato nullo (art. 6 dello schema ABI); della “clausola di deroga”, mediante cui il debitore rinuncia al termine di decadenza disposto in suo favore dall’art. 1957, comma 1, c.c., ai sensi del quale la banca deve agire contro il debitore entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale (art. 8 dello schema ABI)[1].
Dal suddetto provvedimento si evince che “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90[2]. Tale articolo al comma 2, vieta “le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante” e, al comma 3, dispone che “Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”. In particolare, la lesione della concorrenza deriva dal fatto che le clausole dello schema ABI determinano uno squilibrio a svantaggio del garante del tutto ingiustificato. Sul punto nel provvedimento n. 55/2005, è stato precisato che a differenza della clausola “a prima richiesta”, la cui ratio è quella di garantire una particolare tutela del credito bancario, le altre clausole censurate non perseguono lo scopo di tale tutela ma potrebbero risultare anticoncorrenziali laddove inducessero a una completa uniformità dei comportamenti delle banche in senso ingiustificatamente sfavorevole alla clientela[3].
Ciò premesso, le banche, nonostante il provvedimento sopracitato, hanno continuato ad inserire nei contratti di fideiussione le clausole illecite, pertanto sono insorte diverse controversie attraverso le quali si è reso necessario valutare se la nullità rimanesse limitata a tali clausole o si estendesse all’intero contratto.
Secondo una parte della giurisprudenza, dalla violazione dell’art. 2 della Legge c.d. “Antitrust”, verificatasi “a monte” tramite la predisposizione e l’adozione di uno schema contrattuale restrittivo della concorrenza, deriva “a cascata” la nullità dei contratti stipulati “a valle” in conformità allo schema; atteso che questi rappresentano lo sbocco sul mercato dell’intesa illecita[4]. Difatti, anche se l’intesa è stata conclusa tra soggetti diversi da quelli che stipuleranno il contratto a valle “ha quale finalità unica ed esclusiva, quella di imporre in modo generale ed uniforme a tutti i contraenti le pattuizioni convenute tra le Banche, in tal modo ripercuotendosi inevitabilmente, quale effetto naturale, sui singoli contratti di garanzia[5].
Al contrario, a parere dell’orientamento maggioritario della giurisprudenza, dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese non può discendere “automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti[6]. A questo proposito, si presenta “maggiormente adeguato e congruo[7] il rimedio della nullità parziale. Trova infatti applicazione l’art. 1419 c.c., ai sensi del quale alla nullità di singole clausole del contratto consegue la nullità dell’intero contratto “se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”[8].
Una ulteriore questione, sottoposta all’attenzione della giurisprudenza, riguarda poi la possibilità di censurare i contratti stipulati anteriormente all’adozione da parte della Banca d’Italia del provvedimento n. 55/2005 che contengano le clausole dello schema ABI[9]. Sul punto l’orientamento appare unanime nel ritenere che la nullità si estende ai contratti stipulati prima dell’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente purché quella intesa sia stata realizzata prima del negozio viziato. In altri termini, posto che l’intesa anticoncorrenziale è stata definita nel 2002 i contratti conclusi prima di tale data, laddove contenenti una delle clausole dello schema ABI, devono considerarsi affetti da nullità.
Tale soluzione interpretativa è stata di recente ribadita dall’Ordinanza n. 25273 (Cass. 10 novembre 2020), la quale ha precisato che  “in riferimento ai contratti “a valle” dell’intesa si è ritenuto che l’accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, con stipulazione di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative), comprenda anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa illecita da parte dell’Autorità indipendente, preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato, a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”. Nel caso di specie, la Corte ha altresì ribadito che “il potere di rilievo officioso della nullità del contratto per violazione delle norme sulla concorrenza” spetta al giudice anche in sede di legittimità.

Fideiussione omnibus – nullità – Banca d’Italia – schema ABI – provvedimento n. 55/2005

[1] G. Stella, “Fideiussioni predisposte su modello uniforme ABI dichiarato parzialmente nullo dall’autorità garante della concorrenza: quali rimedi a favore del fideiussore?”, in Contratti, 2020, 4, 385.

[2]https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/avvisi-pub/tutela-concorrenza/provvedimenti/prov_55.pdf

[3] Cfr. par. 80 del Provvedimento della Banca d’Italia.

[4] Cass., SS. UU., sentenza n. 2207, 4 febbraio 2005 ; Corte d’Appello di Bari, sentenza n. 45, 15 gennaio 2020; Tribunale Brescia Sez. IV, 23/06/2020 in www.leggiditaliaprofessionale.it

[5] Tribunale Salerno Sez. I, sentenza 05/02/2020 www.gazzettaforense.com

[6] Cass. Sez. III, sentenza n. 9384, 11 giugno 2003; Cass. Sez. I, sentenza n. 3640, 13 febbraio 2009; Cass. Sez. I, sentenza n. 24044, 26 settembre 2019, Tribunale Monza Sez. I, sentenza 21 novembre 2019 in www.leggiditaliaprofessionale.it

[7] Tribunale Monza Sez. I, sentenza 21/11/2019 in www.leggiditaliaprofessionale.it.

[8] Sul punto si veda, Cass. civ. Sez. III, ordinanza n. 4175, 19 febbraio 202 in www.leggiditaliaprofessionale.it.

[9] Per maggiori approfondimenti, “Clausole ABI e nullità del contratto di fideiussione – le clausole ABI tra nullità assoluta e nullità parziale: un recente revirement”, in Giurisprudenza Italiana, 2020, 2, 358.

Federica Sorrentino

Classe '94, si è laureata con lode in giurisprudenza alla Federico II, nel dicembre 2018, redigendo la tesi in diritto dell'impresa, intitolata "La responsabilità degli amministratori di S.p.a. nei confronti dei terzi". Ha svolto diciotto mesi di pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli. È appassionata di diritto societario e diritto dei mercati finanziari. E-mail: federicasorrentino94@libero.it

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