Polizza sulla vita a favore degli eredi: l’ultima pronuncia delle sezioni unite
Sommario: 1. La controversia – 2. Il contratto di assicurazione sulla vita – 3. La clausola rituale riferita agli “eredi (legittimi e/o testamentari)”: le posizioni dottrinali e il contrasto di legittimità – 4. La sentenza n. 11421/2021 delle Sezioni Unite – 4.1 I principi di diritto enunciati
1. La controversia
Con sentenza n. 1124/2018, la Corte d’appello di Catania accoglieva il gravame formulato avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Caltagirone all’esito di procedimento sommario di cognizione. Per l’effetto condannava l’appellata Compagnia di Assicurazione e Riassicurazione a pagare in favore dell’attore la somma di € 254.283,42 (oltre interessi), a titolo di differenza tra l’importo già versatogli (ammontante ad € 169.552, 28) e quanto dovuto in forza delle polizze caso vita siglate dal fratello dell’appellante medesimo.
La vicenda decisa dalla Corte territoriale originava, difatti, dalla sottoscrizione di quattro contratti di assicurazione sulla vita, stipulati tra la predetta Compagnia assicurativa e il soggetto da ultimo menzionato.
Le indicate polizze recavano tutte la clausola “Beneficiari in caso di morte: eredi legittimi”, elemento che induceva la Compagnia assicurativa a suddividere – in quote uguali – l’indennizzo (dovuto in base alle polizze) tra i cinque eredi del defunto stipulante.
Ad avviso dei giudici catanesi detta operazione risultava erronea, attesa la necessità di riconoscere all’appellante non una quota pari a quella degli altri coeredi, bensì un quantum proporzionato alla quota a lui spettante in forza dell’aperta successione e della conseguente vocazione ereditaria; pertanto, all’attore veniva riconosciuto il diritto alla corresponsione della metà dell’indennizzo assicurativo, “in proporzione della sua quota ereditaria”.
Attraverso ricorso articolato in due motivi la Compagnia soccombente impugnava la statuizione dei giudici del gravame.
Con il primo motivo di ricorso, tra le altre doglianze, deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1920 e 1362 c.c., stante la circostanza per cui i vantaggi dell’assicurazione sulla vita a favore di terzi deriverebbero dalla polizza siglata e, quindi, da un acquisto svincolato dalle norme successorie.
Con il secondo motivo censurava la violazione e falsa applicazione di alcune disposizioni codicistiche in materia di interpretazione del contratto (artt. 1362, 1369 e 1371 c.c.), argomentando nel senso della indebita interpolazione del testo negoziale operata dalla Corte d’Appello e dei disagi derivanti dalla subordinazione della possibilità di liquidazione delle polizze alla definizione delle vicende successorie.
Rilevata la sussistenza di questione di diritto decisa in senso difforme in seno al Giudice nomofilattico, la Terza Sezione civile della Cassazione (con ordinanza interlocutoria n. 33195/2019) rimetteva il ricorso al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite.
2. Il contratto di assicurazione sulla vita
La figura contrattuale posta al centro della vicenda de qua è costituita dal contratto di assicurazione sulla vita. Siffatto tipo rinviene il proprio referente normativo generale nell’art. 1882 c.c.: “L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”. La nozione della polizza caso vita, delineata dalla parte seconda della disposizione citata, a sua volta collocata entro la Sezione I (“Disposizioni generali”) del Capo XX (“Dell’assicurazione”) del Titolo III (“Dei singoli contratti”) del Libro IV (“Delle obbligazioni”) del codice, rintraccia la propria puntuale disciplina di completamento negli artt. 1919 ss. c.c., strutturanti la Sezione III (“Dell’assicurazione sulla vita”).
Per quanto d’interesse ai fini del presente contributo, l’art. 1920, comma 1 c.c. apre un varco ordinamentale, legittimando l’ingresso del tipo contrattuale testé menzionato quale fonte regolatrice dei relativi rapporti giuridici tra consociati: “Ѐ valida l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo”.
In ordine alle possibili modulazioni del contratto in esame, siffatta polizza può essere siglata sia per il caso di morte dell’assicurato, sia per il caso di sopravvivenza dello stesso: è agevole l’intuizione per cui, nella prima ipotesi, l’assicuratore deve pagare l’indennità (sub specie di capitale o di rendita) al verificarsi dell’evento dedotto in contratto, costituito dalla morte del soggetto assicurato, mentre, nella seconda evenienza, l’obbligo dell’assicuratore sorge ad una precisa scadenza durante la vita dell’assicurato[1].
Uniformità di vedute pare registrarsi, poi, in merito alla sussumibilità del contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi nell’orizzonte strutturale e funzionale del contratto a favore di terzi (artt. 1411 ss. c.c.)[2].
Lungo un differente crinale, costituito dal rapporto tra assicurazione sulla vita e assicurazione contro i danni, occorre precisare la natura eterogenea delle fattispecie negoziali, di cui soltanto la seconda presenta natura indennitaria. Per converso, la polizza sulla vita ha natura previdenziale, essendo destinata a soccorrere patrimonialmente il paciscente assicurato ovvero la sua famiglia in caso di bisogno. Siffatta natura consente di comprendere perché la misura dell’assicurazione sia del tutto libera (non vigendo il principio indennitario). In virtù della natura previdenziale del contratto in esame, inoltre, le somme dovute dall’assicuratore non possono essere assoggettate ad azioni esecutive o cautelari, in tal modo rivelando una totale refrattarietà ai vincoli del pignoramento e del sequestro.
L’elemento caratterizzante i contratti assicurativi (per lo meno quelli assicurativi stricto sensu) va rinvenuto nella natura aleatoria degli stessi: dalle due tipologie definite ex art. 1882 c.c. affiora limpido l’elemento dello scambio tra una prestazione certa dell’assicurato (ossia il pagamento del premio) e una prestazione incerta (nell’an o nel quantum) dell’assicuratore (alea giuridica)[3].
Ad ogni modo – accedendo alla tesi del carattere aleatorio del generale tipo contrattuale in esame e, di conseguenza, accogliendo il precipitato logico della medesima natura anche della polizza sulla vita – l’alea di quest’ultima è da ravvisare nel momento della morte dell’assicurato, per definizione incerto ovvero nella sopravvivenza dello stesso ad una certa data (evento parimenti caratterizzato da ontologica incertezza)[4].
3. La clausola rituale riferita agli “eredi (legittimi e/o testamentari)”: le posizioni dottrinali e il contrasto di legittimità
Accade “sovente nella pratica degli affari”[5] che un contratto di assicurazione sulla vita indichi genericamente quali beneficiari dei relativi vantaggi gli “eredi (legittimi e/o testamentari)”.
In tal caso sono essenzialmente due le vexatae quaestiones che l’interprete è chiamato a fronteggiare. Il primo snodo argomentativo concerne l’individuazione dei soggetti che possono beneficiare dei vantaggi assicurativi (sostanzialmente dell’indennizzo dovuto dall’assicuratore): operazione problematica nel caso in cui costoro siano individuati per mezzo dell’espressione rituale e generica “legittimi eredi”. Il dibattito dottrinale reca traccia di un indirizzo prevalente, in conformità del quale gli “eredi” – indicati genericamente dall’assicurato quali beneficiari dei vantaggi assicurativi – devono essere identificati con coloro che rivestano detta qualità in virtù della delazione prevista dall’art. 457 c.c. Orbene, stando alla littera legis dell’art. 457, comma 1, parte prima c.c. – ai sensi del quale “L’eredità si devolve per legge o per testamento” – i soggetti beneficiari dell’indennizzo assicurativo saranno gli eredi legittimi o testamentari, a seconda che la successione del de cuius (assicurato) si apra in difetto o in presenza dell’atto di ultima volontà (art. 587 c.c.). Di conseguenza, risultando gli eredi identificati sulla base della sola delazione ereditaria, essi beneficeranno dell’indennizzo assicurativo a prescindere dalle vicende legate alla rinunzia o all’accettazione dell’eredità.
La giurisprudenza della Cassazione si è reiteratamente attestata su posizioni identiche, a partire da una prima statuizione, indicata sia nell’ordinanza interlocutoria sia nella pronuncia risolutiva delle Sezioni Unite. Invero, la Suprema Corte, con sentenza n. 9388 del 10 novembre 1994, affermò che gli “eredi”, indicati impersonalmente e genericamente come beneficiari dei vantaggi assicurativi, dovessero essere identificati accertando la qualità successoria degli interessati, attraverso i modi tipici della delazione ereditaria (testamentaria o legittima). Il Collegio di legittimità, con successiva pronuncia n. 4484 del 14 maggio 1996, sostenne che l’indicazione generica degli “eredi”, contenuta nella polizza sulla vita, consentisse di individuare tali soggetti per relationem nei chiamati all’eredità, essendo questo l’unico dato decisivo (nello stesso senso anche Cass., 23 marzo 2006, sentenza n. 6531). Anche la pronuncia di legittimità da cui si è originata la lesione interna all’orientamento prevalente (v. infra) concorda su questo punto specifico, altresì avallato da Cass., 21 dicembre 2016, sentenza n. 26606 e da Cass., 15 ottobre 2018, ordinanza n. 25635.
Alla prima questione così individuata si giustappone un secondo ganglio, sul quale si è imperniato il contrasto interno al Supremo Consesso e tale da richiedere la rimessione alle Sezioni Unite.
La soluzione della questione relativa all’an del beneficio (recte alla specificazione dei beneficiari effettivi) non ha impedito, infatti, il sorgere di difformità ermeneutiche che rinvengono il proprio polo nel quantum indennitario da riconoscere ai singoli eredi.
La querelle si reifica intorno ai criteri da seguire per l’apporzionamento delle quote, spettanti ai soggetti che lo stipulante-assicurato ha indicato come destinatari dell’indennizzo assicurativo. Le tesi in materia sono essenzialmente due e dalla loro condivisione derivano corollari caratterizzati da un profondo divario in termini di quantificazione dell’indennizzo spettante.
In virtù della tesi prevalente in dottrina, accolta anche dai Giudici di Piazza Cavour in diverse occasioni, la ripartizione dell’indennizzo dovuto da una compagnia assicurativa ai beneficiari di una polizza caso vita non potrebbe seguire i criteri di calcolo e assegnazione delle quote ereditarie strutturanti il sistema delle successioni legittime e testamentarie: “Quale che sia la forma della designazione degli «eredi» come beneficiari dei vantaggi dell’assicurazione, la conclamata natura inter vivos del diritto di credito loro attribuito, dovuta alla individuazione del contratto quale titolo costitutivo di esso, induce coerentemente gli stessi autori a negare l’operatività delle regole sulla comunione ereditaria, valevoli per i crediti del de cuius, come anche l’automatica ripartizione dell’indennizzo tra i coeredi in ragione delle rispettive quote”[6].
Il Supremo Consesso ha sposato l’argomento nella citata sentenza n. 9388/1994, affermando che – in mancanza di uno specifico criterio di riparto delle quote fra i beneficiari – le stesse devono presumersi uguali. Con sentenza n. 4484/1996 l’Organo di nomofilachia ha ribadito la circostanza per cui, in virtù della designazione contenuta nell’assicurazione sulla vita a favore di un terzo, quest’ultimo acquista direttamente un diritto proprio (e non iure successionis), dovendosi pertanto riconoscere al terzo una tutela di tipo contrattuale[7].
L’uniformità di posizioni dei Giudici di legittimità è stata incrinata da un intervento isolato (Cass. Sez. III, 29 settembre 2015, n. 19210)[8], tale da indurre la Terza Sezione Civile verso il sentiero dell’ordinanza interlocutoria.
La pronuncia de qua, ponendosi in aperta critica alle richiamate statuizioni degli anni ’90, ha collocato le stesse su una posizione distante dalla “corretta applicazione dei criteri ermeneutici della materia contrattuale”. Seguendo l’iter tracciato nel soprindicato arresto, si approda all’argomento logico-giuridico sulla cui scorta “secondo il senso letterale dell’espressione «erede» … (la stessa) non può che implicare un riferimento non solo al modo in cui tale qualità è stata acquisita e, quindi, alla fonte della successione, ma anche alla dimensione di tale acquisizione e, dunque, al valore della posizione ereditaria secondo quella fonte”.
L’impiego combinato di diversi e correlati criteri esegetici (letterale, basato sulla comune intenzione delle parti e teleologico) indurrebbe l’interprete ad affermare che la volontà contrattuale sarebbe quella di assegnare l’indennizzo assicurativo in proporzione della quota ereditaria del singolo erede.
Nello specifico, ancorandosi al criterio dell’interpretazione secondo la comune intenzione delle parti (art. 1362 c.c.), la volontà dell’assicurato sarebbe quella di beneficiare i propri eredi dei vantaggi assicurativi in una misura calibrata sulle quote ereditarie.
Allo stesso modo, anche il criterio dell’interpretazione teleologica – che la Cassazione desume interrogando “il buon senso dell’uomo comune” – porterebbe alla medesima conclusione. In caso contrario non sarebbe possibile capire per quale motivo l’assicurato (in alcuni casi) indichi come beneficiari gli eredi legittimi o testamentari; detta designazione comporterebbe, infatti, un riferimento alla devoluzione ereditaria sia in ordine all’individuazione degli eredi sia in ordine alla misura della loro successione[9].
4. La sentenza n. 11421/2021 delle Sezioni Unite
Con sentenza pubblicata in data 30 aprile 2021[10], la composizione più autorevole del Supremo Consesso ha risolto il contrasto pretorio, insorto in virtù della deviazione tracciata dal citato provvedimento della Cassazione n. 19210/2015.
Procedendo con ordine, il Collegio ha chiarito, anzitutto, il carattere pacifico della natura del diritto che il terzo, ricompreso nella categoria generica degli “eredi” individuati ai sensi dell’art. 1920 c.c., acquista: le sezioni semplici, difatti, convergono sulla natura iure proprio (e non iure successionis) dello stesso. In forza della fonte di siffatto acquisto – costituita dal contratto assicurativo (negozio inter vivos) e non dalla delazione o dall’accettazione ereditarie (vicende mortis causa) – il diritto entra a far parte del patrimonio del terzo beneficiario e non di quello del de cuius: pertanto il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione.
Né deve indurre in errore la circostanza che – solo al momento della morte dell’assicurato – si verifichi l’esecuzione della prestazione in favore dei beneficiari, sì come individuati nella polizza: il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi va correttamente qualificato come negozio inter vivos con effetti post mortem, “da cui discende l’effetto dell’immediato acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione”.
Invero, i Giudici di legittimità – al fine di chiarire l’ulteriore quesito relativo alla possibilità che una istituzione di erede ex testamento possa incidere sulla già avvenuta indicazione (ex contractu) degli “eredi” come beneficiari della polizza[11] – precisano che l’assegnazione a terzi del diritto contrattuale alla prestazione assicurativa e l’intenzione di disporre mortis causa delle proprie sostanze operano “su piani diversi”.
Digradando lungo tale erta e affrontando la questione di maggior rilievo, la citata statuizione dirada la foschia ermeneutica in subiecta materia nei seguenti termini: “la natura inter vivos del credito attribuito per contratto agli «eredi» designati quali beneficiari dei vantaggi dell’assicurazione esclude l’operatività riguardo ad esso delle regole sulla comunione ereditaria, valevoli per i crediti del de cuius, come anche l’automatica ripartizione dell’indennizzo tra i coeredi in ragione delle rispettive quote di spettanza dei beni caduti in successione”[12].
In prospettiva diametralmente opposta rispetto all’impalcatura logico-giuridica assemblata dalla sentenza n. 19210/2015, le Sezioni Unite tracciano un diverso solco argomentativo, segnalando come l’applicazione delle regole della successione legittima o testamentaria, al fine di perimetrare le quote indennitarie, costituisca una indebita “regola di completamento”, accogliendo la quale si aprirebbe una breccia per un’operazione integrativa del regolamento contrattuale (e non meramente e legittimamente interpretativa).
Pertanto, gli eredi dovrebbero essere qualificati recta via come creditori della prestazione assicurativa (gravante in capo all’assicuratore) in forza di una eadem causa obligandi, costituita proprio dal contratto. Trattandosi, dunque, di una obbligazione soggettivamente complessa, la prestazione divisibile (ossia l’indennizzo) si concretizzerà nell’attribuzione di una quota uguale a ciascuno dei beneficiari[13].
Una ulteriore e conclusiva questione, rilevante per la soluzione della scaturigine fattuale della pronuncia di legittimità, ha riguardato il dubbio relativo alla sorte della prestazione dovuta dall’assicuratore nel caso in cui il terzo beneficiario dovesse premorire al soggetto assicurato. La riconducibilità del tipo contrattuale in esame al genus del contratto a favore di terzi legittima una scelta ermeneutica tale da riconoscere spazio all’art. 1412, comma 2 c.c., ai sensi del quale: “La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente”.
In concreti termini applicativi, laddove il terzo (indicato nella polizza sulla vita come beneficiario del relativo indennizzo) dovesse morire prima del soggetto che detta polizza ha stipulato (l’assicurato), la titolarità dell’indennizzo si trasmetterebbe in capo agli eredi del terzo premorto[14]. Nondimeno, come agevolmente desumibile dal tenore letterale dell’art. 1412 c.c., siffatto meccanismo di trasmissibilità del diritto (ai vantaggi assicurativi) in capo agli eredi del terzo premorto opera esclusivamente laddove il contraente assicurato non abbia revocato il beneficio ovvero non abbia diversamente disposto per il caso di premorienza di uno dei beneficiari.
Per i motivi passati in rassegna, le Sezioni Unite cassano la pronuncia della Corte d’Appello di Catania, riconoscendo la debenza dell’indennizzo, spettante agli eredi del contraente assicurato, non in ragione dei criteri regolatori della successione legittima o testamentaria, ma sulla scorta degli ordinari criteri relativi ad una obbligazione soggettivamente complessa sul versante attivo (quote uguali da riconoscere alla pluralità di eredi-creditori).
4.1 I principi di diritto enunciati
1. “La designazione generica degli «eredi» come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in una delle forme previste dal secondo comma dell’art. 1920 c.c., comporta l’acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione da parte di coloro che, al momento della morte del contraente, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione indicata all’assicuratore per individuare i creditori della prestazione”;
2. “La designazione generica degli «eredi» come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso diverso, non comporta la ripartizione dell’indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della eadem causa obligandi, una quota uguale dell’indennizzo assicurativo”;
3. “Allorché uno dei beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione, se il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia disposto diversamente, deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest’ultimo”.
[1] Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XIX edizione aggiornata, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2019, pp. 1260 ss. L’A. pone altresì un accenno alle assicurazioni miste, segnatamente alle polizze c.d. linked, legate a prodotti finanziari e parimenti connotate dall’obbligo di pagamento dell’indennizzo (rendita o capitale) in caso di morte dell’assicurato o di sopravvivenza ad una certa data.
[2] Invero – sul piano strutturale – dottrina e giurisprudenza rintracciano un discrimen tra contratto a favore del terzo e contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo nella vicenda da cui origina l’acquisto del diritto: nel primo schema negoziale il terzo acquista il diritto per effetto della stipulazione del contratto; nel secondo tipo, invece, il terzo acquista il diritto all’indennizzo assicurativo per effetto della designazione fatta dallo stipulante-assicurato (cfr. F. GAZZONI, p. 1260; Cass. Civ., Sez. Un., 30 aprile 2021, n. 11421).
[3] Cfr. R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, I edizione, Itaedizioni, Torino 2019, pp. 1177 ss. c.c, in cui l’A. menziona il dibattito dottrinale tra fautori della natura aleatoria delle polizze assicurative e sostenitori dell’opposta tesi predicante la natura commutativa (e non aleatoria) delle stesse.
[4] A riprova di tale necessaria incertezza si può richiamare l’art. 1927 c.c., ai sensi del quale in caso di suicidio dell’assicurato, verificatosi prima del decorso di due anni dalla stipulazione del contratto, l’assicuratore non è tenuto al pagamento delle somme assicurate, salvo patto contrario.
[5] Cass. Civ., Sez. Un., 30 aprile 2021, sentenza n. 11421.
[6] Orientamento dottrinale richiamato dalle S.U. cit.
[7] Conformi anche Cass., Sez. Lav., 2 dicembre 2000, n. 15407; Cass., Sez. Un., 10 aprile 2002, n. 5119; Cass., Sez. II, 23 marzo 2006, n. 6531.
[8] Pur collocandosi al di fuori della linea di continuità pretoria, detta pronuncia ha comunque determinato l’adesione di parte della giurisprudenza di merito (tra cui proprio Corte d’Appello Catania, 18 maggio 2018, n. 1124).
[9] «In sostanza, “il dire che qualcuno è erede di un soggetto … secondo l’espressione letterale” dovrebbe “evocare tanto chi lo è quanto anche in che misura lo è”» (è questo un segmento del passaggio motivazionale seguito da Cass., sentenza n. 19210/2015 e ripercorso – ma non condiviso – dalle S.U., sentenza n. 11421/2021).
[10] Pronuncia consultata al seguente link: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20210430/snciv@sU0@a2021@n11421@tS.clean.pdf.
[11] La soluzione adottata è negativa: se il contraente assicurato – dopo aver indicato i propri “eredi” quali beneficiari della polizza – istituisce un altro erede per testamento, detta heredis institutio non rileva né come nuova designazione per attribuire la somma assicurata, né come revoca del beneficio già assegnato con la polizza (a meno che il testatore non manifesti una inequivoca volontà in tal senso).
[12] Le S.U. specificano altresì che la qualifica di eredi, assunta al momento della morte dello stipulante, colma la “lacuna” della determinazione generica dei beneficiari fatta dall’assicurato ed ha una “valenza meramente soggettiva”, non comportando l’applicazione tra i coeredi-concreditori delle norme sulla ripartizione dei crediti ereditari, ma sopperendo allo “scopo precipuo di fornire all’assicuratore un criterio univoco di individuazione del creditore della prestazione”.
[13] Resta ferma la libertà del contraente assicurato – all’atto della designazione degli eredi quali beneficiari dei vantaggi assicurativi – non solo di indicare gli stessi nominativamente, ma di stabilire altresì in quali misure l’indennizzo debba essere ripartito tra loro.
[14] Con la precisazione di non poco momento per cui, mentre il diritto all’indennizzo assicurativo è stato acquistato iure proprio dal terzo beneficiario, gli eredi di quest’ultimo lo acquisterebbero iure hereditatis (siccome tale diritto è penetrato nel patrimonio del de cuius e non in quello degli eredi).
Dottore magistrale in Giurisprudenza, nato nel 1993.
Dopo il conseguimento della maturità classica presso l’Istituto “F. De Sanctis” di Sant’Angelo dei Lombardi, decide di proseguire gli studi presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli “Federico II”.
Nel mese di ottobre del 2018 consegue il diploma di laurea con votazione finale di 110 e lode (media ponderata del 29/30), discutendo una tesi in Filosofia del diritto, intitolata “Una rilettura filosofico-giuridica dell’Antigone di Sofocle“, sotto la guida del Prof. Fabio Ciaramelli. L’argomento prescelto per l’elaborato conclusivo gli permette di portare a sintesi (nel limitato orizzonte redazionale della tesi stessa) i percorsi formativi seguiti e la passione per il diritto e la letteratura.
Nel mese di settembre 2020 conclude il periodo di tirocinio formativo e di pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, conseguendo i relativi titoli necessari per l’accesso all’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense e per la partecipazione al concorso in magistratura.
Ha seguito corsi di formazione in vista del concorso pubblico da ultimo menzionato.
Ѐ iscritto nel registro dei praticanti avvocati dell’Ordine degli Avvocati di Avellino.
Collabora con l’area di Diritto Civile della rivista giuridica Ius in itinere dal mese di aprile 2021.
E-mail: francesco.zoppi12@gmail.com
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