giovedì, Marzo 28, 2024
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Street art e diritto d’autore: il caso Banksy

Banksy è lo pseudonimo utilizzato da quello che, ad oggi, è uno dei più famosi street artists e writers viventi. Iniziata la sua “carriera” sui muri della città di Bristol, l’autore ha sempre realizzato opere a sfondo satirico riguardanti la politica, la cultura e l’etica, raggiungendo una tale notorietà da fare sì che, nel corso di un’asta di Sotheby’s a Londra, il suo quadro “Ragazza con Palloncino” sia stato aggiudicato per oltre un milione di sterline (anche se, completata la vendita, per una velleità dell’artista l’opera si è autodistrutta in tante striscioline, ovviamente per la gioia dell’acquirente). Ciò posto, è bene precisare che, nonostante il fatto che l’autore abbia più volte, tramite le sue stesse opere, espresso la sua avversità rispetto a cose come il copyright, in effetti i diritti inerenti queste ultime vengono tutelati ed amministrati da una società inglese: la Pest Control Office Ltd.

Orbene, proprio a difesa dei diritti del suo cliente, la suddetta società ha deciso di instaurare un giudizio cautelare e d’urgenza avanti al Tribunale di Milano (RG nr. 52442/2018) contro la 24 Ore Cultura Srl, la società che ha organizzato presso il MUDEC di Milano la mostra “A VISUAL PROTEST. The art of Banksy”. Nello specifico, la ricorrente lamentava la violazione del copyright e la vendita non autorizzata del merchandising da parte della stessa ed asserendo, nello specifico, che il titolo della mostra e il materiale promozionale (manifesti, ecc.) riproducessero i marchi (“Banksy” e le opere “Ragazza con il palloncino rosso” e “Lanciatore di fiori”) con un rilievo preminente rispetto all’aspetto artistico, costituendo quindi una violazione dei diritti sui propri marchi registrati.

Con il termine copyright si intende l’equivalente, per gli ordinamenti di common law, quali USA e UK, del diritto d’autore nei paesi di civil law ed obiettivo di ambedue è tutelare le opere dell’attività intellettuale attraverso il riconoscimento all’autore originario dell’opera di una serie di diritti, di carattere sia morale che patrimoniale. Nel nostro caso, in particolare, siccome le proteste avanzate dalla Pest Control Office Ltd erano, in modo preponderante, incentrate sulla vendita non autorizzata del merchandising, a rilevare è la categoria dei diritti patrimoniali, ovvero di quei diritti che comportano dei diretti vantaggi economici per l’autore e che consistono nel:

  1. Diritto di pubblicazione;
  2. Diritto di riproduzione;
  3. Diritto di trascrizione;
  4. Diritto di esecuzione, rappresentazione o recitazione in pubblico;
  5. Diritto di comunicazione al pubblico;
  6. Diritto di elaborazione e di modificazione dell’opera;
  7. Diritto di noleggio e di prestito.

Pertanto, appare evidente che una qualunque violazione del copyright o, per noi dei sistemi di civil law, del diritto d’autore, cagiona un grave danno di tipo economico all’autore dell’opera da esso tutelata. Da quanto detto, quindi, è logico che tale circostanza esponga l’autore dell’illecito a conseguenze di carattere civile, amministrativo e penale. Per l’appunto, la legge n. 633 del 22 aprile 1941 [1], la c.d. legge sul diritto d’autore, prevede, agli artt. 171 e s.s.., una serie di sanzioni, dalla multa alla reclusione, per i reati concernenti l’abusiva riproduzione, diffusione o duplicazione di materiali coperti da copyright.

Nel merito della vicenda in oggetto, quindi, le contestazioni avanzate dalla ricorrente società nell’ambito del procedimento cautelare instaurato innanzi al Tribunale di Milano sono state:

  • la contraffazione dei marchi registrati (art. 9 comma 2 Reg. 1001/17), in ragione dell’indebita preponderanza del segno denominativo “BANKSY” nella comunicazione dell’organizzatore della mostra;
  • la pedissequa riproduzione dei segni figurativi (le opere “Bambina con il palloncino rosso” e “Lanciatore di fiori”) menzionati, essendo essi stati depositati anche in relazione alle classi comprendenti servizi culturali (mostre), stampati e prodotti di merchandising.

Su tali punti, la resistente 24 ORE CULTURA s.r.l. rispondeva asserendo, anzitutto, che sul sito web del Mudec era presente la precisazione che “La mostra non è autorizzata dall’artista” e, in subordine, che l’attività dell’artista è di per sé esemplificativa della volontà abdicativa dei diritti d’autore da parte dello stesso sulle sue opere, in ragione del fatto che esse sono collocate in via permanente in luoghi pubblici (trattandosi, per l’appunto, di street art) mentre nella mostra in questione sono esposti i multipli delle stesse, realizzati e messi in commercio dallo stesso artista come normali opere figurative. Oltretutto, la resistente evidenziava che il materiale contestato riproduceva opere dell’artista in pubblico dominio o i cui diritti sono stati ceduti dai loro attuali proprietari e sarebbe limitato al materiale promozionale ed al catalogo, con esclusione di altro merchandising [2].

Ebbene, con ordinanza del 15 gennaio 2019, il Tribunale di Milano (Sezione specializzata in materia d’Impresa) ha dato in gran parte ragione al MUDEC, respingendo tutte le contestazioni avanzate dalla ricorrente tranne una.

In merito alla legittimità dell’utilizzo del nome “Banksy” nel materiale promozionale della mostra, facendo appello anche alla “comune esperienza di esposizioni e mostre”, il giudice ha ribadito che dare particolare rilievo al nome dell’artista cui la mostra è stata dedicata costituisce pratica normale e volta ad orientare favorevolmente verso l’oggetto della stessa il pubblico, circostanza, pertanto, giustificante l’uso del nome “Banksy” per promuovere la mostra al MUDEC [3].

Tale discorso, si evidenzia, è stato altresì applicato per giustificare l’utilizzo delle due immagini simbolo dell’artista inglese, la “Bambina con il palloncino rosso” ed il “Lanciatore di fiori”, su parte del materiale promozionale inerente alla mostra, avendo tale uso una funzione meramente descrittiva, che in alcun modo promuoveva prodotti appartenenti a 24 Ore Cultura.

D’altro canto, invece, il giudice ha accolto la domanda di inibitoria di 5 articoli di merchandising (agendina, segnalibro, cartoline e gomma da cancellare) su cui era stato collocato il segno “Banksy”, “posto che l’apposizione di tale segno a prodotti del tutto generici e di comune consumo senza alcuna specifica attinenza all’ambito dell’esposizione rendono evidente che la sola apposizione del nome in questione ne caratterizza integralmente l’aspetto distintivo” [4].

Questione più “spinosa” si è prospettata in merito alla commercializzazione del catalogo della mostra, che a detta della ricorrente avrebbe costituito concorrenza sleale a suo danno per contrarietà alla correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c..

Il volume ha una copertina sulla quale appare la dicitura «Unofficial–Unauthorised», che non contiene segni registrati dalla ricorrente “anche se nel retro del catalogo v’è una breve citazione di uno scritto dell’artista con l’indicazione del suo nome d’arte” mentre, all’interno, oltre a molte immagini di opere realizzate dall’artista sono presenti anche le succitate immagini “Bambina con il palloncino rosso” e “Lanciatore di fiori” le quali, invece, sono state riprodotte dalla “Pest” nelle rispettive registrazioni di marchio. Nel merito, le opere in oggetto erano state acquistate, dopo l’autorizzazione alla vendita delle stesse da parte dello stesso Banksy, da soggetti privati che, a loro volta, hanno ceduto al Sole 24 Ore Cultura il diritto alla riproduzione. Il problema, in particolare, era dimostrare che, insieme con il diritto di proprietà, al momento dell’acquisto delle opere i detti privati avessero acquisito anche il diritto di riproduzione dell’opera il quale, su esposto, fa parte dei diritti patrimoniali propri dell’autore dell’opera tutelata dal diritto d’autore. Nel caso ciò non fosse stato possibile o, meglio, essi non ne avessero avuto l’effettivo diritto, il catalogo si sarebbe posto in diretta concorrenza con altre analoghe pubblicazioni autorizzate da Banksy.

Proprio su questo elemento si incentrano le riflessioni del Giudice in relazione ai diritti azionabili da Pest Control, che hanno portato al rigetto delle domande della ricorrente.

Il Giudice afferma innanzitutto l’indeterminatezza dell’effettivo ambito dei diritti concessi da Banksy alla ricorrente essendo assente, nella stessa prospettazione fornita della ricorrente, la dovuta, precisa indicazione dei diritti di utilizzazione economica delle opere dell’artista che le sarebbero stati concessi. Tale circostanza, veniva precisato, sarebbe stata critica se Pest Control avesse agito in giudizio a tutela dei diritti patrimoniali d’autore sulle opere in questione mentre, d’altro canto, ciò non impediva in alcun modo di ravvisare la sussistenza di un rapporto di concorrenza tra le parti, nonché la legittimazione della Pest Control ad agire per concorrenza sleale contro la resistente. Oltretutto, la ricorrente società appariva effettivamente dotata del potere di autorizzare l’esposizione delle opere dell’artista, e ciò anche in forza di alcuni episodi avvenuti in precedenza:

  • ha potuto registrare i marchi di cui sopra senza che l’artista vi si sia opposto;
  • ha autorizzato l’utilizzazione di opere dell’artista da parte di primari musei in Europa (es. British Museum);
  • ha curato la realizzazione, nel 2015, di un parco temporaneo che esponeva opere dell’artista.

Con riferimento alla condotta della resistente, il Giudice ha rigettato le difese da quest’ultima presentate.

Anzitutto, è stata rigettata la difesa basata sul fatto che i proprietari delle opere di Banksy esposte (n.b. semplici multipli delle opere di street art commercializzate) avevano espressamente concesso alla resistente anche il diritto di riprodurre tali opere. Non solo infatti, concludeva il Tribunale, non era stato provato che detti proprietari delle opere avessero a monte ottenuto dall’artista, assieme alla proprietà dell’opera, anche il diritto di riproduzione della stessa, di cui all’art. 13 della legge n. 633 del 22 aprile 1941 [6], il quale, pertanto, andava considerato ancora parte della titolarità dell’artista. Inoltre, ai sensi dell’art. 109 legge n. 633 del 22 aprile 1941 [7], “la cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione, regolati da questa legge”. Oltre quanto esposto, poi, la conclusione dell’autorità giudiziaria che “la giurisprudenza ha già da tempo chiarito che anche la riproduzione fotografica di un’opera d’arte figurativa nel catalogo di una mostra rappresenta una forma di utilizzazione economica dell’opera pittorica e rientra nel diritto esclusivo di riproduzione riservato all’autore”.

In secondo luogo, è stata rigettata anche la difesa della resistente secondo cui la pubblicazione delle opere nel catalogo in formato ridotto sarebbe stata lecita ex art. 70 della Legge del diritto d’autore n. n. 633 del 22 aprile 1941 [8], in base al quale “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”. Tale previsione, precisa il Giudice, costituisce eccezione alla tutela di diritto d’autore, e non può assolutamente essere applicata al di fuori della casistica prevista. “Ciò implica che deve escludersi da tale ambito la riproduzione integrale dell’opera pittorica, ancorché evidentemente in scala minore rispetto all’originale, non potendosi individuare nel catalogo in questione una esclusiva o prevalente finalità critico-culturale. A tale proposito appare rilevante considerare l’assoluta prevalenza delle immagini delle opere dell’artista rispetto alla ben più limitata parte di testo che accompagna tali illustrazioni”. Inoltre, aggiunge, “non può negarsi anche l’effettiva potenziale concorrenza che tale catalogo integra rispetto all’esercizio da parte dell’autore dei suoi diritti di utilizzazione dell’opera originaria, posto che esso si porrebbe in diretta concorrenza con analoghe pubblicazioni autorizzate dall’autore o anche – in ragione della presenza di numerose immagini delle opere dell’artista – non rappresentanti meri cataloghi ma pubblicazioni comunque illustranti in generale la sua attività artistica” [9].

Nonostante quanto precedentemente esposto, tuttavia, il Tribunale ha concluso che la riproduzione non autorizzata delle opere nel catalogo non costituisca anche concorrenza sleale ai danni della resistente ex art. 2598 n. 3 c.c., essendo assente uno degli elementi costitutivi della detta fattispecie. Perché quest’ultima, infatti, possa dirsi integrata, è necessario non solo il comportamento illecito, ma anche che questo possa effettivamente cagionare un nocumento a chi lamenta l’illecito (ovvero il ricorrente).

Nel caso di specie, come sopra esposto, la ricorrente aveva agito non sulla base della sua titolarità di diritti di sfruttamento economico delle opere dell’artista bensì, invece, sulla base dei propri diritti di marchio e concorrenziali. Bisogna considerare, poi, che la documentazione da essa depositata ineriva unicamente al suo diritto ad esporre le opere dell’artista, senza che alcun riferimento fosse fatto circa il suo ottenimento, da parte di Banksy,  del diritto di riprodurre, ovvero consentire a terzi di riprodurre, le stesse.

In conclusione, ha statuito il Giudice: “non vi sono elementi significativi per ritenere che l’artista non abbia riservato a sé l’esercizio di tale diritto di riproduzione delle opere (…). Deve dunque ritenersi che la riproduzione delle immagini delle opere dell’artista nel catalogo contestato – sia pure considerabile allo stato degli atti come indebitamente svolta dalla resistente – non interferisca di fatto con le prerogative commerciali proprie della ricorrente, alla quale non risulta allo stato degli atti attribuito alcun concorrente diritto di riproduzione delle medesime immagini che possa ritenersi effettivamente pregiudicato dall’attività della resistente”.

La peculiarità dell’ordinanza esaminata è dovuta non solo al fatto che costituisce una delle prime pronunce aventi ad oggetto la street art ma anche, per la peculiarità delle problematiche di diritto d’autore relative a questa manifestazione artistica, tanto nuova quanto nota. Sul punto il Tribunale ha evidenziato, poi, anche se alcuni street artisti hanno espresso opinioni contrastanti, come la street art risulterebbe “caratterizzata dalla realizzazione in luogo pubblico di un’opera che implicherebbe in sé per un verso la pubblica e libera esposizione della stessa in rinuncia delle prerogative proprie della tutela autoriale e sotto altro profilo la natura effimera dell’opera stessa, in un contesto ideologico di diretta contestazione del diritto d’autore e/o dei circuiti commerciali propri di tale settore”.

[1] Legge del diritto d’autore n. 633 del 2e aprile 1941, artt. 171 e ss., disponibile qui: http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm.

[2] Cfr. articolo dell’Avv. Silvia di Virgilio, lex around, 13 marzo 2019, “Banksy, chi di copyright ferisce di copyright perisce”, disponibile qui: https://www.lexaround.me/banksy-chi-di-copyright-ferisce-di-copyright-perisce/.

[3] Museo Delle Culture, disponibile qui: https://www.mudec.it/ita/.

[4] Ordinanza del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia d’Impresa, del 15 gennaio 2019, disponibile qui: https://iusletter.com/wp-content/uploads/Ordinanza-15.01.2019_Banksy.pdf.

[5] articolo “Il caso Banksy: diritto d’autore e street art alla mostra al Mudec” di Gilberto Cavagna di Gualdana, 28 febbraio 2019, disponibile qui: https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/diritto/2019/02/caso-banksy-diritto-autore-street-art-mudec/.

[6] art. 13 Legge del diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941.

[7] art. 109 Legge del diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941.

[8] art. 70 Legge del diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941.

[9] Ordinanza del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia d’Impresa, del 15 gennaio 2019, disponibile qui: https://iusletter.com/wp-content/uploads/Ordinanza-15.01.2019_Banksy.pdf.

Valentina Ertola

Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico ("L'Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità"). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l'università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l'Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l'area "IP & IT".

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