Appalti pubblici: la suddivisione in lotti segue le valutazioni tecnico-economiche
Commento a Consiglio di Stato, sez. V, 30 settembre 2020, n. 5746
- I FATTI ALL’ORIGINE DELLA CAUSA
Il contenzioso nasce a seguito dell’espletamento di una procedura di gara da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, suddivisa in due lotti, avviata da un’Azienda pubblica per la stipula di una Convenzione finalizzata alla fornitura di set in TNT sterili destinati al servizio sanitario regionale.
Successivamente al provvedimento di aggiudicazione, due aziende concorrenti, (rispettivamente la seconda e la terza in graduatoria), propongono al Tar Lombardia due distinti ricorsi fondati su diversi motivi.
Il Giudice di primo grado, dopo aver disposto la riunione dei due ricorsi, ha accolto il ricorso fondando la decisione su di un motivo particolare: per la violazione dei principi comunitari di tutela della concorrenza e delle specifiche regole del Codice appalti pubblici in materia di suddivisione di lotti (art. 51) a seguito del mancato frazionamento di un lotto di rilevanti dimensioni.
Avverso tale decisione la ditta aggiudicataria propone ricorso in appello, evidenziando, tra le varie censure, che dagli atti di gara “si evincerebbero le ragioni a fondamento della scelta di creare un lotto di così rilevante valore economico in luogo di più lotti come suggerito dal giudice di prime cure” e che la scelta organizzativa dell’ente si fonderebbe sulla necessità di garantire un servizio unitario finalizzato all’omogeneizzazione di differenti prodotti e servizi forniti sul territorio regionale, “nonché su ragioni di economicità posto che la scelta effettuata avrebbe garantito un risparmio in termini di manodopera a carico della stazione appaltante, dovendo altrimenti prevedere per ogni singolo lotto personale addetto alla gestione del magazzino.”
Una delle concorrenti appellate (la seconda in graduatoria) deduce, tra i vari motivi, la presunta violazione da parte della commissione giudicatrice del disciplinare di gara nella parte in cui prescrive di effettuare una prova del materiale “sul campo”, alla presenza di uno specialist di comprovata esperienza in sala operatoria. A dire dell’appellata, la Commissione, contravvenendo alla lex specialis, avrebbe effettuato tale prova in totale autonomia, in assenza dello specialist e senza redigere apposito verbale.
- I MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Consiglio di Stato ritiene fondato l’appello con conseguenziale annullamento degli atti di gara, limitando, però, gli effetti demolitori e il rinnovo degli atti agli ambiti individuati nella motivazione.
La presente disamina si concentra, in particolare, su due dei profili vagliati nella decisione: 1) la determinazione dell’ente appaltante di suddividere la commessa in due soli lotti nonostante la ragguardevole quantità e varietà della stessa; 2) la vincolatività della lex specialis in ordine modalità di valutazione tecnica dell’offerta, con particolare riferimento, nel caso di specie, all’effettuazione di una prova sul campo prescritta dal disciplinare di gara.
Per quanto attiene al primo profilo, cioè alla suddivisione della commessa in un numero di limitato di lotti, il Collegio ritiene appropriate le ragioni giustificative sulle quali si fondano le scelte operate dalla stazione appaltante. Tali motivazioni risultano coerenti con il contenuto dell’art. 51 d.lgs 50/2016, la cui ratio è quella di favorire, con la suddivisione delle gare in lotti funzionali o prestazionali, l’effettiva possibilità di partecipazione agli appalti da parte alle piccole e medie imprese, prevedendo, però, al contempo, la possibilità di evitare tale suddivisione a seguito di un’approfondita analisi tecnico-economica, da recepire in una congrua motivazione, che giustifichi la scelta operata.
Il Collegio si richiama alla consolidata giurisprudenza in base alla quale il principio della suddivisione in lotti non può considerarsi un principio assoluto ed inderogabile, riconoscendo la possibilità di individuare un assetto alternativo mediante una scelta discrezionale, che, però, va motivata ed è sindacabile soltanto nei limiti della ragionevolezza e proporzionalità, oltre che dell’adeguatezza dell’istruttoria. Secondo tale giurisprudenza, infatti, la scelta discrezionale della stazione appaltante circa la suddivisione in lotti di un appalto pubblico costituisce una decisione ancorata a valutazioni di carattere tecnico-economico e “deve essere funzionalmente coerente con il bilanciato complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento di appalto e resta delimitato, oltre che dalle specifiche norme sopra ricordate del codice dei contratti, anche dai principi di proporzionalità e di ragionevolezza”[1]. Sebbene la suddivisione in lotti rappresenti uno strumento posto a tutela della concorrenza sotto il profilo della massima partecipazione alle gare, è altrettanto indubbio per il Collegio che tale principio “non costituisca un precetto inviolabile né possa comprimere eccessivamente la discrezionalità amministrativa di cui godono le stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti di gara in funzione degli interessi sottesi alla domanda pubblica, assumendo, piuttosto, la natura di principio generale adattabile alle peculiarità del caso di specie”[2] e derogabile mediante una decisione opportunamente e adeguatamente motivata[3].
Al riguardo il Collegio rileva che, nel caso di specie, la suddivisione dell’intera commessa in soli due lotti da parte dell’Amministrazione appaltante “è stata preceduta da apposita consultazione preliminare di mercato ex art. 66 D. Lgs. 50/2016 e non risultano documentati rilievi in quella sede sulle possibili criticità rispetto alla effettività dei valori di concorrenza in connessione con la possibile strutturazione della gara in lotti di significativo rilievo economico”. Per il Consiglio di Stato la consultazione preliminare di mercato e le analisi tecnico-economiche effettuate dalla stazione appaltante comprovano un’approfondita analisi istruttoria, i cui esiti “sono confluiti in un’esplicita motivazione” che supporta adeguatamente la decisione discrezionale di suddividere la commessa nei due lotti posti in gara.
Alla luce delle condivisibili considerazioni formulate dal Consiglio di Stato, per la suddivisione in lotti diventano determinanti alcune valutazioni di carattere tecnico-economiche, quali l’analisi dei valori di produzione nell’ambito territoriale di riferimento, la verifica dell’omogeneità/eterogeneità o della standardizzazione dei prodotti da acquisire, l’analisi delle condizioni di mercato per settori merceologici, l’accertamento della convenienza economica e della congruenza – rispetto alle esigenze dell’amministrazione – dell’eventuale acquisizione per lotti. Gli esiti di tale istruttoria, bilanciati con l’interesse pubblico a garantire l’effettiva possibilità di partecipazione alle gare da parte delle microimprese e delle piccole e medie imprese, confluiscono così nella motivazione del provvedimento e ne orientano l’indirizzo, nel rispetto comunque dei principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza economica.
In ordine al secondo profilo qui esaminato, con riferimento alle censure che riguardano l’attività seguita dalla commissione esaminatrice nella valutazione qualitativa delle offerte tecniche, segnatamente allo svolgimento della prova sul campo per un numero ampio di campioni, il Collegio ritiene che il motivo di ricorso sia meritevole di accoglimento avendo riscontrato la violazione di una specifica prescrizione contenuta nel disciplinare di gara. Infatti di tale prova, prevista appunto dal disciplinare, non vi è traccia negli atti di gara. Nello specifico il disciplinare prevedeva che le prove del materiale venissero effettuate “sul campo”, con la presenza di uno specialist di comprovata esperienza in sala operatoria, e con adeguata qualificazione per l’assistenza tecnica del personale che avrebbe dovuto effettuare la prova stessa. Il Collegio rileva peraltro un aspetto non trascurabile, cioè che tale attività istruttoria ha un rilievo significativo nell’economia della disciplina di gara, dal momento che nell’apposita tabella dei criteri di valutazione buona parte di essi fa esplicito e diretto riferimento alla prova pratica prevedendo per questo indicatore l’assegnazione di ben 59 punti su 70. Per il Collegio, nonostante tale rilevanza, la prova sul campo “è rimasta inspiegabilmente del tutto priva di una compiuta verbalizzazione anche in relazione agli aspetti essenziali delle operazioni svolte”. Al riguardo il Giudice rimarca l’importanza della verbalizzazione delle attività espletate dalla commissione giudicatrice, che “costituisce un atto necessario, in quanto reca la descrizione degli accadimenti constatati e consente la verifica della regolarità delle operazioni svolte”, in modo particolare di quelle che, “secondo un criterio di ragionevolezza, assumono rilevanza proprio in relazione alle finalità cui l’attività di verbalizzazione è preposta”.
Inoltre il Consiglio di Stato, riguardo a tale incombente istruttorio, evidenzia che l’amministrazione appaltante solo con un verbale redatto ex post, “a seguito del contenzioso nel frattempo incardinato dinanzi al giudice di prime cure, l’organo di valutazione, con una relazione esplicativa del 29.8.2019, avrebbe chiarito che con riferimento alla prova su campo non vi sarebbe alcun verbale in quanto le prove sarebbero state svolte in autonomia in sala operatoria dalla commissione di gara riunita”. Per il Collegio tale verbale “non appartiene alla sequenza degli atti di gara in quanto posto in essere da un organo, la Commissione giudicatrice, pacificamente ‘venuto meno’ con l’approvazione dell’aggiudicazione definitiva” e pertanto “non ha, dunque, alcuna valenza integrativa, modificativa e correttiva dei verbali confezionati nel corso della procedura di gara”[4]. Esso costituisce esclusivamente una traccia ricostruttiva di quanto avvenuto e mette in evidenza che “le prove “sul campo”, ad onta della loro evidenziata rilevanza, sarebbero state effettuate in assoluta autonomia dalla commissione, prescindendo dunque dalla presenza dello specialist pur richiesta dal disciplinare”.
In proposito, il Consiglio di Stato ribadisce il principio già espresso dalla stessa Sezione, secondo il quale “quando l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale decide di autovincolarsi, stabilendo le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all’osservanza di quelle prescrizioni, con la duplice conseguenza che: a) è impedita la successiva disapplicazione; b) la violazione dell’autovincolo determina l’illegittimità delle successive determinazioni”.[5] Le regole e i criteri contenuti nel Bando e nel Disciplinare di gara costituiscono un limite al esercizio della discrezionalità dell’ente in fase di espletamento della gara. In tal modo l’amministrazione, predefinendo regole chiare conosciute da tutti i concorrenti sin dalla fase iniziale della gara, garantisce, nel rispetto del principio generale di buon andamento dell’azione amministrativa, la par condicio dei partecipanti in quanto la pubblicizzazione preventiva dei criteri decisionali mette i concorrenti in condizione di competere lealmente e in maniera trasparente.
L’esigenza imprescindibile di assicurare l’anticipata conoscenza delle regole procedimentali spinge il Collegio a considerare insuperabile il principio -che del precedente costituisce corollario- in base al quale il disciplinare, costituendo la lex specialis della procedura, deve essere interpretato in termini strettamente letterali, “con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell’amministrazione pubblica, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità, in ragione sia dei principi dell’affidamento che di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti, che sarebbero pregiudicati ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis medesima”.[6]
Le motivazioni addotte dal Consiglio di Stato e il consolidato orientamento sulla vincolatività della lex specialis evidenziano la necessità di ponderare con particolare attenzione l’inserimento di prescrizioni e modalità operative negli atti che regolano l’espletamento della procedura di gara e, in particolare, la valutazione tecnica dell’offerta. Alla luce della tassatività dell’autovincolo è opportuno che oneri procedimentali, ulteriori rispetto a quelli non derogabili previsti dalla normativa vigente perché rispondenti ad un interesse superiore già ponderato dal legislatore, siano introdotti, secondo un criterio di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, soltanto ove la loro attuazione risponda ad un interesse effettivo riconducibile ai principi regolatori della materia (par condicio, trasparenza, concorrenzialità, buon andamento dell’azione amministrativa, ecc.), evitando di onerare i concorrenti, in primis, e le stesse amministrazioni con aggravi procedimentali non rispondenti ad un interesse pubblico attuale ed concreto.
[1] Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020, n.25; Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2019, n. 1222; Cons. Stato, 22 febbraio 2018, n. 1138.
[2] Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 123.
[3] Cons. Stato, sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1076.
[4] Cons. Stato, sez. III, 24 settembre 2018, n. 5495, secondo cui “la speciale fede che assiste i verbali dei lavori della commissione non può essere accordata anche alle dichiarazioni integrative”.
[5] Cons. Stato, sez. III, 6 novembre 2019, n. 7595; si veda anche Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2017, n. 3502, secondo cui “quando l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale di autovincolarsi, stabilisce le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all’osservanza di quelle prescrizioni, con la duplice conseguenza che le è impedita la loro disapplicazione e che la violazione di quelle determina l’illegittimità delle relative determinazioni”.
[6] Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1148.