domenica, Dicembre 1, 2024
Uncategorized

Assegno di divorzio: i parametri dettati dalle Sezioni Unite

L’assegno di divorzio, spesso visto come un fardello da sopportare, uno strumento iniquo e mal tollerato dal comune sentire sociale, lo scorso anno è stato oggetto di una pronuncia giurisprudenziale[1] che si è profondamente discostata dal consolidato orientamento perdurante dal 1990.

Abbiamo già analizzato quella pronuncia[2], nella quale il tenore di vita, quale elemento di riferimento per l’attribuzione dell’assegno, è stato ritenuto anacronistico e non rispondente al nuovo assetto sociale e pertanto sostituito dal criterio di autosufficienza economica.

La suddetta decisione ha radicalmente rivisto i paramenti di attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio; a seguito della pubblicazione della stessa, molti giudizi di merito sono stati promossi per ottenere la revisione degli assegni, giudizi che si sono conclusi non sempre uniformandosi ai nuovi principi.

È così proliferata la disparità di trattamento di fattispecie simili, situazione che ha altresì prodotto la presentazione di una proposta di legge avente ad oggetto la modifica dell’art. 5 L. 898/70.[3]

Nelle more delle procedure parlamentari è intervenuta di recente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, con la pronuncia n. 18287 del 11 luglio 2018, ha fissato un nuovo principio di diritto.

Il Supremo Collegio prende le mosse proprio dall’analisi della norma regolatrice, l’art. 5, comma 6, L. 898/70 e ss. mod.[4], e mette a confronto i due orientamenti giurisprudenziali, il primo affermatosi nel 1990[5] e cristallizzatosi nei successivi ventisette anni, ed il secondo formatosi con la sentenza della I sez. sopra richiamata.

Natura dell’assegno di divorzio

Dalla prima formulazione della norma del 1970, si ricavava una natura composita dell’assegno cui venivano attribuite funzioni assistenziali, risarcitorie e compensative. Successivamente il carattere assistenziale, incentrato sulla mera valutazione della condizione economica dei coniugi, si è a mano a mano modificato, assumendo una funzione riequilibratrice delle sfere economico patrimoniali dei coniugi.

Tale impostazione, rilevando la necessaria valorizzazione dell’impegno profuso nell’ambito domestico e familiare e richiamando il principio costituzionale della parità sostanziale dei coniugi[6], privilegiava la funzione compensativa dell’assegno.

Con la modifica legislativa operata con la legge n. 74/1987, accanto ai tre criteri della condizione dei coniugi (1) dei motivi dello scioglimento del vincolo (2) e del contributo personale ed economico dato da ciascuno (3), furono introdotti: la necessaria comparazione dei redditi dei coniugi, l’assenza dei mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarli in capo al soggetto richiedente l’assegno, nonché la valutazione della durata del matrimonio.

Il presupposto per riconoscere il diritto a conseguire la corresponsione dell’assegno veniva individuato pertanto nella sussistenza dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente ad affrontare il nuovo assetto creatosi a seguito dello scioglimento della famiglia.

Il trentennale orientamento della Cassazione Civile

Il nuovo impianto normativo veniva nuovamente interpretato focalizzando la preminente funzione assistenziale dell’assegno; con la pronuncia a sezioni unite n. 11490/1990 si affermava: “l’assegno ha carattere esclusivamente assistenziale dal momento che il presupposto per la sua concessione deve essere ritenuto l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui si possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio”. Era altresì specificato che al fine del riconoscimento del diritto all’assegno non era necessaria la sussistenza di un effettivo stato di bisogno, essendo sufficiente un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche godute nella fase del coniugio.

Questo il principio seguito per il riconoscimento del diritto all’assegno fino al 2017.

La sentenza del 2017

I Giudici della I sezione puntando l’attenzione sul mutamento radicale della società e sul diverso ruolo assunto dai coniugi, hanno ritenuto non condivisibile il richiamo al tenore di vita per individuare la mancanza di mezzi del soggetto richiedente, statuendo che occorra fare riferimento al criterio di autosufficienza economica.

L’excursus argomentativo muove dal considerare l’autodeterminazione individuale e personale come valore assoluto che deve attuarsi indipendentemente dal vincolo matrimoniale, pertanto un soggetto indipendente economicamente o capace di provvedere a se stesso non ha alcun diritto a percepire l’assegno divorzile. In caso contrario – si afferma nell’arresto dei Giudici- si riconoscerebbe una implicita continuazione del vincolo matrimoniale, almeno dal punto di vista patrimoniale, perpetuando una non condivisibile, anacronistica impostazione patrimonialistica dello stesso.

L’ultima decisione delle Sezioni Unite

Secondo gli Ermellini sia il precedente orientamento che il recente renversement si basano su parametri astratti e scarsamente collegati alla relazione coniugale, viziati entrambi da un’interpretazione dicotomica della norma, in cui vengono nettamente distinte le fasi di valutazione dell’attribuzione e quella della quantificazione, che al contrario sono strettamente collegate.

In particolare, osserva la Corte, che incentrare tutta la valutazione sul tenore di vita espone al rischio di un arricchimento non giustificato, in quanto viene a mancare la giusta analisi delle condizioni del singolo e soprattutto dell’apporto fornito dall’ex coniuge alla conduzione e svolgimento della vita familiare.

Ancor peggiori gli effetti che scaturiscono dall’impostazione che riconduce tutto all’autodeterminazione. Anche in tal caso, rileva la Corte, manca il necessario collegamento di tale aspetto con quello della dignità personale, considerato che “la libertà di scegliere e di determinarsi è eziologicamente condizionata dalla possibilità concreta di esercitare questo diritto”. Del resto tale pronuncia non considerando il contesto socio economico ed altri fattori (quali età, il grado di istruzione), e tracciando una rottura definitiva tra il prima (relazione coniugale) e il dopo (divorzio), rischia di eliminare le funzioni normativamente attribuite all’assegno, rivolto, secondo i Giudici della I Sezione, solo ed esclusivamente a mitigare le situazioni di carenza di autonomia economica, senza alcuna considerazione del preesistente vincolo matrimoniale.

Secondo il recente riesame della Cassazione occorre prima di tutto considerare che al termine del matrimonio si verifica, nella maggior parte dei casi, un impoverimento di entrambi i coniugi, creandosi uno squilibrio economico patrimoniale.

Nell’analisi delle predette circostanze è necessario dare un forte rilievo al principio costituzionale dell’uguaglianza di coniugi (art. 29 Cost.) nonché ai ruoli endofamiliari.

I principi di autodeterminazione e di autoresponsabilità intervengono non solo nella fase di rottura ma, prima di tutto, nella fase di creazione e di svolgimento della relazione.

Viene al riguardo affermato che “il modello di relazione matrimoniale prescelto dai coniugi può determinare un forte condizionamento della loro condizione economico-patrimoniale successiva allo scioglimento” e per tale ragione la scelta del legislatore è stata quella di imporre al giudice degli indicatori da seguire in fase di valutazione e determinazione dell’assegno.

Sono gli stessi coniugi, durante il matrimonio, con determinate scelte, espressioni proprio degli invocati principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità, a determinare un certo equilibrio economico tra di loro. Ed in base agli stessi principi si riconosce la libertà di dissoluzione del vincolo, senza però che questo possa produrre l’azzeramento della relazione coniugale.

Pertanto la Corte deduce che “il principio solidaristico, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento del diritto relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità a procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari”.

Quindi viene fortemente contestata l’impostazione seguita dalla I Sezione, in base alla quale viene affermato che con il divorzio cessa definitivamente ogni responsabilità in capo ai coniugi. Al termine della relazione matrimoniale bisogna individuare le cause dello squilibrio economico esistente tra i soggetti, e valutare quanto uno dei due abbia dovuto, per scelta comune, rinunciare alle proprie aspettative professionali e reddituali, favorendo in tal modo, con il proprio apporto ed impegno alla famiglia, la crescita e lo sviluppo della situazione reddituale, professionale dell’altro coniuge, nonché il benessere della compagine familiare.

Da tali premesse discende che la funzione dell’assegno di divorzio è si di carattere assistenziale ma si compone di un contenuto perequativo – compensativo, in quanto oltre a garantire in astratto il raggiungimento di un’autosufficienza economica è diretto altresì a costituire un livello di reddito proporzionato al contributo fornito nella realizzazione familiare, tenuto conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, dell’età del richiedente e della durata del matrimonio.

La Corte nell’individuare l’inadeguatezza dei mezzi, richiesta dalla norma per il riconoscimento dell’assegno, afferma che la stessa “deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte.

La funzione equilibratrice dell’assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale”.

Con tali parametri conclude la Corte, si permette un’adeguata valutazione delle molteplici fattispecie concrete che possono verificarsi a seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale, contrariamente ai criteri astratti individuati in precedenza.

Occorre ora verificare se il legislatore interverrà con la modifica dell’art. 5; con la proposta sopra richiamata è stata prevista l’eliminazione del riferimento al possesso di mezzi adeguati in favore dell’introduzione dello scopo di compensare, la disparità delle condizioni di vita dei coniugi, causata dallo scioglimento del matrimonio. A ciò si aggiungono ulteriori elementi valutativi ai fini della determinazione del quantum, tra i quali la cura di figli minori o disabili, la ridotta capacità di reddito dovuta a ragioni oggettive e la carenza di un’adeguata formazione professionale causata dall’adempimento dei doveri coniugali.

Tali formulazioni valorizzano, in ogni caso, che, a seguito del divorzio, non può considerarsi automaticamente estinta qualsivoglia tipologia di diritto od obbligo tra gli ex coniugi, senza che ciò possa tradursi nella mal tollerata concezione di ultrattività del vincolo, essendo al contrario l’espressione delle tutele riconosciute dall’ordinamento ai diritti scaturenti dai rapporti giuridici.

[1] Cassazione Civile, Sez. I sentenza n. 11504/2017

[2] https://www.iusinitinere.it/la-sentenza-n-11504-del-10-maggio-2017-della-sezione-della-cassazione-civile-principio-indipendenza-economica-sostituira-tenore-vita-2810

[3] Proposta di Legge A.C. 4605, 27/07/2017 http://www.camera.it/leg17/126?tab=1&leg=17&idDocumento=4605&sede=&tipo=

[4] “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”

[5] Cassazione Civile, Sez. Un. sentenza n. 11490/1990

[6] Articolo 29 Cost. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Avv. Paola Minopoli

Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell'ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense. Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani. Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali. Email: paola.minopoli@iusinitinere.it

Lascia un commento