La Corte Costituzionale, con sentenza n. 138 del 2020 depositata il 6 luglio, sollecitata dal ricorso in via principale del Presidente del Consiglio dei Ministri, è tornata sulla questione del riparto di competenze in ordine alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, offrendo una definizione delle due materie mediata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, che sembra rivestire di una funzione di parametro interposto rispetto all’interpretazione degli articoli 9 e 117 della Costituzione, quest’ultimo come modificato dalla Riforma del Titolo V del 2001.
Vale la pena ricordare che, ben prima che un codice fosse all’orizzonte, la questione è stata oggetto di discordie tra i deputati centralisti e quelli regionalisti già in seno all’Assemblea costituente, registrando infine la prevalenza dei primi non tanto nella formulazione dell’art. 9 della Costituzione – per il quale si è convenuto sull’impiego del termine “Repubblica”, con il preciso intento di coinvolgere tutti gli enti territoriali lasciando impregiudicata la questione[1] – quanto nell’estensione dell’originario art. 117, che attribuiva allo Stato la tutela dei beni culturali e del paesaggio.
La distinzione tra le due aree funzionali della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, oggi ripartite dalla Costituzione tra la competenza esclusiva dello Stato – art. 117 co. 2 – e la competenza concorrente – art. 117 co. 3 – è stata ripetutamente oggetto di ricorsi in via principale, il cui primo vero arresto giurisprudenziale è rappresentato dalla sentenza della Corte Costituzionale 28 marzo 2003, n. 94.
A partire dalla sentenza n. 26 del 2004, inoltre, “la tutela, la gestione o anche la valorizzazione dei beni culturali” sono state considerate dalla Corte, più che materie oggetto di ripartizione di competenze in senso stretto, come “materie-attività”, per cui, secondo la successiva sentenza n. 232 del 2005, similmente alla tutela dell’ambiente, la protezione dei beni culturali “rappresenta un compito nell’esercizio del quale lo stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste”[2].
A causa proprio di questa concezione dell’ambiente e della protezione del patrimonio culturale come materia-attività, la Corte ha fatto riferimento più volte, come criterio utile a dirimere anche questioni di competenza legislativa, il principio di leale collaborazione, richiamato d’altra parte espressamente dall’art. 118 Cost. con riguardo alla competenza regolamentare, quale modus operandi all’interno del principio di sussidiarietà[3].
Il caso deciso pochi giorni or sono dalla Corte Costituzionale verteva sulla delicata questione dei trabocchi della costa abruzzese, antiche strutture lignee poggiate sul fondale marittimo cui sono ancorate macchine e reti da pesca.
Il casus belli: ampliamento e destinazione commerciale dei trabocchi.
Al momento della promulgazione della legge impugnata, erano già in corso indagini a cura della Capitaneria di Porto di Ortona che avevano portato alla denuncia presso la Procura di Lanciano di alcuni gestori per aver ampliato in misura decisamente oltre il consentito le originarie strutture, per promuovervi la propria attività commerciale[4].
La nuova legge della Regione Abruzzo 10 giugno 2019 n. 7, destinataria della censura da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri che l’ha condotta dinanzi alla Corte, in questa situazione apportava alcune modifiche alla regolamentazione previgente, consentendo e, al contempo, regolando l’utilizzo delle antiche strutture da pesca come attività di ristorazione.
A tal fine, per esempio, i nuovi commi aggiunti all’art. 3 co. 3 della legge reg. Abruzzo n. 13 del 2009 consentono l’ampliamento entro 160 metri calpestabili più 50 metri per i servizi e l’attività di ristorazione, nei limiti di sessanta persone contemporaneamente presenti sulla singola struttura. Per quanto concerne gli interventi di recupero, utilizzazione e ristrutturazione, la legge regionale rimanda ampiamente alle normative statali e ai pareri o autorizzazioni delle autorità competenti, oltre al previsto rispetto della normativa specifica per quanto riguarda i trabocchi situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e per quelli vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
A tal proposito, è degno di nota l’intervento della Soprintendenza della Regione Abruzzo che, poco dopo l’entrata in vigore della legge, ha avviato le procedure perché gli undici trabocchi a suo giudizio più rispondenti alla struttura originaria venissero riconosciuti come beni di interesse culturale ai sensi del d-l 22 gennaio 2004, n. 42.
Al di là dell’utilizzo commerciale delle opere architettoniche, che trova nella norma impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale il principale riferimento, con l’art. 3 bis il legislatore abruzzese impegna la Regione ed il titolare del trabocco al perseguimento dei doverosi scopi didattico-culturali, comprensivi delle visite guidate.
La questione infine sollevata in via principale dinanzi alla Corte Costituzionale è stata proprio quella riguardante la potestà legislativa in ordine a queste misure di limitazione a tutela dell’integrità e del valore storico-artistico, da un lato, ma di concessione ad attività commerciali, dall’altro, dei trabocchi, e sull’eventualità che la valorizzazione turistica, così come congegnata, potesse nuocere alla doverosa tutela dei beni culturali, incidendo dunque su una materia riservata alle valutazioni esclusive dello Stato..
La sentenza: tra tutela e valorizzazione.
La materia dei beni culturali, come esposto in premessa, è scissa tra l’area della valorizzazione, di competenza concorrente tra Stato e Regioni, e quella della tutela, di competenza esclusivamente statale, ripartizione che ovviamente parte attrice non ritiene rispettata.
“Con gli artt. 3 e 6 del cod. beni culturali – scrive la Corte individuando nel testo legislativo il migliore interprete dell’art. 117 della Costituzione – sono stati definitivamente identificati rispettivamente gli ambiti della tutela e della valorizzazione”.
“Nella tutela – scrivono i giudici – risultano ricompresi non solo la regolazione ed amministrazione giuridica dei beni culturali, ma anche l’intervento operativo di protezione e difesa dei beni stessi. Nella valorizzazione, invece, rientra il complesso delle attività di intervento integrativo e migliorativo ulteriori, finalizzate alla promozione, al sostegno della conoscenza, fruizione e conservazione del patrimonio culturale, nonché ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione di esso, anche da parte delle persone diversamente abili”.
La Corte, nel dichiarare l’inesistenza di un’invasione delle competenze statali da parte della Regione Abruzzo, richiama inoltre il nuovo comma 3-sexies introdotto dalla legge regionale dell’Abruzzo “la quale depone anzi in senso contrario all’asserito sconfinamento del legislatore regionale dal perimetro della propria competenza in materia, in quanto espressamente prevede che i nuovi interventi relativi ai trabocchi rimangano assoggettati all’applicazione della disciplina generale concernente il rilascio e il rispetto delle autorizzazioni previste dalla normativa statale (e, in particolar modo, dell’autorizzazione concernente gli interventi sui beni culturali, di cui all’art. 21, e di quella paesaggistica, di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004). Tali autorizzazioni, ovviamente, non possono altrimenti articolarsi che nelle forme procedimentali contemplate dalla stessa normativa statale […], come, oltretutto, già precisato nel precedente comma 3-quinquies, in base al quale restano «fermi […] i pareri, le autorizzazioni ed i nullaosta delle autorità competenti, laddove previsti dalla normativa statale in materia in relazione alla tipologia di intervento»”.
Si noti infine come un ruolo fondamentale nel bilanciamento tra tutela del bene culturale e valorizzazione anche economica del medesimo da parte della Regione sia riposto nei Comuni e nello svolgimento delle loro funzioni amministrative e coerentemente con il principio costituzionale di sussidiarietà. Scrive infatti la Corte che “i Comuni, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. e delle vigenti disposizioni statali e regionali, avrebbero dovuto esercitare i poteri di governo e vigilanza edilizia ed urbanistica sulle strutture anche con riferimento al piano demaniale marittimo comunale nonché i poteri di governo e vigilanza in materia di autorizzazione stagionale all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande sulle strutture stesse (art. 3, comma 5);legge reg. Abruzzo n. 71 del 2001”.
Si tratterebbe dunque per lo Stato non di far prevalere la sua competenza esclusiva in materia di tutela dei beni culturali rispetto alle competenze regionali in termini di valorizzazione, concetti la cui migliore definizione è stata riscontrata dalla Corte Costituzionale nel vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio, quanto piuttosto di predisporre adeguati standard di tutela, invalicabili per la Regione, e successivamente di esercitare i più scrupolosi controlli, anche e in particolare tramite le competenze amministrative devolute al livello comunale.
[1] V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, Mondadori, 1976.
[2] R. Nevola (a cura di), La tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, Servizio studi Corte costituzionale, 04/2015.
[3] G. Manfredi, Il riparto delle competenze in tema di beni culturali e la leale collaborazione, Istituzioni del federalismo, n. 3/2017.
[4] Guardia Costiera Ortona, Trabocchi più grandi del previsto – denunciati quattro proprietari, 26/20/2018 <https://www.guardiacostiera.gov.it/ortona/Pages/Trabocchi-pi%C3%B9-grandi-del-previsto-denunciati-quattro-proprietari.aspx>.

Davide Testa è nato a Padova il 3 febbraio 1995. Dopo aver conseguito gli studi classici presso il Liceo Marchesi, ha studiato Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, svolgendo tra l’altro un periodo di mobilità di due semestri presso l’University College Dublin.
Nel 2019 si laurea in Diritto Costituzionale con una tesi intitolata “Fondata sul lavoro: dall’Assemblea costituente alla gig economy”. Le successive esperienze di ricerca sono caratterizzate dall’attenzione ai temi del lavoro, dei principi fondamentali, dei diritti e delle formazioni sociali, della città e della cittadinanza, con un occhio alla contemporaneità politica ed economica.
A partire dallo stesso anno, collabora con l’area di Diritto Costituzionale della rivista Ius in Itinere e con uno Studio Legale del foro di Padova.
Dal 2020 è inoltre titolare di un assegno di ricerca intitolato “Urban Data Regulation – Best practices locali per un uso condiviso” presso il Dipartimento di Diritto Pubblico dell’Università di Padova.