venerdì, Aprile 19, 2024
Di Robusta Costituzione

Il controllo di costituzionalità in via incidentale della legge elettorale

Le azioni di accertamento della ‘pienezza costituzionale’ del diritto di voto

 

Come ormai noto, la Corte costituzionale si è pronunciata, in materia di legge elettorale politica, in due occasioni: nel 2014, con la sent. n. 1, con la quale fu dichiarata l’illegittimità di alcune disposizioni previste dalla Legge n. 270 del 2005, il cd Porcellum, e nel 2017, con la sent. n. 35, con cui la Consulta dichiarò la non conformità costituzionale di alcune norme di cui alla Legge n. 52 del 2015, il cd Italicum.

In entrambi i casi, i giudizi a quibus erano stati introdotti mediante l’esercizio, da parte di alcuni cittadini elettori, di azioni di accertamento della ‘pienezza costituzionale’ del diritto di voto.

Nel caso della sent. n. 1 del 2014, relativa al Porcellum, fu la I sez. civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12060 del 17 Maggio 2013, a sollevare dinanzi alla Corte costituzionale le relative questioni di legittimità, essendo stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso promosso nei confronti della sentenza della Corte d’Appello di Milano che, confermando quanto stabilito in primo grado dal Tribunale, aveva rigettato la domanda con cui un cittadino elettore aveva chiesto che fosse accertato che il suo diritto di voto non aveva potuto e non potesse essere esercitato in modo libero e diretto, secondo le modalità previste e garantite dalla Costituzione[1].

Con riguardo alla sent. n. 35 del 2017, invece, la Corte costituzionale fu chiamata a pronunciarsi:

  • con ord. del 17 Febbraio 2016 del Tribunale di Messina, innanzi al quale alcuni cittadini elettori avevano chiesto che fosse “riconosciuto e dichiarato il loro diritto soggettivo di elettorato, per partecipare personalmente, liberamente e direttamente, in un sistema istituzionale di democrazia parlamentare, con metodo democratico ed in condizioni di libertà ed eguaglianza, alla vita politica della Nazione, nel legittimo esercizio della loro quota di sovranità popolare”[2], così come previsto e garantito da numerose disposizioni costituzionali;
  • con ord. del 5 Luglio del 2016 del Tribunale di Torino, presso il quale alcuni cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali chiedevano che fosse accertato il loro “diritto di votare conformemente alla Costituzione”[3];
  • con ord. del 6 Settembre del 2016 del Tribunale di Perugia e con ord. del 5 Ottobre del 2016 del Tribunale di Trieste, innanzi ai quali, con formule coincidenti, dei cittadini elettori chiedevano che fosse “accertata la lesione del loro diritto di voto, per come costituzionalmente garantito, in conseguenza dell’approvazione della legge n. 52 del 2015”[4];
  • con ord. del 16 Novembre del 2016 del Tribunale di Genova, presso il quale alcuni cittadini italiani iscritti nella liste elettorali chiedevano che fosse “accertato il loro diritto di voto libero, personale e diretto in conformità alla Costituzione”[5].

Il percorso mediante il quale si è giunti al controllo di costituzionalità in via incidentale della legge elettorale ha destato non poche perplessità.

Non manca, infatti, chi, ritenendo che le liti fondanti i giudizi di accertamento del diritto di voto siano dotate di particolare astrattezza, afferma che i giudizi di costituzionalità relativi al Porcellum e all’Italicum abbiano forzato le maglie tradizionali del giudizio di costituzionalità in via incidentale aprendo la strada, “almeno nella materia elettorale, ad un accesso sostanzialmente diretto al giudizio di costituzionalità”[6] e, quindi, a dei “veri e propri ricorsi diretti mascherati”[7].

 

  • L’interesse ad agire nei giudizi di accertamento del diritto di voto

 

L’instaurazione di giudizi di accertamento riguardanti la ‘pienezza costituzionale’ del diritto di voto ha suscitato numerosi dubbi circa la sussitenza dell’interesse ad agire in capo agli attori dei giudizi a quibus relativi ai giudizi di legittimità costituzionale riguardanti sia il Porcellum che l’Italicum.

L’art. 100 del Codice di Procedura Civile stabilisce che “per proporre una domanda […] è necessario avervi interesse”.

Tale interesse consiste, secondo la prevalente dottrina, in quello volto a conseguire un’utilità o un vantaggio non ottenibile senza l’intervento del giudice.

L’accesso alla tutela giurisdizionale, dunque, sarebbe possibile “sol quando essa può risultare utile all’attore”[8].

Ne deriva l’esigenza che, ai fini della sua sussistenza in capo all’attore, l’interesse ad agire sia personale, attuale e concreto.

Quanto testè affermato rende evidente la fondatezza dei dubbi relativi all’ammissibilità delle domande poste dagli attori nei giudizi di accertamento concernenti la ‘pienezza costituzionale’ del diritto di voto da cui è scaturito il controllo di legittimità costituzionale in via incidentale di parti rilevanti della Legge n. 270 del 2005 e della Legge n. 52 del 2015.

Se, infatti, l’art. 48 Cost., c. 2° e la circostanza che gli attori dei giudizi a quibus fossero iscritti nelle liste elettorali non ammettono dubbi circa la sussistenza della personalità dell’interesse ad agire degli stessi, non può dirsi altrettanto con riferimento ai requisiti di concretezza ed attualità necessari ai fini della configurabilità della condizione dell’azione di cui all’art. 100 del Codice di Procedura Civile.

Il difetto di concretezza, dunque, appare palese se si considera che l’eventuale accoglimento delle domande poste dai ricorrenti nei giudizi volti ad accertare il diritto di votare conformemente alla Costituzione non avrebbe dato agli stessi alcun risultato utile essendo “assai difficile, sul piano giuridico, che i cittadini elettori, una volta ottenuta l’eventuale sentenza di accertamento positivo” della ‘pienezza costituzionale’ del diritto di voto potessero “spendere in concreto tale provvedimento giurisdizionale per ottenere un risultato pratico ulteriore”[9].

A simili conclusioni si potrebbe giungere anche per quanto concerne il requisito di attualità dell’interesse ad agire, di cui ictu oculi sembrano difettare gli attori dei giudizi concernenti l’accertamento del diritto di voto con riferimento alla Legge n. 52 del 2015, dal momento che, a differenza del Porcellum, il sistema elettorale ivi delineato non aveva ancora trovato concreta applicazione e che, alla data dell’ordinanza di remissione del Tribunale di Messina, esso non risultava neppure applicabile, stante la clausola di salvaguardia che ne differiva l’applicabilità al 1 Luglio del 2016.

Quanto sin qui affermato sarebbe certamente vero se non fosse che, in sede di verifica della sussistenza dell’interesse ad agire, la natura stessa dell’azione di mero accertamento comporta la necessità di un cambio di prospettiva.

Nell’argomentare a riguardo, infatti, la sez. I della Corte di Cassazione, nell’ordinanza di remissione  n. 12060 del 17 Maggio 2013, affermava che “ai fini della proponibilità delle azioni di mero accertamento, è sufficiente l’esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da un rapporto giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto tale idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non per il tramite del richiesto accertamento giudiziale della concreta volontà della legge, senza che sia necessaria l’attualità della lesione di un diritto”[10].

La stessa Corte costituzionale, pur ritenendo che “una motivazione sufficiente e non implausibile sulla sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti basti ad escludere un riesame dell’apprezzamento compiuto dal giudice a quo ai fini dell’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale”[11], chiariva che già la semplice entrata in vigore della legge elettorale fosse sufficiente a giustificare l’interesse ad agire, non rilevando l’eventuale inapplicabilità della disciplina al momento della rimessione della questione oppure al momento dell’esperimento dell’azione di accertamento. L’incertezza relativa alle norme regolanti il diritto di voto comporta una potenzialità lesiva  già attuale delle stesse, “sebbene destinata a manifestarsi in futuro, in coincidenza con la sua sicura applicabilità”[12].

“La rimozione di tale incertezza rappresenta, quindi, un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non attraverso l’intervento del giudice. Ne deriva la sussistenza, nei giudizi a quibus, di un interesse ad agire in mero accertamento”[13].

Appaiono ancora più chiare, con riguardo alla situazione in esame,  le parole della Corte di Cassazione, che, nella già citata ordinanza di rimessione, affermava che “ci sono leggi che creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a determinati soggetti, i quali nel momento stesso in cui la legge entra in vigore si trovano già pregiudicati da esse, senza bisogno dell’avverarsi di un fatto che trasformi l’ipotesi legislativa in un concreto comando. In tali casi l’azione di accertamento può rappresentare l’unica strada percorribile per la tutela giurisdizionale di diritti fondamentali di cui, altrimenti, non sarebbe possibile una tutela ugualmente efficace e diretta”[14].

Questa, a ben vedere, appare come una delle ragioni fondanti dell’esistenza stessa delle azioni di accertamento, non essendovi alcuna disposizione che ne preveda la proponibilità in termini generali.

Fra le considerazioni in favore della generale ammissibilità dell’azione di mero accertamento, vi è, dunque, anche quella secondo cui “in alcune situazioni l’azione di mero accertamento è l’unica forma di tutela concretamente praticabile o comunque idonea a rimuovere una situazione di incertezza concernente l’esistenza ed il contenuto di un diritto dell’attore”[15].

 

La rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nei giudizi di accertamento del diritto di voto

 

L’art. 1 della Legge costituzionale n. 1 del 1948 afferma che “la questione di legittimità costituzionale di una legge […] sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione”.

L’art. 23 della Legge n. 87 del 1953, precisa che, “qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata”, il giudice a quo “emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso”.

Ai fini dell’ammissibilità innanzi alla Corte costituzionale delle questioni sollevate davanti al giudice a quo, quindi, quest’ultimo è tenuto a verificarne la non manifesta infondatezza e la rilevanza, per tale intendendosi l’impossibilità di definire il giudizio indipendentemente dalla risoluzione della questione.

Appare evidente che, così delineati, tali requisiti sussistano anche nel caso della questione di legittimità per la quale la Corte di Cassazione ha investito la Consulta con riguardo alle norme previste dalla Legge n. 270 del 2005 e di quelle rimesse innanzi alla Corte costituzionale dai Tribunali di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova con riferimento alle disposizioni dell’Italicum.

Le cose si complicano, tuttavia, se si tiene conto della cd condizione di pregiudizialità – corollario della rilevanza – in base alla quale “la coincidenza di oggetto tra giudizio principale e procedimento incidentale  di  incostituzionalità […] è  causa  di  inammissibilità della questione”[16].

Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, infatti, “il giudizio a quo deve avere, da un lato, un petitum separato e distinto dalla questione di costituzionalità sul quale il giudice remittente sia legittimamente chiamato […] a decidere; dall’altro, un suo autonomo svolgimento, nel senso di poter essere indirizzato ad una propria conclusione, al di fuori della questione di legittimità costituzionale, il cui insorgere è soltanto eventuale”[17].

Non sembra pienamente convincente, in ordine alla questione di pregiudizialità, l’argomentazione espressa dalla Corte costituzionale nella sent. n. 1 del 2014 – e riportata nella sent. n. 35 del 2017 – secondo cui tale condizione sarebbe soddisfatta  “perchè il petitum oggetto del giudizio principale è costituito dalla pronuncia di accertamento del diritto azionato, in ipotesi condizionata dalla decisione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, non risultando l’accertamento richiesto al giudice comune totalmente assorbito dalla sentenza di questa Corte, in quanto residuerebbe la verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto”[18].

Invero, la Corte non spiega quali sarebbero le altre condizioni cui la legge subordina il riconoscimento del diritto di voto per le quali residuerebbe la verifica del giudice a quo.

Appare chiaro, in effetti, che la Consulta fosse consapevole di operare una sorta di forzatura con riguardo alla condizione di pregiudizialità.

Non si comprenderebbe, altrimenti, la ragione per la quale, oltre alla sufficienza e alla non implausibilità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti nel giudizio principale e alla paventata diversità di petitum fra giudizio a quo e giudizio di legittimità costituzionale, sia stato ritenuto necessario sottolineare altri due aspetti:

  • “La peculiarità e il rilievo costituzionale” del diritto fondamentale di voto, “che svolge una funzione decisiva nell’ordinamento costituzionale, con riferimento alle conseguenze che dal suo non corretto esercizio potrebbero derivare nella costituzione degli organi supremi ai quali è affidato uno dei poteri essenziali dello Stato, quello legislativo”[19];
  • “L’esigenza di evitare, con riferimento alla legge elettorale politica, una zona franca rispetto al controllo di costituzionalità attivabile in via incidentale”[20], non potendo essere immuni da quel sindacato “le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo”[21].

 

La legge elettorale per il Parlamento come ‘zona a statuto speciale’ della giustizia costituzionale

 

Pochi mesi dopo la pubblicazione della sentenza relativa all’Italicum, il giudice costituzionale e redattore della stessa, prof. Nicolò Zanon, ha chiarito che la Corte costituzionale fosse “ben consapevole di alcune implicazioni, sia processuali che istituzionali, delle pronunce che essa ha reso” e, nel tentativo di dare qualche risposta ‘razionalizzatrice’ rispetto alle importanti notazioni critiche, ha precisato, richiamando le pronunce della Consulta n. 110 del 2015, n. 165 del 2016 e n. 35 del 2017, che “la giurisprudenza sull’ammissibilità delle questioni di costituzionalità sollevate nell’ambito delle azioni di accertamento vale soltanto per le questioni relative alla legge elettorale politica, in connessione quindi con il diritto fondamentale di voto in tale genere di elezioni”[22].

Alla luce di questo, sembra condivisibile la tesi di Giorgio Sobrino, secondo cui la legge per l’elezione al Parlamento pare esser passata dall’essere ricompresa all’interno di una ‘zona franca’ rispetto al controllo di costituzionalità in via incidentale, a rappresentare una vera e propria ‘zona a statuto speciale’ in cui “il sindacato della Corte relativo all’ammissibilità e alla rilevanza delle questioni di costituzionalità avrebbe un contenuto e un’estensione diversi” –  e più permissivi – “da quelli della generalità delle materie”[23].

A ben vedere, difficilmente la Corte costituzionale avrebbe potuto fare altrimenti.

Se si considera, infatti, quanto innanzi affermato in ordine, da un lato, alla sussistenza dell’interesse ad agire in capo agli attori richiedenti l’accertamento della ‘pienezza costituzionale’ del proprio diritto di voto e, dall’altro, al sospetto difetto di pregiudizialità con riferimento alle questioni sollevate innanzi alla Consulta proprio dai giudici chiamati a svolgere tale accertamento, si riesce ad intuire a quale tipo di cortocircuito si sarebbe andati incontro qualora la Corte costituzionale non avesse dato seguito all’esigenza di evitare che la materia elettorale politica restasse immune rispetto al controllo di legittimità costituzionale.

 

[1] v. Cass. Civ., Sez. I, ordinanza n. 12060, 17 Maggio 2013, disponibile qui:

[2] Corte costituzionale, sentenza n. 35, 9 Febbraio 2017, Punto 1.1 del Ritenuto in fatto, disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2017&numero=35

[3] Ibidem, Punto 8.1 del Ritenuto in fatto

[4] Ibidem, Punti 17.1 e 20.1 del Ritenuto in fatto

[5] Ibidem, Punto 25.1 del Ritenuto in fatto

[6] G. Sobrino, “Il problema dell’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale alla luce delle sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017 e le sue possibili ricadute: dalla (non più tollerabile) “zona franca” alla (auspicabile) “zona a statuto speciale” della giustizia costituzionale?”, luglio 2017, disponibile qui:

[7] A. Ruggeri, “La Corte alla sofferta ricerca di un accettabile equilibrio tra le ragioni della rappresentanza e quelle della governabilità: un’autentica quadratura del cerchio, riuscita però solo a metà, nella pronunzia sull’Italicum”, febbraio 2017, disponibile qui: http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/01/ruggeri_nota_35-2017.pdf

[8] G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile vol.1 – I principi,  edizione 2016

[9] G. Sobrino, op. cit.

[10] Cass. Civ., Sez. I, ordinanza n. 12060, 17 Maggio 2013, disponibile qui:

[11] Corte costituzionale, sentenza n. 35, 9 Febbraio 2017, Punto 3.3 del Considerato in diritto, disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2017&numero=35

[12] Ivi

[13] Ivi

[14] Cass. Civ., Sez. I, ordinanza n. 12060, 17 Maggio 2013, disponibile qui:

[15] G. Balena, op. cit.

[16] ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 84, 3 Marzo 2006; sentenza n. 38, 13 Febbrio 2009; ordinanza 220, 17 Giugno 2010, disponibili in www.cortecostituzionale.it

[17] ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 65, 30 Giugno 1964; sentenza 291, 23 Dicembre 1986; sentenza n. 263, 24 Giugno 1994; sentenza n. 127, 16 Aprile 1998; sentenza n. 17, 5 Febbraio 1999; sentenza n. 175, 23 Maggio 2003; sentenza n. 84, 3 Marzo 2006; sentenza n. 38, 13 Febbraio 2009 disponibili in www.cortecostituzionale.it

[18] Corte costituzionale, sentenza n. 1, 13 Gennaio 2014, Punto 2 del Considerato in diritto, disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=1

[19] Corte costituzionale, sentenza n. 35, 9 Febbraio 2017, Punto 3.1 del Considerato in diritto, disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2017&numero=35

[20] Ivi

[21] Corte costituzionale, sentenza n. 1, 13 Gennaio 2014, Punto 2 del Considerato in diritto, disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=1

e sentenza n. 35, 9 Febbraio 2017, Punto 3.1 del Considerato in diritto, disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2017&numero=35

[22] N. Zanon, “Il controllo di costituzionalità sulle leggi elettorali politiche in Italia. Aspetti processuali (sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017)”, ottobre 2017, disponibile qui:  https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/SIVIGLIA_ZANON.pdf

[23] G. Sobrino, op. cit.

Michele D'Onofrio

Michele D'Onofrio è nato a Bari nel 1992, vive a Pisticci (MT), dove ha conseguito la maturità classica. Si è laureato con lode in Giurisprudenza presso l'Università degli studi Aldo Moro di Bari discutendo una tesi in Diritto Costituzionale. È socio under 35 del Centro Studi Livatino e ne frequenta le iniziative di formazione giuridica. Attualmente svolge la pratica forense presso lo Studio Legale D'Onofrio, con sede a Pisticci, collabora con la rivista giuridica online Ius in itinere ed è componente del comitato di redazione della Rivista Semestrale di Diritto. È anche vicepresidente e responsabile del settore giovani di Azione Cattolica presso l'Arcidiocesi di Matera-Irsina.

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