Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza 22 dicembre 2020, n. 29330, sulla natura dei finanziamenti erogati dai soci in conto futuro aumento di capitale
Commento breve a cura del Dott. Niccolò Tamburini
Con l’Ordinanza in commento la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione si sofferma in merito alla legittimità del rimborso, in favore dei soci finanziatori, delle somme versate “in conto futuro aumento di capitale” in assenza della formale delibera sociale concernente l’aumento di capitale.
Nel caso di specie, la controversia trae origine dall’impugnazione, da parte di uno dei soci della società, della delibera assembleare con la quale era stata disposta la restituzione del versamento effettuato da alcuni soci a titolo di futuro aumento di capitale sociale. Non essendosi perfezionato l’aumento, i soci finanziatori domandavano la restituzione di quanto versato precedentemente.
Allineandosi con quanto affermato nel merito dalla Corte d’Appello di Bari, relativamente alla legittimità del rimborso effettuato, la Cassazione ne conferma la statuizione, affermando che il versamento di denaro in conto di un futuro aumento di capitale si traduce in un negozio risolutivamente condizionato alla effettiva adozione della relativa delibera di aumento di capitale.
Sulla scorta delle predette considerazioni, qualora la delibera non dovesse essere adottata, i versamenti effettuati dai soci dovranno essere restituiti ai medesimi ai sensi dell’art. 2033 c.c., in conformità con le disposizioni sulla ripetizione dell’indebito oggettivo.
Infatti, le erogazioni in conto futuro aumento di capitale effettuate dal socio (o dai soci come nel caso di specie) in favore della società, sono condizionate alla adozione della rituale delibera di aumento di capitale, così che, in mancanza della medesima, sorge in capo alla società “l’obbligo di restituzione di quanto erogato dal socio a tale titolo, poiché in tal caso l’erogazione determina un aumento di capitale solo potenziale, destinato a divenire effettivo solo a seguito della delibera di aumento”.
Come affermato anche da una recente pronuncia (Cass. Civ. Sez. I, Sentenza n. 31186 del 3 dicembre 2018), espressamente richiamata nell’Ordinanza in epigrafe, i versamenti in parola realizzano una “copertura anticipata” di un futuro aumento di capitale non ancora ritualmente deliberato, traducendosi, quindi, in una mera anticipazione della sottoscrizione dell’aumento destinata a realizzarsi solo in un secondo momento.
Ne consegue che le somme versate affluiscono al patrimonio netto della società soltanto mediante l’adozione della delibera di aumento di capitale, oppure nel caso in cui i soci deliberino di devolvere il versamento a copertura di perdite che diminuiscono il valore del patrimonio netto.
Concludendo, la Suprema Corte afferma che “deve essere chiaro” che “le erogazioni in conto futuro aumento di capitale devono essere risolutivamente condizionate alla deliberazione di aumento da assumere entro un certo termine”, così che, in mancanza di quest’ultima, sussiste il diritto del socio al rimborso del finanziamento erogato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ORDINANZA
sul ricorso n. 26177-2016 r.g. proposto da:
C.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Giovanni Mattarrese, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Dardanelli n. 13, presso lo studio dell’Avvocato Maria Grazia Orlando;
– ricorrente –
contro
New Team s.r.l., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore R.N., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato Francesco Pannarfiale, con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla Via Confalonieri n. 1, presso lo studio dell’Avvocato Carlo Cipriani;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, depositata in data 14.4.2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/11/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO CHE
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bari ha accolto l’appello principale proposto da New Time s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza resa dal Tribunale di Bari tra la stessa e C.A., rigettando l’impugnazione della Delib. assembleare straordinaria 13 dicembre 2007 e l’appello incidentale presentato da C.A..
C.A. aveva convenuto innanzi al Tribunale di Bari la New Teams s.r.l., chiedendo l’annullamento della Delib. assembleare 13 dicembre 2007, con la quale era stata disposta la restituzione dei versamenti effettuati dai soci G.A. (per Euro 516.000), R.F. (per Euro 58.250), R.R. (per Euro 58.250), delibera già eseguita in data 18.12.2007, poco prima dell’istanza cautelare prima accolta dal giudice inaudita altera parte e poi rigettata nel contraddittorio delle parti per sopravvenuta cessazione del pericolo.
Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 1878/2013 resa in data 4.6.2013 aveva accolto l’impugnazione della predetta delibera, sostenendo che i finanziamenti non fossero rimborsabili in quanto, al di là della denominazione formale, costituivano un conferimento con una causa assimilabile a quella di capitale di rischio.
La corte del merito ha ritenuto che: a) i versamenti effettuati dai soci, per come sopra descritti, dovevano essere considerati come versamenti “risolutivamente condizionati” all’aumento di capitale, come tali rimborsabili ai soci perchè l’aumento di capitale non era stato più deliberato; b) dalla stessa denominazione si evidenziava una differenza tra i versamenti genericamente effettuati “in conto capitale” e quelli che si riferivano ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale, poichè i primi sono apporti di patrimonio di cui la società è libera di disporre come qualsiasi altra riserva senza che possa essere vantato alcun diritto al rimborso da parte del socio fin quando non sia stata liquidata l’impresa collettiva, mentre i secondi ricorrono allorquando le parti abbiano stabilito un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito ed un prossimo aumento di capitale sociale e devono intendersi perciò come risolutivamente condizionati alla futura deliberazione di aumento di capitale nominale, di talchè il versamento eseguito dal socio dovrà essere incluso solo provvisoriamente tra le riserve e dovrà, poi, ove l’assemblea deliberi effettivamente l’ipotizzato aumento di capitale nominale della società, rifluire in quest’ultima posta di bilancio ed assumere i caratteri tipici del conferimento di capitale; c) solo qualora l’aumento di capitale non dovesse essere deliberato dall’assemblea, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato, e ciò non perchè si sia trattato di un mutuo bensì per la diversa ragione secondo cui sarebbe in tal caso venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale eseguita dal socio in favore della società e, dunque, secondo le regole della ripetizione dell’indebito; d) nel caso in esame, doveva concludersi, applicando i criteri interpretativi del contratto (e ciò con particolare riferimento non tanto al dato letterale della deliberazione impugnata, quanto piuttosto alle modalità concrete di attuazione della detta delibera), nel senso di ritenere l’esistenza di un contratto atipico di conferimento di capitale, condizionato risolutivamente ad un futuro aumento di capitale; e) tale ricostruzione era confermata, in primo luogo, dal contenuto delle delibere assembleari succedutesi nel tempo prima dell’adozione della Delib. straordinaria oggetto di impugnazione, posto che, nella Delib. 18 gennaio 2006 (mai impugnata), si era esplicitata la volontà di trasformare i finanziamenti a suo tempo eseguiti dai soci in anticipazione in conto futuri aumenti di capitale sociale e che, nella successiva Delib. 8 febbraio 2006 (poi annullata in sede arbitrale), si era deliberato, con il voto contrario della Carrella, l’aumento di capitale già programmato; f) la proposta di aumento di capitale non era stata più deliberata ed i soci, nella delibera qui impugnata, avevano dato atto che le somme iscritte in bilancio a futuro aumento di capitale erano disponibili senza vincoli nel patrimonio sociale; g) non poteva considerarsi significativa l’appostazione nel bilancio al 31.12.2006 delle somme anticipate dai soci tra i “versamenti” nel patrimonio netto, perchè, nella nota integrativa allo stesso bilancio, l’amministratore unico D.S.F. aveva precisato la natura di tali poste, e cioè versamenti dei soci effettuati in futuro aumento del capitale sociale e così aveva nominato la relativa voce in bilancio.
2. La sentenza, pubblicata il 14.4.2016, è stata impugnata da C.A. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui New Times srl ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362, 2464, 2467 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo alla interpretazione della volontà delle parti espressa nella delibera assembleare qui impugnata come conferimento in conto capitale ovvero come finanziamento soci.
2. Il secondo mezzo denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla valutazione degli elementi emersi nella c.t.u. disposta in primo grado.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per due ordini di ragioni.
Va premesso che rappresenta questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti lo stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un finanziamento o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva. Ne consegue che l’accertamento operato dal giudice di merito in ordine alla concreta riconducibilità della singola fattispecie all’una o all’altra delle due suindicate figure negoziali non è censurabile in cassazione, se non per eventuale violazione delle regole giuridiche da applicare nell’interpretazione della volontà delle parti del rapporto (Cass. 7427/2002, 7692/2006, 7980/2007). 3.1 Ciò detto, occorre ricordare, in termini più generali, che, secondo la giurisprudenza unanime espressa da questa Corte di legittimità, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Cass. n. 15381/2004), non essendo, all’uopo, sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (cfr. anche Cass., Sez. 5, Sentenza n. 873 del 16/01/2019).
3.2 Ciò posto, osserva la Corte come la ricorrente – non indicando correttamente in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sarebbe discostato dai sopra richiamati canoni legali – abbia richiesto, in realtà, a questa Corte di legittimità una mera rivalutazione di merito della decisione impugnata in ordine allo scrutinio della volontà negoziale delle parti per come calata nella delibera assembleare impugnata, attraverso la prospettazione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dalla corte territoriale che, invece, ha argomentato in modo adeguato e scevro da criticità motivazionali la ricostruzione della reale volontà negoziale dei soci, ripercorrendo la successione delle deliberazioni assembleari sopra ricordate (cfr. pagg. 6-7 della sentenza impugnata) e formulando soluzioni che, per quanto si osserverà tra breve, sono conformi ai principi espressi nella materia in esame da questa Corte.
3.3 Sotto altro profilo di riflessione, va osservato che le censure formulate dalla ricorrente nel primo motivo qui in esame non colgono neanche la ratio decidendi della motivazione impugnata, perchè la Corte di appello non ha affatto affermato che il conferimento dei soci integrasse un finanziamento come tale rimborsabile a quest’ultimi, ma al contrario un conferimento in futuro aumento di capitale condizionato risolutivamente alla mancata deliberazione di aumento di capitali entro un arco temporale circoscritto (20.1.2006), con la conseguenza che la restituzione di quanto versato a tale titolo dei soci doveva essere eseguita ex art. 2033 c.c., secondo le regole dell’indebito oggettivo, per essere venuta meno, in assenza della delibera straordinaria di aumento del capitale, la causa giustificatrice dell’attribuzione stessa.
3.4 Tale ricostruzione dell’istituto qui in esame è peraltro conforme a quanto affermato da questa Corte, in merito alla qualificazione giuridica dei versamenti effettuati dai soci in futuri aumenti di capitale.
Sul punto, è stato infatti recentemente affermato che, in tema di società di capitali, le erogazioni in conto di futuro aumento di capitale effettuate da un socio in favore della società, condizionate all’adozione della relativa delibera di aumento capitale entro un determinato termine, nel caso di mancata adozione della delibera, determinano a carico della società l’obbligo di restituzione di quanto erogato dal socio a tale titolo, poichè in tal caso l’erogazione determina un aumento di capitale solo potenziale, destinato a divenire effettivo solo a seguito della delibera di aumento (così, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 31186 del 03/12/2018).
3.4.1 Invero, le erogazioni dei soci in conto futuro aumento di capitale (come anche quelle semplicemente in conto aumento di capitale), pur se normalmente tradotte in sostegno finanziario alla società, si caratterizzano per il fatto di non presupporre necessariamente un definitivo incremento del patrimonio sociale, come invece accade nel caso dei versamenti o dei contributi in conto capitale. E’ stato infatti precisato, nell’arresto da ultimo menzionato (n. 31186/2018), che “La pratica commerciale certamente conosce situazioni in cui tali erogazioni delineano la funzione di conferimenti anticipati – per esempio i versamenti eseguiti in occasione di un aumento di capitale “scindibile” (cioè destinato a essere mantenuto fermo qualunque risulti esserne l’ammontare definitivamente sottoscritto, anche se inferiore al limite massimo fino al quale era stato deliberato). Ma quella stessa pratica conosce pure situazioni opposte, in cui le erogazioni affluiscono al patrimonio netto della società solo dopo aver ricevuto una irreversibile imputazione al capitale sociale: per esempio, i versamenti eseguiti in funzione di un aumento non ancora deliberato, e quindi giustappunto futuro, oppure eseguiti in funzione di aumento “inscindibile”. In questi casi, se l’aumento di capitale non venisse più deliberato, quanto meno entro un termine ragionevolmente prossimo, oppure non potesse essere attuato a causa della sua mancata integrale sottoscrizione, il soggetto erogante ha il diritto di richiedere alla società stessa la restituzione di quanto erogato”.
3.4.2 Ne consegue che tali tipologie di erogazioni possono affluire al patrimonio netto della società percipiente solo una volta che abbiano ricevuto un’irreversibile imputazione al capitale sociale, a meno che il socio non abbia inteso devolverle, con manifestazione inequivoca di volontà, al patrimonio sociale convertendole in contributi in conto capitale o a fondo perduto ovvero ancora a copertura perdite (così, sempre Cass. n. 31186/2018, cit. supra).
3.4.3 Detto altrimenti, se l’erogazione del socio è eseguita in conto di un futuro aumento di capitale, si è in presenza di una copertura anticipata di un aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato, ovvero a un conferimento solo potenziale, che non diventa effettivo se non nel momento in cui vada ad imputarsi nel capitale sociale. Con la conseguenza che persiste il diritto ad ottenere la restituzione ove non si verifichi la specifica condizione di perfezionamento individuata all’atto dell’erogazione, “come conseguenza del meccanismo risolutivo, secondo uno schema condizionale non dissimile a quello – nel distinto caso ovviamente ispirato a condizione sospensiva – che si ha ove il socio si sia obbligato nei confronti della società a sottoscrivere un determinato aumento di capitale prima che lo stesso sia formalmente deliberato dall’assemblea (così, sempre Cass. n. 31186/2018, cit. supra), dovendosi ritenere validamente assunta una simile obbligazione come subordinata alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze (v. Cass. n. 8876-06).
3.4.4 Ciò che deve essere chiaro è che le erogazioni in conto futuro aumento di capitale debbono essere risolutivamente condizionate alla deliberazione di aumento da assumere entro un certo termine, come peraltro accertato in fatto nel caso in esame dalla Corte territoriale (cfr. pagg. 6-7 della sentenza impugnata).
Ne consegue che la censura proposta dalla ricorrente si pone in evidente contrasto con i principi affermati dalla costante e ripetuta giurisprudenza espressa da questa Corte, in ordine ai criteri qualificatori dei contributi dei soci nelle categorie dei finanziamenti (mutuo), dei conferimenti in conto capitale e, infine, dei conferimenti in futuro aumento di capitale (cfr. da ultimo Cass. n. 31186/2018, cit. supra; v. anche meno recentemente: Sez. 1, Sentenza n. 21563 del 13/08/2008; Sez. 1, Sentenza n. 2758 del 23/02/2012; Sez. 1, Sentenza n. 25585 del 03/12/2014).
4. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile sia perché non chiarisce ove la questione della valutazione delle risultanze della C.t.u. fosse stata proposta dalla ricorrente innanzi al giudice del gravame (risultando dunque la censura non autosufficiente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6) sia perchè la doglianza, per come proposta, è volta a richiedere alla Corte di legittimità una rilettura diretta di un mezzo istruttorio.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020
Niccolò si è laureato in Giurisprudenza ad ottobre 2019 con il massimo dei voti all’Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi in Diritto Fallimentare.
Da maggio 2020 collabora con l’area di Diritto Commerciale della rivista Ius In Itinere.