Concorrenza sleale e diritti di privativa: la disciplina alla scadenza della tutela del “modello non registrato”
1. Introduzione
La scadenza della tutela triennale accordata ad un modello non registrato “non implica di per sé il rigetto della domanda di concorrenza sleale, la quale – in effetti – si nutre di altri presupposti”.
Il 2021 si apre in modo discretamente favorevole per Xiaomi, colosso cinese dell’elettronica di consumo; il Tribunale di Torino ha infatti deciso di accogliere parzialmente il ricorso dell’azienda sinica. La società cinese chiedeva, nel caso di specie, la condanna di un’impresa concorrente per aver realizzato dei fitness tracker identici ai propri, ma, prima di addentrarci nel vivo della questione, facciamo un passo indietro.
I prodotti di Xiaomi in questione rientrano nella categoria dei modelli non registrati, disciplinati quindi dal Regolamento europeo n. 6/2002 [1]. L’articolo 3 dello stesso Regolamento definisce il disegno o modello come “aspetto di un prodotto o di una sua parte quale risulta in particolare dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale e / o dei materiali del prodotto stesso e / o del suo ornamento”. Le caratteristiche che deve avere un modello per l’Unione europea vengono individuate negli aspetti della novità, quando nessun modello identico sia stato divulgato al pubblico e del carattere individuale, rilevato nel momento in cui l’impressione che il modello provoca in un utilizzatore informato si differenzia in modo significativo da quella generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi modello divulgato al pubblico. Ciò che più interessa in questa sede, però, è la durata della protezione fornita ai modelli non registrati ed essa viene indicata dall’articolo 11 del Regolamento ed individuata nel “periodo di tre anni decorrente dalla data in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità” [2]. Poste tali premesse, è possibile analizzare nello specifico l’ordinanza in questione [3].
2. Il fatto: tra concorrenza sleale e termini di tutela
Xiaomi, avendo notato sul mercato un prodotto di una società concorrente essenzialmente identico al proprio, mirava ad ottenere un’inibitoria avverso la commercializzazione dell’articolo in questione oltre al ritiro dello stesso dal mercato. L’azienda cinese, si legge nei documenti, il giorno 12 giugno 2019 pubblicizzava per la prima volta nel mercato europeo il proprio fitness tracker: il 12 giugno 2019 è considerata quindi la data di inizio della tutela triennale attribuita dall’ordinamento nazionale e da quello europeo al modello non registrato in analisi. L’impresa concorrente, però, portava alla luce una circostanza fondamentale: il modello immesso nel mercato nel giugno 2019 era stato in realtà preceduto da alcuni articoli simili, sempre appartenenti a Xiaomi e commercializzati già a partire dal 2016, di conseguenza la tutela del modello non potrebbe estendersi anche al 2021, essendo di fatto scaduta.
Il Tribunale di Torino riteneva fondata la tesi della parte convenuta: la domanda del colosso cinese, fondata sulla violazione di un modello non registrato, non poteva essere accolta “per lo spirare del termine triennale di protezione, in quanto le successive lievi (e non sostanziali) modifiche apportate dalla ricorrente al proprio modello non possono giustificare ogni volta la tutela industrialistica del modello non registrato”. La ratio di tale orientamento è quella di garantire la protezione al modello non registrato per un periodo di tempo corrispondente a tre anni; se qualsiasi modifica lieve o sostanziale facesse sorgere nuove privative triennali, l’istituto verrebbe inevitabilmente snaturato, perdendo quel carattere di certezza che la tutela attualmente possiede.
Il punto di svolta dell’ordinanza però è un altro. Secondo il giudice torinese, “il rigetto della domanda fondata sull’esistenza di un valido modello non registrato, non implica di per sé il rigetto della domanda di concorrenza sleale, la quale – in effetti – si nutre di altri presupposti”.
Ciò vuol dire che, pur essendo scaduta la tutela triennale accordata al modello registrato, è possibile l’accertamento della fattispecie di concorrenza sleale e, a sostegno di questa tesi, il giudice cita due precedenti del Tribunale di Venezia [4]: “L’esclusione della contraffazione di un modello industriale, in quanto quello di cui si afferma l’illiceità presenta carattere individuale, non osta all’accertamento, con riferimento agli stessi prodotti, della concorrenza sleale per imitazione servile, atteso che quest’ultima richiede l’accertamento della confondibilità tra i prodotti quanto alle imprese di provenienza, parametrata alla diligenza del consumatore medio, e non a quella – più elevata – richiesta per l’utilizzatore informato nell’ambito della valutazione del carattere individuale dei modelli”.
Nel caso di specie la domanda di concorrenza sleale risultava fondata nel punto in cui prevedeva l’utilizzo da parte della convenuta della stessa immagine usata dall’azienda ricorrente sulla confezione di vendita del prodotto o comunque di una fotografia così simile da risultare oggettivamente confondibile per qualsiasi osservatore, compreso il consumatore medio, considerato il parametro – tipo per la valutazione della fattispecie di concorrenza sleale. L’aspetto rilevante, in questo caso, non sarebbe tanto il diritto d’autore sulle fotografie da parte di una o dell’altra azienda, quanto il rischio di confusione, nonché quello di associazione tra i prodotti e le imprese. Vero è che il mercato risulta “affollato” da fotografie simili e prodotti altrettanto similari ma, secondo il Tribunale, tale affollamento non consentirebbe comunque di commercializzare un prodotto di fatto identico a quello di un concorrente, non essendo considerata necessaria la forma dell’oggetto in questione ma, anzi, esistendo un ventaglio estremamente ampio di variazioni consentite per la tipologia del bene in analisi.
3. Conclusioni
La domanda di Xiaomi, rigettata sotto il profilo della contraffazione a causa della scadenza del termine triennale prescritto dal Regolamento CE, è stata accolta, in definitiva, sotto il duplice profilo di concorrenza confusoria (in relazione all’effettiva origine del prodotto) e di appropriazione di pregi (in considerazione dell’utilizzo sulla confezione di vendita dell’immagine simile, se non identica) ex articolo 2598 c.c., rispettivamente n. 1 e 2.
A sostegno di tale interpretazione, il Tribunale richiamava diversi precedenti in materia affermando che: “Il giudizio di confusione tra prodotti per imitazione servile va effettuato con riferimento alla percezione che di essi può avere il consumatore medio e ha per contenuto il modello complessivamente considerato e non già le sue singole componenti. Il consumatore medio è infatti in grado di rilevare non tanto le differenze, quanto le somiglianze, dal momento che sono gli elementi comuni ad incidere in maniera preponderante sul rischio di associazione. Tale considerazione deriva dalla circostanza che il consumatore medio, al momento della scelta non ha la possibilità di effettuare un esame comparativo diretto, dato che al momento dell’acquisto visiona solo uno dei prodotti, mentre, dell’altro, conserva solo la memoria. Pertanto, la decisione del consumatore medio è determinata da un giudizio finale di sintesi e di impressione. Sempre al fine di accertare l’esistenza della fattispecie della confondibilità tra prodotti per imitazione servile, è inoltre necessario che la comparazione tra i medesimi avvenga non tanto attraverso un esame analitico e separato dei singoli elementi caratterizzanti, bensì mediante una valutazione di tipo sintetico, ponendosi nell’ottica del consumatore medio” [5].
Di fatto la commercializzazione di un prodotto che, riproducendo diversi aspetti di un altro bene, sia idoneo ad ingenerare nel consumatore medio una confusione riguardo alla provenienza dello stesso (che possa cioè indurre a ritenere che entrambi i prodotti provengano dal medesimo produttore o, in alternativa, che le due aziende siano in qualche modo legate da rapporti commerciali) rientra nella fattispecie disciplinata dal primo comma dell’articolo 2598 c.c. Il fulcro della tutela è riscontrabile nella confondibilità attuata attraverso l’imitazione servile di alcune caratteristiche esteriori del bene originario; la condicio sine qua non è che la caratteristica imitata sia individualizzante, poiché un aspetto non individualizzante non avrebbe alcun tipo di rilevanza ai fini della configurabilità di un illecito di questo tipo.
Il giudice, citando un altro precedente [6], ricorda che “la tutela anticoncorrenziale contro l’imitazione servile può essere più incisiva di quella prevista dalla disciplina a tutela dei modelli”, essendo quest’ultima “parametrata alla diligenza del consumatore medio e non a quella – più elevata – richiesta per l’utilizzatore informato nell’ambito della valutazione del carattere individuale” [7].
Il rischio di sviamento della clientela e di perdita degli investimenti per Xiaomi sono poi presuntivamente provati secondo l’id quod plerumque accidit, ossia sulla base della comune esperienza del consumatore, poiché è ovvio che la prosecuzione della vendita dei prodotti della convenuta, identici a quelli della ricorrente ma caratterizzati da un prezzo sicuramente inferiore, provocherebbe un ingente danno al colosso cinese dell’elettronica. Di conseguenza, il Tribunale, riconoscendo l’efficacia dell’inibitoria fondata sulla sola concorrenza sleale e limitata al territorio italiano, ha proibito la commercializzazione e quindi la produzione, la vendita, l’importazione, l’esportazione e la pubblicizzazione degli articoli in questione. Il giudice torinese ha anche ordinato, ex articoli 2599 c.c. e 700 c.p.c., il ritiro dal mercato della merce già in circolazione, fissando una penale del valore di 100 euro per ogni prodotto rinvenuto in commercio e una del valore di 2 mila euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del rit
[1] Il Regolamento è consultabile su: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A32002R0006
[2] Il secondo paragrafo dell’articolo 11 del Regolamento n. 6/2002 precisa che un modello o disegno non registrato si considera divulgato al pubblico nella Comunità se “è stato pubblicato, esposto, usato in commercio o altrimenti reso pubblico in modo tale che, nel corso della normale attività commerciale, tali fatti potevano ragionevolmente essere conosciuti dagli ambienti specializzati del settore interessato operanti nella Comunità”.
[3] L’ordinanza del 15/01/2021 del Tribunale di Torino, Sezione imprese, è consultabile su: https://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANI_VERTICALI/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2021/01/21/Trib_Torino.pdf .
[4] Trib. Venezia, ord. 13/02/2008 e Trib. Venezia, ord. 13/05/2005.
[5] Cass., n. 29775/2008; Trib. Milano, 25/12/2015; RG n. 61556/2015.
[6] Trib. Napoli, ord. 01/07/2007.
[7] F. M. Grifeo, “Concorrenza sleale anche se la tutela del “modello non registrato” è scaduta”, in Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 2021, consultabile su: https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/concorrenza-sleale-anche-se-tutela-marchio-non-registrato-e-scaduta-ADqlYfEB?refresh_ce=1 .
Si legga anche: BRAMANTE, La tutela giuridica della forma dei prodotti: disegno, modello o design?, Ius in itinere, disponibile al link https://www.iusinitinere.it/la-tutela-giuridica-della-forma-dei-prodotti-disegno-modello-o-design-10733