Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2020, n. 14254
commento breve a cura della Dott.ssa Elena Terrizzi
Con la presente sentenza la Suprema Corte ha statuito l’efficacia della fideiussione – qualora espressamente prevista nell’oggetto sociale di società di persone – ritenendo che il terzo contraente non sia tenuto ad effettuare alcuna indagine per verificare se l’atto sia o meno idoneo a soddisfare un concreto interesse per la società.
In altri termini, in un’ottica di tutela dell’affidamento dei terzi, il dato letterale dell’art. 2298 cod. civ. pone in evidenza la necessità di far riferimento al dato oggettivo della previsione contenuta nell’oggetto sociale, senza che si renda necessario un accertamento caso per caso in merito all’effettiva strumentalità dell’atto compiuto rispetto all’oggetto sociale stesso.
Cassazione civ., sez. III – Sentenza 8 Luglio 2020, n. 14254
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Presidente Travaglino – Relatore Sestini
Fatti di causa
La M.I s.a.s. di M.G. & C. propose opposizione, unitamente alla T.S. s.r.l. e a M.G. e W., avverso il decreto ingiuntivo emesso ad istanza della Banca di Credito e Risparmio di Romagna s.p.a. per il pagamento della somma di 540.853,52 Euro, pretesa a fronte dell’esposizione debitoria della T.S. s.r.l., in favore della quale si erano costituiti fideiussori sia la M.I. s.a.s. che M.G. e W.. Il Tribunale di Forlì dichiarò l’inefficacia della garanzia prestata dalla M.I. s.a.s., in quanto non sussisteva evidenza che la fideiussione fosse strumentale rispetto all’oggetto sociale, ordinando pertanto la cancellazione dell’ipoteca iscritta nei suoi confronti; inoltre, revocato il decreto ingiuntivo, condannò gli altri opponenti al pagamento della minor somma di 431,246,80 Euro. Pronunciando sul gravame proposto dalla Cassa di Risparmio di Ferrara (che aveva incorporato l’originaria opposta), la Corte di Appello di Bologna ha parzialmente riformato la sentenza, accertando “la validità e l’efficacia delle fideiussioni rilasciate dalla M.I. s.a.s. a favore dell’allora B.C.R. di Romagna s.p.a.” e condannando pertanto anche la M.I. s.a.s. al pagamento della somma dichiarata spettante alla Banca dal primo giudice. La Corte ha affermato, fra l’altro, che “l’oggetto sociale della M.I. s.a.s. prevede anche la possibilità, per la detta società, operante nel settore immobiliare, di “contrarre mutui, anche ipotecari, prestare avalli, fideiussioni ed ogni altro tipo di garanzia reale o personale anche a favore di terzi” e che “il fatto che il rilascio di fideiussioni rientrasse nell’oggetto sociale della M.I. s.a.s. era sufficiente ai fini dell’accertamento dell’efficacia, nei confronti del terzo B.C.R. di Romagna, delle garanzie in questione“, atteso che, “qualora l’atto in contestazione sia compreso nell’oggetto sociale di una società di persone, non può pretendersi che il terzo contraente effettui un’indagine per verificare se lo stesso sia o meno idoneo a soddisfare un concreto interesse per la società“; ha aggiunto che “tale profilo sarebbe sicuramente rilevante nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la responsabilità degli amministratori per aver posto in essere atti contrari all’interesse della società (…). Il che non è nel caso di specie essendo in contestazione l’efficacia di un negozio, compreso nell’oggetto sociale della M.I. s.a.s., concluso, con un terzo, dal suo socio accomandatario”. Ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo, la M.I. s.a.s. di M.G. & C, rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), il quale ha agito anche in proprio, quale procuratore antistatario, chiedendo la riforma del capo della sentenza con il quale è stato condannato alla restituzione delle spese allo stesso corrisposte per il giudizio di primo grado. Ha resistito, con controricorso illustrato da memoria, C.C.M. s.p.a., quale mandataria della P. SPV s.r.l., ultima cessionaria della posizione creditoria nei confronti della M.I. s.a.s..
Il ricorso è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria dell’8.10.2019.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2298 e 2315 c.c., per avere la Corte di Appello “errato in diritto, avendo ritenuto sufficiente l’astratta previsione della facoltà di rilasciare fideiussioni nell’oggetto sociale”, rilevando come la decisione impugnata si ponga in contrasto con i principi espressi da Cass. n. 25409/2016, secondo cui, “ai fini della valutazione della pertinenza di un atto degli amministratori di una società all’oggetto sociale, il criterio da seguire è quello della strumentalità, diretta o indiretta, dell’atto rispetto all’oggetto sociale stesso, inteso come la specifica attività economica (di produzione o scambio di beni o servizi) concordata dai soci nell’atto costitutivo in vista del perseguimento dello scopo proprio dell’ente, mentre non è sufficiente il criterio della astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere; da un lato, infatti, la elencazione statutaria di atti tipici non potrebbe mai essere completa, data la serie infinita di atti, di vario tipo, che possono essere funzionali all’esercizio di una determinata attività; dall’altro, anche l’espressa previsione statutaria di un atto tipico non assicura che lo stesso sia, in concreto, rivolto allo svolgimento di quella attività”.
2. Il motivo è infondato. Premesso che è pacifico che nell’oggetto sociale della M.I. s.a.s. era espressamente prevista la possibilità di “prestare avalli, fideiussioni ed ogni altro tipo di garanzia reale o personale anche a favore di terzi”, deve considerarsi che: la sentenza di appello appare coerente col dettato dell’art. 2298 c.c., che evidenzia la necessità di fare riferimento all’oggetto sociale, fatte salve le limitazioni risultanti dall’atto costitutivo o dalla procura (semprechè siano iscritte nel registro delle imprese o siano comunque provate conosciute dai terzi), con ciò mostrando di considerare rilevante il dato oggettivo della previsione dell’atto nell’oggetto sociale, senza suggerire la necessità di un accertamento caso per caso della sua effettiva strumentalità rispetto a tale oggetto; nell’ottica di un bilanciamento fra le ragioni della società e quelle dell’affidamento dei terzi, tale norma riconosce dunque rilievo preminente al dato della formale indicazione dell’atto nell’oggetto sociale, senza rimandare ad una verifica in concreto della strumentalità, mediante un accertamento che sarebbe decisamente arduo per il terzo e che introdurrebbe elementi di persistente incertezza circa l’efficacia di singoli atti, pur astrattamente previsti nell’oggetto sociale; va segnalato, al riguardo, come già Cass. n. 4774/1999 avesse evidenziato la necessità di tutelare l’affidamento dei terzi rilevando che, “in tema di limiti ai poteri degli amministratori delle società derivanti dall’oggetto sociale, l’introduzione, in relazione alla disciplina delle società di capitali, delle regole contenute negli artt. 2384 e 2384 bis c.c. – che, a differenza di quanto dispone, per le società di persone, l’art. 2298 c.c., escludono che le predette limitazioni, pur se pubblicate, siano opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società, e comunque che l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società possa essere opposta ai terzi in buona fede – non è suscettibile di applicazione analogica nei confronti delle società di persone, regolate da specifiche norme. Tuttavia, essa svolge un indubbio effetto di “irraggiamento” sull’intero sistema, nel senso di imporre, anche in relazione alle società da ultimo citate, in ossequio al principio della tutela dell’affidamento dei terzi, una concezione più sfumata dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori derivanti dall’oggetto sociale, da intendere con molta larghezza”; va pertanto superato il diverso principio espresso da Cass. n. 25409/2016 che, peraltro, faceva riferimento ad un’ipotesi in cui – a differenza del caso in esame – l’oggetto sociale faceva solo generico riferimento a “tutte le operazioni immobiliari” e a “tutte le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione occorrenti per il raggiungimento dell’oggetto sociale” e nella quale l’atto ritenuto eccedente era consistito nella vendita di tutti i terreni della società, in cui era stata ravvisata una “sostanziale liquidazione del patrimonio della società stessa”; deve peraltro precisarsi, sempre nell’ottica dell’equo bilanciamento sopra indicato, che, a fronte di un’espressa previsione statutaria che contempli un atto fra quelli consentiti a chi abbia la rappresentanza di una società di persone, non dovrà essere il terzo a dimostrare l’effettiva pertinenza dell’atto all’oggetto sociale, ma potrà essere la società a provare – con onere a suo carico – che, a prescindere dalla formale previsione, l’atto compiuto è estraneo all’oggetto sociale.
3. L’evidenziato contrasto giurisprudenziale giustifica la compensazione delle spese di lite.
4. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2020.