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La riforma del processo di nullità matrimoniale: il ruolo del Vescovo-Giudice e gli effetti civili delle sentenze

a cura di Pietro Cirillo

Nel Concistoro dedicato ai problemi della famiglia, riunito a Roma il 20-21 febbraio 2014, si erano alzate voci di biasimo e qualche recriminazione per l’operato dei tribunali ecclesiastici, considerati poco pastorali, lontani dalle persone nonché troppo lenti.

In questi ultimi anni si sono deplorate le lungaggini, le inefficienze, gli elevati costi delle procedure di nullità. Inevitabile, dunque, che gli echi di queste lagnanze risuonassero al Sinodo dei Vescovi, convocato in III Assemblea Generale Straordinaria dal 5 al 19 ottobre del 2014, e incardinato su Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.

Questa sollecitazione dei Vescovi per la ricerca di antidoti ai vizi lamentati è pertanto parzialmente confluita nei Lineamenta approntati in vista del Sinodo successivo in Assemblea Ordinaria che, per volere del Sommo Pontefice, si sarebbe celebrato l’anno seguente.

Con la promulgazione dei motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus, del 15 agosto 2015, in risposta alle anzidette sollecitudini, è stata introdotta la tanto auspicata riforma del processo canonico di nullità matrimoniale fortemente voluta dal Santo Padre Francesco, in qualche modo allertato dalle inquietudini sempre più dilaganti.

Le problematiche connesse all’organizzazione e all’operato dei Tribunali ecclesiastici sono state superate proprio con la predetta riforma, basata sul principio della centralità del Vescovo, quale Giudice naturale dei fedeli; su quello della sinodalità del servizio della giustizia e sul principio della prossimità del Giudice e della celerità e semplicità del giudizio.

Tuttavia, la novella del processo di nullità matrimoniale, seppure volta alla semplificazione del procedimento, ha salvaguardato il principio della indissolubilità del vincolo matrimoniale, prevedendo quella giudiziale come unica via per giungere alla nullità del matrimonio.

In particolare, la riforma in esame ha riguardato il settimo Libro del codice di diritto canonico, nella parte relativa alle cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio. Per di più, la novella ha assicurato il rafforzamento degli istituti del gratuito patrocinio e del patronato stabile.

Tra le altre innovazioni minori, il Codex Juris Canonici, nella versione post riforma prevede che prima della causa, deve esservi l’accertamento dell’irrimediabile fallimento del vincolo matrimoniale e non il mero tentativo di conciliazione; che il processo ordinario può essere convertito in processo breve, che la sentenza di nullità del matrimonio, decorsi i termini di appello, diviene esecutiva, dopo la prima sentenza, così venendo meno il cosiddetto principio della doppia conforme.

Non v’è dubbio però che l’innovazione di maggiore rilievo introdotta dalla riforma del 2015 ha riguardato la figura del Vescovo-Giudice e l’acquisita centralità di quest’ultimo nel processo di nullità matrimoniale.

In altri termini, il Vescovo deve essere, per la sua comunità di fedeli e, più in generale, per la Chiesa tutta, pastore e guida, e dunque giudice tra i fedeli, essendo a lui affidata la salvezza delle loro anime.

In conformità al ruolo teologico che il Vescovo è chiamato ad assumere, in quanto detentore dei poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, la nuova disciplina del processo di nullità matrimoniale è stata semplificata e snellita, al fine di non incidere ulteriormente sulla sofferenza di quei fedeli che vivono in una condizione di vita irregolare.

Ciò che, allora, emerge dalla riforma, è che il Vescovo, oltre ad essere chiamato ad un ruolo di maggiore vicinanza ai fedeli, è anche garante di un processo di natura giudiziale, è giudice necessariamente terzo ed imparziale.

Al fine di garantire tale imparzialità e terzietà, il Vescovo, nel processus brevior, non opera da solo, ma è coadiuvato da altre figure: il vicario giudiziale, un istruttore e un assessore.

Il processo breve è rito al quale si può accedere solo nei casi in cui la domanda sia proposta congiuntamente da entrambe i coniugi sin dall’inizio o da uno solo di essi con il consenso dell’altro e quando ricorrono circostanze che rendono manifesta la nullità e che, pertanto, non richiedono un’inchiesta o un’istruttoria particolarmente accurata. Parliamo di un processo che può concludersi entro i quarantacinque giorni.

Le sentenze pro nullitate matrimonii pronunciate dai Vescovi, così come quelle dei tribunali ecclesiastici, sono dichiarate efficaci nella Repubblica Italiana mediante il procedimento di delibazione. Inoltre, le sentenze divenute esecutive non sono intangibili: in qualunque momento si può ricorrere con una Nova Causae Propositio, adducendo nuove e più gravi prove o argomenti.

Tale facoltà è stata parzialmente limitata dal Sommo Pontefice, il quale in un rescritto del 2015, ha stabilito che non è ammesso il ricorso se una delle due parti ha già contratto un nuovo matrimonio canonico.

A distanza di cinque anni dalla riforma di papa Francesco viene da chiedersi quali ricadute pratiche ha avuto realmente l’introduzione del processo breve.

Certamente la strada per una completa ed efficiente applicazione ed attuazione dello spirito riformistico è ancora tutta in salita, ma è già possibile segnalare un’importantissima sentenza della Corte d’Appello di Lecce [1] la quale, per la prima volta in Italia, a quanto risulta, affronta il problema della delibazione di una sentenza ecclesiastica che scaturisce dal processus brevior a seguito della riforma di Papa Francesco.

La Corte Leccese ha affrontato la vicenda dell’ammissibilità nell’Ordinamento civile di questa sentenza emessa dal Vescovo della Diocesi di Nardò-Gallipoli sia sotto il profilo processuale sia del merito, evidentemente superando tutte quelle perplessità che in dottrina [2] erano state sollevate in merito alla possibilità di delibazione della sentenza frutto del processo breve: “Quanto al merito – scrivono i magistrati salentini – deve rilevarsi che nel caso in esame sono stati rispettati tutti i principi espressamente previsti ed attinenti: alla competenza del giudice che ha pronunciate la sentenza; alla conoscenza dell’atto introduttivo per entrambe le parti; all’osservanza del diritto di difesa e della regolare costituzione delle parti in giudizio secondo la legge dello Stato in cui si è svolto il processo; al passaggio in giudicato della sentenza secondo la stessa legge; alla non contrarietà ad altra sentenza resa da un giudice italiano e passata in giudicato; alla mancata pendenza dinanzi al giudice italiano di una causa avente lo stesso oggetto e le stesse parti ed iniziata prima del processo straniero ed alla carenza di effetti contrari all’ordine pubblico.

Nella fattispecie, inoltre, è pacifico che entrambe le parti abbiano partecipato regolarmente al giudizio: che la causa sia stata decisa con accoglimento della domanda di nullità del matrimonio per esclusione dell’indissolubilità e della prole da parte della donna; che sia stata notificata la sentenza di primo grado con l’avvertenza di proporre eventualmente appello nei termini previsti dalla legge canonica”.

Non ha quindi creato obice all’accoglimento in sede di Ordinamento Italiano l’estrema celerità del processus brevior, laddove sia escluso, come in effetti lo è stato, qualsiasi pregiudizio per la difesa delle parti.

Anche il dubbio avanzato in vari sedi circa l’impossibilità di delibazione di queste sentenze, in quanto il processo deve svolgersi dinanzi a un giudice imparziale e predeterminato per legge, e che potrebbe non essere rispettato nel processo breve, non ha destato problematiche nella Corte Leccese.

Così come le critiche circa la natura effettivamente giudiziaria di questo processo che, ribadiamo, la Corte non ha ritenuto fondate, riconoscendo, invece piena dignità processuale all’iter procedimentale svoltosi innanzi al Vescovo Diocesano.

Quanto, infine, al rispetto del principio dell’ordine pubblico, la sentenza stabilisce che: “… la pronuncia ecclesiastica non contrasta con i principi dell’ordine pubblico italiano poiché la causa di nullità ivi ritenuta sussistente si atteggia in modo non dissimile dall’ipotesi della simulazione prevista dall’art. 123 c.c. …”.

Nel caso di specie non viene neppure in discussione, in particolare, la violazione dell’inderogabile principio di ordine pubblico della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, perché “tale principio, ancorché inderogabile si ricollega ad un valore individuale che appartiene alla sfera di disponibilità del soggetto ed è quindi rivolto a tutelare detto valore contro gli ingiusti attacchi esterni, non contro la volontà del suo titolare, al quale deve essere riconosciuto il diritto di optare per la non conservazione di un rapporto viziato per fatto dell’altra parte”, con la conseguenza “che l’indicato ostacolo alla delibazione non può essere ravvisato quando il coniuge (che ignorava o non poteva conoscere il vizio del consenso dell’altro coniuge) chiede la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica da parte della Corte d’Appello ovvero non si opponga a tale declaratoria”[3].

In conclusione, nonostante il meccanismo processuale definito dalla riforma sia già operativo da qualche anno, occorrerà ancora del tempo per valutare le ricadute concrete sul piano applicativo di tale novella.

 

[1] Corte di Appello di Lecce, sentenza del 07.11.2017, v. AVV. S. SINISI, Commento a sentenza ed osservazioni critiche (a cura di) – http://www.prontoprofessionista.it/articoli/6213/nullit%E0-del-matrimonio-religioso-e-delibazione, 2018.

[2] In relazione a tali perplessità e critiche si rinvia, a titolo meramente esemplificativo, a La delibazione delle sentenze

canoniche di nullità matrimoniale dopo la riforma del processo matrimoniale canonico di M.O. ATTISANO in Rivista di Diritto Ecclesiastico e Pluralismo Religioso n.2/2016, Forme di pluralismo nel settore matrimoniale: le nuove sfide delle “overlapping jurisdictions” di A. MADERA in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale n.31/2017, Nullità del matrimonio religioso e delibazione di A. GULLO. Cf. anche Il giusto processo di delibazione e le “nuove” sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale di N. COLAIANNI in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale n.39/2015, nonché L’efficacia civile in Italia delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale dopo il Motu Proprio Mitis iudex di G. BONI in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale n.5/2017, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi di G. BONI in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale 9/2016, Giurisprudenza creative, sopravvivenza e crisi del sistema matrimoniale concordatario di G. FATTORI, in Ius Ecclesiae n.2/2017. (http://www.prontoprofessionista.it/articoli/6213/nullit%E0-del-matrimonio-religioso-e-delibazione/);

[3] Sentenza del Tribunale Ecclesiastico Diocesano di Nardò – Gallipoli e la Sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 07.11.2017.

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