Covid-19: crisi sanitaria e dati economici
Quale mondo sarà quello che ci troveremo davanti all’indomani della crisi sanitaria? Come cambieranno le nostre vite, come dovremo rapportarci ai mutamenti inesorabili, e soprattutto, torneremo a riassaporare la speranza di una crescita economica vigorosa e sostenibile?
Tutti questi interrogativi sono il sale della vita di ogni persona all’indomani della paura (ancora in corso), causata dall’avvento del Covid-19. Molte le difficoltà, soprattutto nella classe media, erano già evidenti ben prima che ci fosse l’ondata virale, ma col suo imperversare, ogni cosa difficile da realizzare sembra adesso impresa impervia, e lo scoramento, condito da una buona dose d’incertezza, pare avere la meglio sui sogni di gloria.
A dar man forte alle tesi pessimistiche sono gli studi di alcune importanti istituzioni internazionali. Nel suo ultimo report sullo stato dell’economia globale, la Banca mondiale stima che la pandemia da Covid-19 rischia di portare in auge una delle peggiori recessioni economiche dal 1870, portando con sé un drammatico aumento dei livelli di povertà. Gli esperti che hanno curato il documento hanno preso in considerazione la situazione economica di 183 paesi e ne è risultato che il 90% subirà un brusco calo del PIL.
Dai dati raccolti si stima una contrazione media di circa il 5,2%. Il dato desta ancora più preoccupazione se paragonato a quello notevole della crisi finanziaria del 2008 e considerando che la sua entità sarà almeno il doppio. Ironia della sorte, la contrazione più evidente, prevista al – 9,1%, sarà quella dell’area Euro, ma i contesti più penalizzati saranno i paesi in via di sviluppo e le economie emergenti. “Un colpo devastante per l’economia mondiale” lo ha definito David Malpass, presidente della Banca mondiale, che rivede al ribasso le stime del Fondo monetario internazionale (FMI) che ad aprile stimava un calo globale del 3%. Ci saranno più poveri e la chiusura delle scuole e la difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria di base avrà ripercussioni, sul lungo periodo, anche sullo sviluppo del capitale umano.
La crisi economica che toccherà i paesi già strutturalmente più deboli, sarà ovviamente più difficile da fronteggiare, a causa della mancanza di budget sufficienti e della difficoltà amministrativa di distribuire aiuti, come ad esempio le indennità di disoccupazione. All’inizio di giugno il FMI ha calcolato che le spese di bilancio per far fronte alla crisi rappresentavano l’1,4% del PIL nei paesi a basso reddito, il 2,8% nei paesi emergenti e l’8,6% nelle economie avanzate, che hanno maggior capacità delle altre di indebitarsi.
Inoltre, a dar manforte a questo trend negativo, c’è anche la questione economica legata ai benefit dell’immigrazione che si contrarranno a causa delle misure di precauzione anti Covid-19. Infatti, le rimesse dei migranti nei paesi di origine potrebbero diminuire del 19,7% nel 2020, con il rischio di incrementare la crisi sotto il profilo economico e sociale. Essendo inseriti nei settori lavorativi più colpiti dalla crisi, come ristorazione, alberghi, trasporti e vendita al dettaglio, i lavoratori della diaspora[1] sono i più esposti alla disoccupazione o alla perdita di reddito.
Come ha già sottolineato il vice presidente della Banca mondiale Ceyla Pazarbasioglu “la comunità globale deve unirsi per trovare il modo di pensare a una ripresa il più solida possibile così da impedire a più persone di diventare povere o disoccupate”. Basta pensare che le misure di distanziamento sociale che hanno portato alla chiusura di attività e servizi, avranno ripercussioni sui livelli di domanda e offerta, sul commercio e sulle attività finanziare, al punto da portare a stimare che i redditi pro capite diminuiranno del 3,6% e milioni di persone potrebbero arrivare a vivere in condizioni di estrema povertà. Nel mese di maggio scorso, la quota di persone indigenti si attestava intorno ai 60 milioni, ma secondo la Banca mondiale il dato è in vertiginosa ascesa[2].
Un fattore determinante da tener presente, è la correlazione tra i fenomeni economico-sociali innescati dalla pandemia e dalle relative politiche di contrasto messe in atto dagli Stati a tutela della salute pubblica. Si tratta di dinamiche che hanno l’effetto di sortire rilevanti cambiamenti sul comportamento razionale individuale, producendo impatti notevoli sui dati economici globali e su quelli statistici a livello aggregato. Uno studio recente condotto negli U.S.A., ha confermato una teoria che da tempo evidenzia il profondo legame tra l’incremento del tasso di disoccupazione e quello del risparmio privato, aggiungendo una variabile importante a sostegno della tesi: l’incertezza del futuro.
Le misure di distanziamento sociale e di privazione imposte dai governi hanno senza dubbio generato un limite alla capacità di spesa delle famiglie e prodotto un incremento del risparmio. Tuttavia, buona parte di questa tendenza è stata guidata da motivi precauzionali, legati alle prospettive epidemiologiche e lavorative. In effetti, anche dopo che l’economia ha riaperto e l’effetto del lockdown sui tassi di risparmio è svanito, i fattori precauzionali possono continuare a rappresentare un elemento importante.
D’altronde, le prospettive del mercato del lavoro statunitense e ancora di più quello europeo, per non parlare del contesto dei paesi in via di sviluppo, non sono accompagnate dai più floridi auspici. Le stime degli esperti lasciano spazio a grosse preoccupazioni: quasi la metà dei recenti licenziamenti potrebbero avere carattere permanente e sia le aspettative di breve che quelle di medio periodo sul tasso di disoccupazione appaiono in forte rialzo dopo il Covid-19.
Proprio il tasso di disoccupazione viene considerato un elemento dirimente del risparmio precauzionale, sia sul piano teorico che su quello empirico. Gli ultimi studi attestano che per un insieme di paesi avanzati (compresi gli Stati Uniti), un aumento di 1 punto percentuale del tasso di disoccupazione – utilizzato come approssimazione dell’incertezza sul reddito da lavoro – incrementa il tasso di risparmio di circa 0,3 punti percentuali. La ricerca mostra una relazione direttamente proporzionale tra le due variabili, ed inoltre, tiene in considerazione anche l’effetto di altre determinanti del risparmio, tra cui il reddito disponibile atteso.
Altri fattori possono alimentare il risparmio, ad esempio il calo della ricchezza attesa o i rischi di salute pubblica connessi a una nuova ondata epidemica oppure il verificarsi di nuovi lockdown su grande scala, dunque i calcoli proposti rappresentano solo una parte della storia. All’orizzonte potrebbe scorgersi un nuovo “eccesso di risparmio” a livello globale nella misura in cui le dinamiche osservate e previste non si verifichino solo per gli Stati Uniti. Ad esempio, volgendo lo sguardo ai dati raccolti nel vecchio continente nel primo trimestre 2020, si evince che il tasso di risparmio dell’area dell’euro è salito a quasi il 17%, rispetto al 12,7% del trimestre precedente: il più grande aumento rilevato dal 1999, anno in cui iniziarono gli studi UE su questa particolare variabile economica.
Come sostenuto da diversi economisti, il marcato incremento dei risparmi potrebbe contribuire a rafforzare alcune tendenze già esistenti come i bassi livelli di inflazione e del tasso di interesse reale[3]. Uno spiraglio di speranza arriva dalla Cina. Dopo una fase di assestamento della crescita economica già registratasi nel 2019, l’avvento del virus che ha paralizzato gli scambi commerciali è stato una doccia gelata, a maggior ragione per un paese che per caratteristiche strutturali ha la necessità di crescere ogni anno di almeno 7,5 punti % di PIL.
Per la prima volta, dopo ben quattro decenni di storia economica, la pandemia sortisce una contrazione notevole della locomotiva mondiale cinese: nel primo trimestre 2020 il PIL del Dragone è sceso del 6,8% rispetto allo stesso periodo del 2019. Se raffrontato al trimestre immediatamente precedente, il brusco calo si attesta addirittura al – 9,8%. L’Ufficio Nazionale di Statistica della Cina[4] rendeva noto che gli investimenti in asset fissi sono calati del 16% rispetto a un anno prima, mentre quelli in infrastrutture sono diminuiti del 20%. Il settore strategico dell’export registra un calo nel primo trimestre del 13,3%. Nel mese di marzo le vendite al dettaglio di beni di consumo risultano in calo del 16%, mentre la produzione industriale mensile ha recuperato fino a limitare il segno negativo all’1,1%[5].
Tuttavia, nonostante le misure di precauzione draconiane adottate dal governo di Pechino ed il contesto internazionale ancora in allarme sanitario, i segnali provenienti dalla Repubblica dei mandarini appaiono incoraggianti e potrebbero essere il volano per una rinascita a livello globale. Il 16 luglio 2020, l’ufficio nazionale di statistica annuncia un +3,2% del PIL rispetto allo stesso periodo del 2019, superando addirittura i più rosei auspici degli analisti. Il dato ha un valore simbolico importante, perché sembra confermare che la Repubblica Popolare si stia riprendendo dalla crisi virale non solo prima degli altri, essendo stata colpita prima, ma anche più rapidamente. Un risultato che sicuramente rafforza Xi Jinping e la leadership cinese a livello internazionale.
Quest’ascesa è sostenuta sia dal rinvigorimento delle esportazioni, in primis quelle relative al materiale sanitario, e soprattutto dalla produzione industriale, cresciuta del 4,8% anche a giugno. Inoltre, un ruolo sicuramente importante ha giocato la scelta del governo di dare un ulteriore stimolo all’economia, autorizzando gli enti locali a indebitarsi per finanziare i cantieri infrastrutturali. Una strategia non del tutto nuova della politica economica cinese, ma che ha carattere precario e transitorio, dato che città e province hanno già quasi esaurito la quota di indebitamento concessa loro per il 2020, quindi, nel secondo semestre potrebbero trovarsi con scarsa liquidità disponibile. Tuttavia, nulla toglie che in caso di difficoltà il governo potrà decidere di continuare ad allargare ulteriormente le maglie della borsa.
Una pecca è rappresentata ancora dal notoriamente forte settore delle vendite al dettaglio, che a giugno ha fatto registrare ancora un calo del -1,8%, a conferma del fatto che in questo lungo processo di arginamento del virus, la leggendaria classe media cinese non ha ancora ripreso le sue antiche abitudini di shopping compulsivo, fenomeno confermato anche dal trend negativo delle borse asiatiche[6].
Dall’altra parte del globo gli scenari futuri appaiano invece poco incoraggianti. Il riferimento è soprattutto a quelle realtà in cui i governi hanno adottato una politica di sicurezza sanitaria soft di contrasto al virus, con l’obiettivo dichiarato di sostenere la produzione ed il commercio, scongiurando l’ipotesi di un lockdown in salsa italocinese. Purtroppo, queste scelte hanno portato a risultati disastrosi, basta pensare che dei circa 460mila morti di coronavirus contabilizzati ufficialmente dal John Hopkins e registrati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sul nostro pianeta, oltre la metà sono sul continente americano, da un polo all’altro. Più di 100mila solo in America Latina: in testa il Brasile, seguito da Messico, Cile, Perù e Bolivia.
In un contesto socio-economico strutturalmente deficitario, che soffriva già di un trend di crescita ridottissimo registrato nell’ultimo lustro, l’avvento del Covid-19 si pone come fattore ulteriormente destabilizzante. L’esportazione di materie prime agricole, minerarie ed energetiche rappresenta la quasi totalità dei commerci della regione latina e considerando la caduta dei commerci internazionali degli ultimi anni dovuta alla guerriglia doganale tra Stati Uniti e Cina, la pandemia è stata un detonatore in una congiuntura debolissima, rappresentata da stagnazione poi tramutatasi in recessione.
La Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal) e la Banca Mondiale prevedono che per quest’anno il PIL dei paesi dell’intero sud America avrà un brusco calo: dal 6,4/6,8% del Messico e al 6,5/6,8% del Brasile al 3,8/4,1% della Bolivia. Si stima che la capacità d’acquisto dell’intera popolazione carioca verrà ridimensionata del 92,2%, colpendo in particolare le fasce meno abbienti, che costituiscono il 16,4% dei 212 milioni di brasiliani. Su dati in proporzione analoghi seguono Messico (96,6%), Cile (96,4%), Perù (93,7%), Bolivia (85,6%), che lasciano indenni se non addirittura leggermente avvantaggiate rispetto alle condizioni precedenti solo le rispettive e ristrettissime élite (tra il 4 e il 7% delle popolazioni), un dato questo che fa riflettere sulla crescente espansione dei livelli di disuguaglianza socio-economica che col virus, sembrano essere ancora più enfatizzati.
Con queste rilevanti problematiche di indebitamento, rese necessarie a causa delle enormi difficoltà di finanziamento dei deficit di bilancio, risultano quasi impossibili nuovi ed ingenti investimenti, allontanando le prospettive di recupero progressivo ad un orizzonte che si affaccia nel 2022 e forse anche oltre[7].
[1] A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications), Il grande balzo indietro dell’economia mondiale, 9 giugno 2020.
[2] Albachiara Re, Covid-19 ha scatenato la peggiore crisi economica mondiale dal 1945, 9 giugno 2020.
https://www.wired.it/economia/business/2020/06/09/coronavirus-banca-mondiale-crisi-economica/ Avvertono gli esperti che le persone in povertà estrema potrebbero aumentare tra i 70 e i 100 milioni entro la fine dell’anno.
[3] Valerio Ercolani, Nella crisi cresce il risparmio per precauzione, 17/07/2020.
https://www.lavoce.info/archives/68552/nella-crisi-cresce-il-risparmio-per-precauzione/
[4] Gianmarco Scortecci, Effetto covid: la pandemia arresta l’economia della Cina, 22 aprile 2020.
https://www.cesi-italia.org/articoli/1118/effetto-covid-la-pandemia-arresta-leconomia-della-cina
[5] Stefano Carrer, Cina, il coronavirus affossa il Pil: -6,8% nel primo trimestre. Primo segno meno dal 1992, 17 aprile 2020. https://www.ilsole24ore.com/art/cina-pil-crolla-68percento-primo-trimestre-primo-segno-meno-1992-ADmNgpK
[6]Filip Santelli, L’economia cinese corre fuori dal Covid più veloce del previsto. Così la pandemia rafforza Xi, 16 luglio 2020. https://www.repubblica.it/economia/2020/07/16/news/l_economia_cinese_corre_fuori_dal_covid_piu_veloce_del_previsto_cosi_la_pandemia_rafforza_xi-262075151/
[7] Livio Zanotti, Rischi e scenari per l’America Latina fra Covid e recessione, 20 giugno 2020.
https://www.startmag.it/mondo/rischi-e-scenari-per-lamerica-latina-fra-covid-e-recessione/
Fonte immagine: https://www.repertoriosalute.it/come-adattare-il-lavoro-alla-vita-con-il-covid-19/
Luigi Pone, nato a Napoli il 6/10/1985.
Laurea specialistica in Scienze della pubblica amministrazione, con voti 110 e lode.
Tesi di Laurea in Giustizia Costituzionale italiana e comparata.
Titolo Tesi: “La Corte Costituzionale garante della legge elettorale; riforma della Carta e implicazioni sul sistema di giustizia costituzionale.
Area di interesse: politica economica.
Interessi: politica e attualità, evoluzione del diritto costituzionale e del sistema di diritto amministrativo in chiave nazionale ed europea.
Lavoro attuale: consulente commerciale presso azienda di noleggio apparecchiature informatiche.
Obiettivi futuri: lavorare nella pubblica amministrazione nazionale o locale.