venerdì, Luglio 26, 2024
Criminal & Compliance

La Corte Costituzionale sulla diffamazione a mezzo stampa: carcere solo nei casi di eccezionale gravità

Lo scorso 22 giugno 2021, la Corte Costituzionale si è pronunciata dichiarando incostituzionale l’art. 13 della legge sulla stampa (l. n. 47 del 1948) il quale “fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa”.

La questione circa l’illegittimità costituzionale veniva sollevata dai Tribunali di Salerno e di Bari in relazione alla pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, in quanto, come sollevato nell’ordinanza n.132 del 2020, tale legge si trovava in contrasto con l’art. 21 Cost. e l’art. 10 CEDU.

Con l’ordinanza n.132 depositata il 26 giugno 2020, la Consulta ha rinviava la trattazione delle questioni al 22 giugno 2021 «in modo da consentire al legislatore di approvare una nuova disciplina».

Il bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione – si legge nel comunicato stampa – «non può (…) essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni. Il bilanciamento espresso dalla normativa vigente è divenuto ormai inadeguato, e richiede di essere rimeditato dal legislatore “anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (…), che al di fuori di ipotesi eccezionali considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive (…) nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui”, e ciò anche in funzione dell’esigenza di non dissuadere i media dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri».

Il nuovo bilanciamento – prosegue il comunicato stampa – «dovrà coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica (…) con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti; vittime che sono oggi esposte, dal canto loro, a rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito, agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca in internet. Un così delicato bilanciamento spetta primariamente al legislatore, che è il soggetto più idoneo a disegnare un equilibrato sistema di tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso – nei limiti della proporzionalità rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito – a sanzioni penali non detentive nonché a rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come in primis l’obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono l’autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema democratico. In questo quadro, il legislatore potrà eventualmente sanzionare con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravità dal punto di vista oggettivo e soggettivo, tra le quali si inscrivono segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio».

La questione, dunque, a distanza di un anno è stata ripresa dai Giudici della Corte Costituzionale, i quali hanno sin da subito chiarito che il medesimo contrasto non si pone per l’art. 595 c.p., che prevede nel caso di diffamazione a mezzo stampa la reclusione da sei mesi a tre anni, o in alternativa il pagamento di una multa.

Nell’ipotesi statuita dall’art. 595 c.p. è chiaro come il giudice sanzioni con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità; tuttavia l’esigenza di irrogare una pena detentiva deve essere sempre bilanciata con i principi già evidenziati nella ordinanza n. 132 del 2020.

La Corte Costituzionale, nel suo comunicato, conclude dicendo che: “Resta peraltro attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento – che la Corte non ha gli strumenti per compiere – tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, già evidenziati nell’ordinanza 132. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane”.

Si legga:

Comunicato della Corte Costituzionale del 22 giugno 2021: CC_ Diffamazione a mezzo stampa

Ordinanza n. 132/2020: pronuncia_132_2020

Comunicato della Corte Costituzionale del 26 giugno 2020: CC_CS_20200626105630

Si legga anche:

Oberto, La Corte di Cassazione sul tema della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa, Ius in itinere e, ancora, il comunicato ufficiale pubblicato al link

Maria Elena Orlandini

Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell'area Fashion Law e vice responsabile dell'area di Diritto Penale di Ius in itinere. Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio. Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo "Mass Media e criminalità" seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società. Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d'Impresa presso l'Università degli Studi di Padova - sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell'economia, con una tesi dal titolo "Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa", sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell'economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l'Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All'età di 27 anni consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Venezia. Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing. Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky. Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall'Università degli Studi di Firenze. Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza. Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere. email: mariaelena.orlandini@iusinitinere.it

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