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Diritti edificatori: punti di contatto e differenze con la cessione di cubatura

L’art. 5 n. 3 del Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106, ha integrato l’art. 2643 del codice civile[1]con il comma 2 bis, secondo cui devono essere resi pubblici mediante trascrizione «i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale»

Dalla littera legis è in primo luogo ravvisabile un chiaro ed espresso rinvio agli strumenti pianificatori di ogni livello. Il lesgilatore ha così posto una riserva positiva per tali istituti, non volendo creare confusione tra l’attività pubblicitaria, e dunque l’iscrizione e la trascrizione nei pubblici registri, con gli eventuali rapporti giuridico-patrimoniali che verrebbero a formarsi. Si è così pensato di risolvere qualsiasi eventuale diatriba riservando l’attività “pianificatoria” di interesse pubblico, alle P.A. competenti e riconoscendo la possibilità di stipulare qualsiasi accordo tra i privati, fermo restando i limiti di cui supra.

L’intento principale del Legislatore è stato quello di dare maggiori certezze al fenomeno noto nelle prassi negoziali come “cessione di cubatura”[2] al fine di marcare una chiara distinzione tra gli istituti. Invero, tale intervento non si è tradotto però nel dettato di una disciplina sostanziale ed organica, ma ha portato ad una mera redazione di una singola norma in tema di pubblicità, lasciando così insoddisfatta larga parte della dottrina che, preso atto della “debolezza normativa” si è pronunciata, dividendosi sulla natura giuridica dei diritti edificatori. 

È stato, infatti, sostenuto che con il mutare del tipo di interpretazione cui si fa ricorso, mutino anche gli effetti giuridici e dunque pratici dell’istituto.

Secondo parte degli autori[3], non è certo che si tratti di diritti reali: si sostiene, infatti, che da un lato vi sia l’opponibilità, cui mira la trascrizione, dall’altro la realità: la prima attiene al profilo circolatorio, la seconda alla natura e ai caratteri del diritto (reale). 
Dottrina dominante[4], tuttavia, ritiene che si tratti di diritti assoluti (e non relativi) ad efficacia reale, ossia di diritti che hanno una inerenza immediata con un bene.

Vi è, al riguardo, chi ha però sottolineato che la possibilità che i diritti edificatori possano essere “in volo” (cc.dd. “diritti volatili”), ossia acquistati da soggetti che non hanno un suolo di “atterraggio” sul quale sfruttare l’incremento della capacità edificatoria, impedirebbe di poter parlare di diritti reali, ossia di diritti inerenti ad una cosa: trattandosi, dunque, di un diritto reale sui generis avente contenuto sostanzialmente identico a quello della servitù corrispondente, suscettibile di essere fatto valere nei confronti di chiunque tranne dei condomini non consenzienti ed i loro eredi ed aventi causa. Ovvero di diritto reale qualificabile come una fattispecie complessa di servitù a consenso anticipato.

Parte della dottrina[5]hanno provato a sostenere la tesi della “inerenza virtuale” dei diritti edificatori, atteso che la titolarità del fondo di atterraggio (la res) è indispensabile per la realizzazione dell’effetto finale tipico (la costruzione) ma non per la loro circolazione.

Da altri autori[6]si è proposta una reificazione della cubatura, la quale circolerebbe così come autonomo bene e non come diritto reale immobiliare in re aliena, dunque qualificandolo quale contratto ad effetti meramente obbligatori, e più precisamente una fattispecie a costruzione progressiva della quale il primo elemento è costituito dalla convenzione tra privati (avente carattere meramente obbligatorio), mentre il secondo è un provvedimento della Pubblica Amministrazione. Questa tesi è stata criticata argomentando che se davvero il diritto edificatorio circolasse come bene, non sarebbe occorso il n. 2 bis dell’art. 2643 c.c. ma sarebbero stati sufficienti i nn. 1 o 10 del medesimo articolo; inoltre ci si sarebbe dimenticati che con l’espressione “cubatura” ci si limita solo ad individuare in termini matematici ed ingegneristici le dimensioni che la futura costruzione dovrà rispettare.

Altri ancora, atteso il carattere preminente che continua ad avere anche dopo la novella il provvedimento amministrativo di permesso di costruire (che l’ente comunale potrebbe pure negare), sostengono la tesi del diritto in parola come chance edificatoria, ossia come interesse legittimo pretensivo, suscettibile di trasferimento, a potere edificare in misura maggiorata. Pare maggiormente opportuna la trattazione quali “diritti su suolo” e dunque, al pari di quanto sarebbe necessario per i tradizionali diritti reali, curare la loro descrizione indicando la quantità unitamente al fondo cui ineriscono, rispettando lo statuto di circolazione dei terreni (art. 30 D.P.R. 380/2001).


[1]Articolo 2643 del codice civile: Atti soggetti a trascrizione:

“[…]

2bis) i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale;

[…]”.

[2]Si veda Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[3]Cfr. COSTANZA,Il contratto atipico, Milano, 1988, pag. 124 e ss; CASELLI, La multiproprietà,Milano, 1999; TROJANI, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali e cessione di cubatura, 1990, pag. 285 e ss.

[4]Cfr. GROSSO – DEIANA, Le servitù predialiin Trattato Vassalli,Torino, 1963, pag. 423 e ss; nonché BURDESE, Servitù prediali, in Novissimo digesto italiano, XVII, Torino, 1970, pag. 130 e ss.

[5]Cfr. PALAZZOLO, Servitù, in Enc. Giuridica Treccani, XXVII, Roma, 1992.

[6]Cfr. PICCO – MAROCCO, I c.d. “trasferimenti di cubatura”, Roma, 1974, pag. 626 e ss; CECCHERINI, il cosiddetto trasferimento di cubatura, Milano, 1985.

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