Divieto di doppia imposizione: alcuni esempi della giurisprudenza
Negli ultimi anni e con una certa frequenza il nomen iuris delle imposte è mutato pur trattandosi, spesso, di prelievi aventi lo stesso presupposto e le stesse finalità.
In Italia ciò è avvenuto, come è noto, per la tassa sui rifiuti, per l’imposta sulle persone giuridiche o in relazione all’ormai remota Imposta locale sui redditi (ILOR). Oggi, il quadro dell’imposizione fiscale alla luce della giurisprudenza costituzionale e della Corte di Giustizia europea è radicalmente cambiato e non solo nel “nomen”.
In effetti, i principi costituzionali ma soprattutto quelli della libera concorrenza, del divieto di aiuti di Stato e della selettività territoriale in relazione alla doppia imposizione hanno determinato alcune riforme e certi arresti della Cassazione fra cui si ricorda la recente sentenza 10793/2016 secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, “l’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dall’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto. Tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni”. (1) Questo limpido orientamento avente ad oggetto l’IRPEG (oggi IRES) e IRPEF, definisce già chiaramente l’entità del problema che può verificarsi quando due presupposti impositivi confliggono.
Un altro esempio lampante, infatti, è il rapporto fra IRAP e IVA storicamente discusso e risolto, solo in parte, con un intervento, peraltro, sovranazionale.
L’IRAP è un tributo proprio derivato delle Regioni che possono variare l’aliquota e differenziarla per settori di attività o categorie di contribuenti. Il prelievo in questione è un’imposta sul valore aggiunto netto, reale e, si badi, non proporzionale, di cui si dirà in seguito. Come si ricorderà entrò in vigore nel 1998 per “colpire” la ricchezza prodotta dalle attività nel territorio del suddetto ente. Ma qual è il presupposto?
E’ l’esercizio abituale di un’attività diretta allo scambio di beni o alla prestazione di servizi e la sua destinazione è relativa al finanziamento di servizi divenuti di carattere universale (es. sanità). Tuttavia, osserva parte della dottrina, “l’IRAP colpisce, a carico dell’imprenditore, il valore aggiunto complessivo realizzato dall’impresa e cioè dall’imprenditore stesso, dai dipendenti e dai finanziatori”, avvicinandosi sempre più a un altro noto prelievo. (2) Inoltre, secondo la Corte Costituzionale, “il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, colpito dall’IRAP, è indice costituzionale idoneo di capacità contributiva, trattandosi comunque di una ricchezza nuova che è assoggettata ad imposizione prima di essere distribuita per remunerare i diversi fattori della produzione”. (3) Il dubbio a questo punto sorge per i lavoratori autonomi equiparati alle imprese (cui si applica l’apposita normativa): in quel caso come ci si pone?
Si tratta, dunque, di tassare una grande ricchezza che è il valore aggiunto della produzione che servirà a finanziare talune prestazioni di carattere regionale. Ma nel nostro sistema è già presente un’imposta sul valore aggiunto, è l’IVA.
Il principio del divieto di doppia imposizione, strettamente legato a quello della libera concorrenza fra le imprese nel mercato unico europeo, è in gran parte determinato dal sistema di tassazione dei singoli Stati perché è possibile generare un finanziamento indiretto alle imprese riducendo drasticamente, in certi casi, l’aliquota che oggi è al 22% per l’IVA (sistema comune IVA) e al 3,9% per l’IRAP (ma non è un’aliquota statica, può variare, com’è noto).Quindi una diversa pressione fiscale potrebbe creare concorrenza sleale, non uniforme e da ciò nasce il principio che vieta la doppia imposizione sul medesimo presupposto. Pertanto, soltanto otto anni dopo (2006), la Corte di Giustizia è intervenuta per rilevare che “mentre l’IVA è riscossa in ciascuna fase al momento della commercializzazione e il suo importo è proporzionale al prezzo dei beni o servizi forniti, l’IRAP è invece un’imposta calcolata sul valore netto della produzione dell’impresa nel corso di un certo periodo. La sua base imponibile è infatti uguale alla differenza che risulta, in base al conto economico, tra il «valore della produzione» e i «costi della produzione», come definiti dalla legislazione italiana. Essa comprende elementi come le variazioni delle rimanenze, gli ammortamenti e le svalutazioni, che non hanno un rapporto diretto con le forniture di beni o servizi in quanto tali. L’IRAP non deve pertanto essere considerata proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi forniti.”(4)
Ciò significa che l’IRAP non si ripercuote sul consumatore finale come avviene per un’imposta sul consumo quale è l’IVA!
Tuttavia una questione aperta resta quella relativa, sempre in tema IRAP, al livello locale del tributo e cioè quando le Regioni variano l’aliquota (dato che è concesso limitatamente ex art. 16 e 45 del d. lgs. 446/1997) producendo un rischio di eccessive differenziazioni del carico fiscale per residenza, che la Corte di Giustizia ha definito “selettività territoriale”. Tuttavia questa fattispecie collide con un altro principio, quello relativo al divieto di aiuti di stato che è comunque legato, in certi termini, al problema della doppia imposizione per i motivi di cui sopra.
Fonti
1 – Civile Sent. Sez. 5 Num. 10793 – Anno 2016 – sentenza disponibile qui
2 – Francesco Tesauro, Istituzioni di diritto tributario- Parte speciale 2016
3 – Corte Cost. 156/2001 https://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do
4 – Giurisprudenza della Corte di Giustizia disponibile qui
Diplomato al liceo scientifico e laureato con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II” all’età di 24 anni discutendo la tesi in diritto del lavoro in tema di licenziamenti e tutele indennitarie.
Vincitore delle collaborazioni studentesche part-time A.A. 2014/2015, socio Elsa Napoli e vincitore assegnatario del bando per le attività di tutorato e orientamento A.A. 2017/2018.
Ha superato con esito positivo il tirocinio presso il TAR Campania per l’accesso al concorso in magistratura.
Ha completato il primo anno di praticantato come consulente del lavoro.
Appassionato di diritto tributario, ha approfondito alcune sue branche, dalla finanza decentrata ai sistemi fiscali comparati.
Sostenitore del federalismo europeo. E’ stato eletto segretario della sezione di Napoli della Gioventù Federalista Europea nel 2017 e ha contribuito alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, edito da Guida Editore.
Condivide e sostiene il progetto federalista di Altiero Spinelli volto all’unione politica e fiscale così da eliminare quelle disuguaglianze sostanziali che di fatto impediscono il pieno sviluppo della personalità anche oltre i confini nazionali.