Ritenute e appalti, una riforma davvero necessaria?
A cura di Carolina Molino
La norma sulle ritenute tende a contrastare fenomeni evasivi consistenti nell’omesso versamento dell’Iva e nell’utilizzo di crediti falsi, per il pagamento delle ritenute fiscali e dei contributi previdenziali o assistenziali sui redditi da lavoro dipendente.
La circolare 1/E/20[1], dell’Agenzia delle Entrate, precisa che sono stati individuati soggetti che operano in qualità di appaltatori maggiormente nei settori della logistica, dei servizi alle imprese nonché nei settori alimentare e meccanica. Attraverso le forme di evasione sopra descritte, gli appaltatori ottengono risparmi fiscali per mezzo dei quali riescono a offrire i propri servizi a prezzi competitivi, violando la libera concorrenza. D’altra parte il committente ottiene un ulteriore vantaggio consistente nella flessibilità nell’utilizzo delle risorse umane e in minori costi del lavoro sostenuti.
Ma numerosi sono i dubbi e profili procedurali da chiarire nell’ambito dell’adempimento fiscale, così come nell’aspetto puramente civilistico delle discipline contrattualistiche e infine del regime sanzionatorio applicato.
Questo articolo vuole dunque essere uno strumento che denoti in maniera lineare i profili soggetti, oggettivi e accessori di questa disciplina.
- Il profilo soggettivo.
Sono sottoposti ai nuovi obblighi di verifica i contribuenti che rivestono la qualifica del sostituto di imposta[2] ai sensi dell’art 23 comma 1 del Dpr 600/1973. Rientrano all’interno di questa fattispecie, ai sensi dell’articolo 2, comma2,del Tuir: le persone fisiche, le società ed associazioni residenti nel territorio dello Stato.
Nella fattispecie contrattualistica dei contratti sottoposti ai nuovi adempimenti, la legge usa una formula aperta per evitare che qualcuno cerchi di aggirare, mediante il ricorso a contratti simulati, l’adempimento dei nuovi obblighi. Sono soggetti alla nuova disciplina, infatti, non solo i contratti regolati da appalto ma anche gli affidamenti di opere e servizi previsti da accordi di subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati. Ciò che assume esclusiva rilevanza, dunque, non è il nome attribuito dalle parti, ma la sussistenza delle condizioni previste dal legislatore. Quindi, anche se il contratto non è definito come appalto, la nuova disciplina trova applicazione ogni volta che tra due parti viene siglato un accordo che e prevede l’erogazione di un servizio o il compimento di un’ opera da parte di un soggetto che rispetti i cosiddetti quattro requisiti:
1) corrispettivo complessivo annuo superiore a 200 mila euro;
2) prestazioni caratterizzate da prevalente utilizzo di manodopera;
3) prestazioni rese presso l sedi di attività del committente;
4) l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente o ad essi riconducibile.
I committenti. Chi sono costoro.
Enti e società soggetti all’Ires (art 73,comma 1 Tuir), gli enti commerciali- sia di natura pubblica che privata e società di capitali ma rientrano anche ai sensi dell’art 5 del Tuir le società di persone e associazioni, le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice, le società di armamento che esercitano imprese commerciali, le società semplici che svolgono attività agricola, nonché le associazioni fra professionisti per lo svolgimento di attività professionale, le persone fisiche che esercitano imprese commerciali, imprese agricole, o arti e professioni, ed infine i curatori fallimentari e commissari liquidatori.
Non trovano esplicita menzione i condomini[3] e gli enti non commerciali. L’esclusione dei condomini viene giustificata con il presupposto oggettivo che gli stessi non detengono in qualunque forma beni strumentali e di conseguenza non possono esercitare alcuna attività di impresa agricola o attività professionale. L’agenzia opera quindi una presunzione assoluta di assenza di beni strumentali in capo al condominio, da leggere non in riferimento alla possibilità di detenzione nella titolarità di impianti e macchinari, ma nell’ impossibilità di utilizzazione degli stessi come beni strumentali propri di una sfera d’impresa, agricola o professionale che non sussiste. La stessa presunzione dei condomini viene applicata per l’esclusione degli enti non commerciali, ma limitatamente ai contratti che si riferiscono alla sfera di attività istituzionale di natura non commerciale.
Un approccio che può risultare discutibile, mentre è stato ritenuto molto aderente il dettato normativo quando prevede la non inclusione alla categoria dei committenti i soggetti non residenti senza stabile organizzazione in Italia, affidatari delle opere o dei servizi per carenza della qualifica di sostituti di imposta, soggetti, seppure residenti nel territorio dello Stato, non esercenti attività d’impresa, agricola o di lavoro autonomo arte e/o professione anch’essi privi di qualifica di sostituti d’imposta. L’approccio e l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate trova la sua ratio unicamente nell’ obiettivo di semplificazione a favore di particolari soggetti che verrebbero gravati da adempimenti in alcuni casi per loro insostenibili dal punto di vista operativo.
- Il profilo oggettivo
Venendo ora al profilo squisitamente oggettivo dobbiamo richiamare i quattro requisiti principali sopracitati.
Il primo requisito inerisce al corrispettivo annuale complessivo superiore a 200.000€.
L’art 17 bis del dlgs 241/97, introdotto dall’ art 4 del d.l 124/2019, prevede che l’obbligo di verifica, da parte del committente, sulle ritenute applicate ai lavoratori dipendenti e assimilati degli appaltatori e subappaltatori scattano solo quando l’importo complessivo annuo delle opere dei servizi affidati superi 200.000 €.
Da premettere che in caso di filiere di rapporti (committente-appaltatore-subappaltatore), la verifica del corrispettivo- in riferimento alla soglia- va effettuato esclusivamente sul primo contratto, quello principale. Laddove il corrispettivo superi i 200.000 €, l’ importo si considera superato per tutti i contratti a valle, anche se singolarmente al di sotto del limite.
Il corrispettivo è da considerare al netto dell’ Iva ma comprensivo di ogni sua componente e misurato sulla base di un anno solare. Per quest’ultimo aspetto fondamentale è stato il chiarimento fornito dalla Circolare, secondo la quale per la determinazione del calcolo su base annua si farà riferimento ai mesi e non ai giorni. Occorre considerare tutti i contratti che il committente ha posto in essere con una medesima impresa appaltatrice in un dato anno solare, sia se già in corso al 1 Gennaio sia se modificato o stipulati dopo tale data.
Si pongono, tuttavia, dubbi per i rapporti contrattuali a durata ultrannuale e a risultato, che evidenziano un corrispettivo fisso e che hanno durata diversa da 12 mesi. Sulla prima fattispecie la Circolare si esprime in maniera non esaustiva, stabilendo che se il contratto ha durata annuale o ultrannuale, il corrispettivo va ragguagliato su base 12 mesi. Per i contratti di durata annuale da ragguagliare si intendono quelli con un arco di 12 mesi ma a cavallo di due diversi anni solari. Nulla è detto per i contratti con durata inferiore a 12 mesi per i quali dunque il suddetto ragguaglio non deve effettuarsi.
Per quanto concerne i contratti a risultato la circolare per esigenze di semplificazione ha previsto che non si debbano effettuare stime a preventivo, ma che si applica un criterio di cassa. L’obbligo di verifica da parte del committente partirà non appena saranno stati pagati corrispettivi per più di 200000 € e proseguirà sino al termine del contratto.
Il secondo requisito, il prevalente utilizzo di manodopera.
Il concetto di manodopera ricomprende tutte le tipologie di lavoro, tanto manuale quanto intellettuale.
L’utilizzo di questo indicatore risponde alla volontà del legislatore di assoggettare a forme più intense di controllo solo quegli appalti e quelle forme di decentramento produttivo definito come labour intensive , trattandosi delle fattispecie più interessate da fenomeni patologici.
Questa scelta è descritta in maniera esplicita nella relazione illustrativa[4] al decreto legge 124/2019 nella parte in cui si dice che gli appalti ad alta intensità di manodopera danno luogo a problemi di regolarità normativa soprattutto in alcuni settori (logistica, servizi alle imprese, settori alimentare e meccanica. Tornando al criterio della prevalenza della manodopera, la legge non definisce quali indicatori vadano utilizzati per la verifica della sussistenza di questo requisito. Maggiori indicazioni sono presenti nella Circolare, la quale precisa innanzitutto che il prevalente utilizzo della manodopera, al pari degli ulteriori requisiti dell’impiego presso le sedi del committente e di beni strumentali ad esso riconducibili, va riferito a tutte le tipologie di contratti previste dalla legge[5].
Pertanto, il requisito non si riferisce solo ai contratti di appalto, ma anche a quelli di subappalto, affidamento a soggetti consorziati, rapporti negoziali denominati. Volendo esemplificare alcuni scenari contrattuali si prendono in esame:
- Il contratto di cessioni di bene: se due parti sottoscrivono tale contratto con posa in opera, la procedura prevista dall’art 17 bis si applica se ci sono tutti gli altri elementi previsti dalla norma, senza considerare il nome formale del rapporto.
- Gli appalti di servizi: la circolare fornisce un chiarimento importante quando afferma che il “concetto di manodopera ricomprende tutte le tipologie di lavoro, manuale e intellettuale” questo chiarimento sarà molto rilevante per tutte le società che forniscono servizi di tipo intellettuale che ricadranno nel perimetro delle nuove regole qualora si conformino a tutti i requisiti
- I contratti di somministrazione di manodopera: questa categoria non è contemplata in quanto il contratto commerciale di somministrazione non può rientrare nel perimetro delle nuove regole in quanto si concretizza nella messa a disposizione di personale a terzi da parte di imprese appositamente autorizzate e non, invece, nella realizzazione di un’opera o un servizio. La somministrazione “regolare” è la negazione stessa del fenomeno che l’art 17 bis intende combattere (gli appalti labour intensive) e sarebbe quanto meno paradossale accomunare le due fattispecie. La specificazione del termine “regolare” è volutamente ricercata per rimandare all’applicazione della somministrazione illecita, che si verifica quando c’è un contratto di appalto o un distacco e questo diventa illecito in quanto maschera una fornitura di lavoratori, fattispecie invece rappresentata dall’art 17bis.
- Le regole non si applicano neanche le forme di fornitura di manodopera espressamente previste e autorizzate da leggi speciali, come il lavoro temporaneo portuale (disciplinato dalla legge 84/1994).
Nel caso dei contratti misti, contratti che prevedono che l’affidamento del compimento sia di opere, sia di servizi, oppure nei contratti di opere, la prevalenza va calcolata facendo riferimento alla retribuzione lorda riferita ai soli percettori di reddito di lavoro dipendente e assimilato e al prezzo complessivo dell’opera (o dell’opera e servizi nel caso di contratti misti). Applicando tale meccanismo, la prevalenza si intenderà superata quando il rapporto tra retribuzione e prezzo complessivo è superiore al 50 per cento.
La circolare precisa, inoltre, che per manodopera deve intendersi tutta quella per cui vige l’obbligo di applicazione e versamento delle ritenute fiscali. Questa precisazione è molto importante in quanto l’obbligo ricorrerà non solo quando il lavoratore è inquadrato come dipendente, ma anche nel caso in cui il lavoratore è inquadrato come dipendente o in una delle categorie di soggetti che percepiscono reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, o nel caso in cui il lavoratore abbia un formale inquadramento lavorativo differente ma nei fatti presti attività di lavoro dipendente presso il committente. Insomma non è di certo pensabile di sfuggire al criterio della prevalenza trincerandosi dietro l’utilizzo simulato di forme contrattuali apparentemente diverse dal lavoro subordinato, se la prestazione di fatto è quella di un lavoratore dipendente.
Il terzo requisito, le prestazioni rese presso le sedi idi attività del committente.
La Circolare ha dedicato poche righe nell’illustrare il requisito della localizzazione presso il committente, limitandosi ad affermare che i luoghi in questione coincidono con tutte le sedi destinate allo svolgimento della attività imprenditoriale, agricola o professionale del committente. Vi rientrano la sede legale, le sedi operative, gli uffici di rappresentanza, i terreni in cui il committente svolge l’attività agricola , i cantieri , le piattaforme e ogni altro luogo comunque riconducibile al committente destinato al suddetto svolgimento delle attività.
Le sedi di attività del committente sono luoghi che devono essere nella sua disponibilità giuridica (proprietà, locazione, leasing o comodato) e fisica (accesso da parte di proprio personale).
Questo doppio requisito (ossia disponibilità dei luoghi da parte del committente e svolgimento della sua attività all’interno degli stessi) nasce dalla lettura delle finalità della norma, ossia intervenire sui servizi interamente svolti da personale diretto dell’impresa committente, che vengono invece esternalizzati sfruttando i minori costi che imprese appaltatrici possono garantire evadendo le imposte.
Per individuare, nelle diverse casistiche che si pongono nella prassi, l‘esistenza o meno della condizione in oggetto, è necessario un rilevante sforzo interpretativo sebbene permangano ancora molti casi dubbi con riguardo alla condizione di svolgimento dei servizi appaltati presso le sedi di attività del committente.
Si va dai magazzini di logistica[6] detenuti dall’appaltatore ma di fatto impiegati esclusivamente per il committente e da cui vengono emessi documenti a suo nome, ai cantieri delle imprese edili ubicati in aree di proprietà del committente e sulle quali viene edificato un fabbricato, ma in cui nessuna attività viene svolta da quest’ultimo.
In queste strutture l’appaltatore agisce per conto del committente in quanto gestisce in proprio una fase produttiva, come se fosse il committente stesso. Normalmente questi magazzini esternalizzati presso gli spedizionieri figurano come “luogo di esercizio dell’attività” del committente, quanto meno nella formazione dei documenti. I fornitori indirizzano i documenti di trasporto indicando l’impresa committente, come destinatario e il magazzino logistico come luogo di destinazione.
Analogamente, il gestore del magazzino utilizza generalmente documenti di trasporto del committente per scortare la merce in uscita. Nella sostanza dunque, queste strutture, pur non essendo nella disponibilità del committente (né giuridica, né fisica), costituiscono luoghi di esercizio della sua attività, ancorché interamente gestita da terzi.
Un altro caso che solleva interrogativi è quello del cantiere. La Circolare, nell’elencazione delle sedi del committente ha incluso anche i cantieri, che in genere sono luoghi in cui svolge attività l’appaltatore e non il committente, anche se il titolo giudico di possesso è in capo a quest’ultimo.
Il dubbio resta anche se di norma, in questi casi, ci si salva dalla applicazione della norma in base all’ulteriore requisito, i beni strumentali, detenuti dall’appaltatore e non dal committente.
Il quarto requisito, utilizzo da parte del prestatore di beni strumentali di proprietà del committente e ad esso riconducibili.
Si tratta di una condizione funzionale al perseguimento degli obiettivi della normativa: il contrasto all’omesso o insufficiente versamento di ritenute non può infatti prescindere dalla verifica che le prestazioni non siano eseguite dai dipendenti o dai collaboratori dell’impresa appaltatrice, subappaltatrice e affidataria avvalendosi di beni strumentali del committente.
Occorre, invece, prestare maggiore attenzione se i propri beni strumentali siano concessi per un utilizzo occasionale e se gli stessi risultano indispensabili per l’esecuzione dell’opera o del servizio. A conferma di questo, con la Circolare, l’Agenzia delle Entrate ha puntualmente escluso la responsabilità in capo al committente, qualora i beni strumentali utilizzati siano riconducibili in via esclusiva, ed in forza di qualsiasi titolo giuridico, ad appaltatori, subappaltatori, affidatari e ad altri soggetti in virtù di qualsivoglia rapporto negoziale.
Analogamente la riconducibilità dei beni strumentali ai committenti può avvenire a qualsiasi titolo giuridico e proprietà, possesso o detenzione. Sempre con la circolare l’ AdE ha ricondotto la nozione di beni strumentali a quei macchinari ed attrezzature che permettono ai lavoratori di prestare i loro servizi, sottolineando tuttavia come si possano utilizzare anche altre categorie di beni strumentali.
Per provare a circoscrivere ulteriormente il perimetro di operatività del requisito, diviene comunque fondamentale fare riferimento alla nozione stessa di beni strumentali, come comunemente ritraibile dalle disposizioni del Tuir[7] e dai principi contabili. Più precisamente, i beni strumentali sono quelli che, solitamente risultano utilizzati nel processo produttivo (cd. beni strumentali per destinazione) e posseduti di titolo di proprietà o altro diritto reale, compresi gli immobili che, per le loro caratteristiche, non possono essere oggetto di diversa utilizzazione se non a seguito di radicali trasformazioni (cd. beni strumentali per natura) . Va rilevato, tuttavia, come l’oggetto dei lavori o delle opere appaltate risultano essere le strutture produttive o logistiche del committente, presso cui è chiamato ad intervenire ed operare il personale riconducibile all’appaltatore. Si ritiene che si conformi più il requisito dello svolgimento presso le sedi del committente stesso ma non anche quello dell’utilizzo di beni strumentali in quanto, nell’ipotesi considerata, gli stessi costituiscono appunto oggetto e non mezzo per l’esecuzione dell’attività.
Si pensi al caso di interventi manutentivi da realizzare su una linea di produzione all’interno di una struttura produttiva del committente: ebbene, l’utilizzo di beni strumentali non potrà dirsi verificato solamente perché le attività vengono svolte presso una delle sedi dell’appaltante, utilizzando i dipendenti dell’appaltatore nella linea produttiva da manutenere. In effetti, in questi casi la linea produttiva è l’oggetto del contratto e non lo strumento per rendere la prestazione. Altro caso è l’ipotesi molto frequente dell’attività di facchinaggio realizzate dall’impresa appaltatrice all’interno di fabbricati del committente: se per la movimentazione delle merci si utilizzano mezzi di trasporto ed altre attrezzature di proprietà esclusiva dell’appaltatore, non si realizza il presupposto dell’utilizzo dei beni strumentali, con conseguente non applicabilità della disposizione sulla responsabilità in capo al committente. Diversamente, se i mezzi utilizzati per tale attività sono di proprietà riconducibili a quest’ultimo, non può che doversi procedere ai controlli richiesti.
- I profili accessori. Esonero, adempimenti e sanzioni.
E’ possibile ottenere, dall’Agenzia delle Entrate, il cosiddetto Durf positivo, la certificazione di regolarità fiscale che consente la disapplicazione dei tanti nuovi adempimenti e controlli previsti dall’articolo 17-bis del dlgs 241/1997[8] come modificato dall’articolo 4 del dl. 124/2019.
Grazie alla certificazione, è possibile, infatti, evitare la frammentazione delle ritenute e delle retribuzioni dei vari dipendenti interessati (comma 2), così come il blocco alle compensazioni per ritenute e contributi previdenziali/assistenziali e premi assicurativi obbligatori (commi 2 e 8). E, soprattutto, è possibile tranquillizzare il committente circa il venir meno, da parte sua, dei pesanti oneri di verifica previsti dai commi 3 e 4 della disposizione. Se l’impresa esecutrice fornisce ai propri committenti il Durf “senza macchia”, tutto torna alle regole in vigore sino al 2019 anche per i contratti che sarebbero potenzialmente soggetti alla nuova disciplina. I commi 5 e 6 dell’articolo 17-bis fissano le caratteristiche essenziali del certificato: oltre ai requisiti che verranno approfonditi più avanti, viene precisato che il Durf è riferito all’ultimo giorno del mese precedente a quello della richiesta ed ha validità di quattro mesi dalla data dl rilascio.
Il certificato, esente da imposte di bollo e tributi speciali, è messo a disposizione dell’impresa o di un suo delegato, a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese, presso l’ufficio territoriale della Direzione Provinciale competente in base al domicilio fiscale dell’impresa, con l’eccezione dei soggetti “grandi contribuenti” ai quali il certificato è reso disponibile dalle Direzioni Regionali competenti.
E’ importante l’indicazione nel certificato del motivo dell’attestazione negativa, in modo che l’impresa possa verificare e, se del caso, far rilevare l’eventuale errore e ottenere una correzione. Il certificato, inoltre, non produce l’effetto liberatorio di cui all’articolo 14 (cessioni e conferimenti di azienda) e il documento, in ottemperanza alle norme sulla documentazione amministrativa non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi, ai quali può invece validamente presentata una dichiarazione sostitutiva di certificazione o dell’atto di notorietà.
Per quanto attiene ai requisiti per l’ottenimento del Durf, l’impresa deve:
- risultare in attività da almeno tre anni;
- Essere in regola con gli obblighi dichiarativi, ai fini dell’imposta sui redditi, nell’ultimo triennio
- Aver eseguito in tale periodo versamenti complessivi registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare di ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;
- Non aver subito iscrizioni a ruolo od accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossioni relativi alle imposte sui redditi, all’Irap, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50mila euro, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione ovvero piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza.
A caldo, le considerazioni sono:
Il primo requisito per il Durf, taglia fuori le giovani partite Iva, aperte da meno di tre anni. Particolarmente delicata è la posizione dell’impresa che ha ottenuto la partita Iva da un tempo inferiore, ma deriva da una operazione straordinaria: potrebbe, infatti, essere controproducente per l’intera economia che operazioni di riorganizzazione aziendale mettano a rischio l’operatività impedendo l’accesso al Durf.
Il secondo ed il terzo requisito lasciano numerosi dubbi, specie l’ammontare dei versamenti sul conto fiscale effettuati nel periodo. Per verificare tale requisito si farà riferimento al rapporto tra i complessivi versamenti effettuati tramite modello f24 per tributi, contributi e premi assicurativi Inail, al lordo dei crediti compensati, nel corso dei periodi di imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio (non sono considerati i pagamenti dei debiti iscritti a ruolo, mentre per i soggetti in regime di consolidato fiscale è previsto l’inserimento nell’ambito di questa grandezza dell’imposta corrispondente al reddito complessivo proprio di cui all’articolo 121 Tuir in merito al consolidato fiscale) e i ricavi o compensi complessivi risultanti dalle dichiarazioni presentate nel medesimo triennio. In proposito, desta preoccupazione la posizione di consorzi e società consortili create per la partecipazione ai bandi di gara, ma che poi affidano ai propri soci l’esecuzione dell’opera o dei servizi. Queste strutture passanti chiudono il bilancio in pareggio o con margini molto risicati e sono dotati, dei soli dipendenti strettamente necessari alla gestione amministrativa dell’appalto e ai controlli di cantiere. Generalmente l’Iva a debito non supera l’Iva a credito, il che significa che, pur avendo ricavi rilevanti, i versamenti sul conto fiscale sono scarsi. Eppure queste sono proprio le strutture a diretto contatto con i committenti, e quindi sono le prime a cui viene richiesto il certificato.
In merito al quarto requisito richiesto occorrerà fare attenzione alle procedure. In caso di ricorso contro accertamenti e cartelle si cercherà sempre di evitare di rimanere scoperti per una cifra superiore alla soglia limite e si farà un’ attenta opera di monitoraggio e stimolo sugli uffici. Nell’ipotesi in cui il ricorso sia accolto integralmente dal giudice tributari, l’impresa deve richiedere immediatamente lo sgravio o l’acquisizione di atti della sospensione, pena il mancato rilascio del certificato a causa delle posizioni che risultano ancora pendenti.
Venendo agli adempimenti, quindi le imprese affidatarie o appaltatrici che non avranno ottenuto dall’Agenzia delle Entrate il certificato di regolarità fiscale sono obbligati a rilasciare alla committente, entro 5 giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento delle ritenute, copia della delega di pagamento relativa al versamento delle imposte dei lavoratori impiegati nell’appalto e un report contenente dati retributivi e fiscali relativi ai medesimi lavoratori. I nuovi adempimenti sono particolarmente complessi e richiedono adeguamenti sia nei software paghe, sia nella gestione della prestazione lavorativa, con costi totalmente a carico delle aziende coinvolte nella filiera degli appalti. La delega di pagamento e il report dei lavoratori dovranno contenere un’estrazione dei dati per singolo appalto, pertanto sarà opportuno, anche tramite l’utilizzo dei rilevatori presenze multi committente, codificare le varie attività effettuate in singoli centri di costo per avere informazioni retributive e fiscali con il massimo dettaglio.
Ad esempio un’impresa appaltatrice che svolge due appalti per due committenti differenti ed occupa anche personale amministrativo non coinvolto nell’appalto dovrà predisporre tre distinti modelli F24: il primo per pagare le imposte degli amministrativi, il secondo ed il terzo per versare le ritenute relative ai lavoratori interessati ai singoli appalti. Qualora un lavoratore fosse interessato a più appalti, l’appaltatore dovrà spacchettare i dati fiscali determinando la competenza per singolo committente. Le singole deleghe dovranno essere compilate secondo le istruzioni della risoluzione n. 109/E/2019[9]. Le deleghe di pagamento relative ad appalti non dovranno contenere crediti compensabili, ad esclusione di quelli indicati nella tabella presente nella Circolare (crediti da assistenza fiscale e bonus Irpef 80 euro) mentre è esclusa totalmente la compensazione ai fini del pagamento di contributi previdenziali e premi Inail.
Oltre l’ F24 l’appaltatore e il sub appaltatore dovranno trasmettere al committente un report con l’elenco nominativo di tutti i lavoratori interessati all’appalto, identificati mediante codice fiscale, con il dettaglio delle ore di lavoro prestate, l’ammontare della retribuzione, l’ imponibile fiscale relativa a tale prestazione, il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nei confronti di detti lavoratori, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente. Tra le imposte da considerare si devono escludere quelle dovute per arretrati e Tfr, mentre dovranno essere incluse le addizionali regionali e comunali, ancorché riferibili all’anno precedente e non alla prestazione effettuata.
Il legislatore sembra aver trascurato la complessità di tale operazione, soprattutto in presenza di una micro granularità della prestazione del singolo lavoratore per più committenti, motivo per il quale l’AdE ha dovuto precisare che sia le retribuzioni che le ritenute dovranno essere determinate rapportando l’orario ordinario e straordinario del lavoro prestato a favore del committente, all’orario complessivo di lavoro retribuito comprendendo eventuali assenze retribuite quali: ferie, malattia e altri permessi retribuiti.
I dati retributivi e fiscali non dovranno essere manifestamente incongrui: pertanto la retribuzione incongrua non potrà essere inferiore al minimo previsto dal Ccnl applicato, mentre le imposte non dovranno essere inferiori al 15% della retribuzione imponibile.
In caso di manifeste incongruenze l’appaltatore, previa richiesta del committente, dovrà comunicare le motivazioni: solo in questo modo potrà evitare la sospensione del pagamento del corrispettivo maturato e la relativa segnalazione all’AdE.
Il Committente che non ottempera alle formalità descritte è obbligato a pagare una somma pari alla sanzione irrogata all’affidataria per omesso o carente versamento. La sanzione va versata dal committente senza possibilità di compensazione. Si tratta sostanzialmente delle sanzioni previste dall’art 14 del dlgs 471/1997 [10] per mancata esecuzione delle ritenute (sanzioni pari al 20% degli importi non trattenuti) e dall’art 13 del dlgs 471/1997 per l’omesso o ritardato versamento delle ritenute stesse (generalmente pari al 30% dei versamenti non effettuati). In pratica il committente risulta soggetto ad una sanzione in misura corrispondente a quella irrogata all’impresa che ha commesso la violazione, sanzione applicabile anche qualora lo stesso non abbia richiesto la prova del pagamento delle ritenute eseguite dall’impresa, non abbia sospeso il pagamento dei corrispettivi in caso di eventuali inadempimenti oppure abbia omesso di segnalarglieli all’Ade.
Tuttavia, perché trovi applicazione la predetta sanzione nei confronti del committente, occorre che anche l’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice non abbia correttamente assolto ai relativi obblighi in tema di esecuzione e versamento delle ritenute.
Secondo l’AdE, la sanzione prevista per il committente rientra tra quelle amministrative e non tributarie, in quanto non strettamente correlata alla violazione di norme disciplinanti il rapporto fiscale, con conseguente applicazione delle disposizioni generali della legge 689/1981. Alla penalità, pertanto, non potrebbero essere applicati i principi stabiliti dal dlgs 472/1997, fra cui in particolare il ravvedimento operoso, la possibilità di definizione della sanzione a un terzo in base all’art 16 del dlgs 472/1997 e il cumulo giuridico di cui all’articolo 12 dello stesso dlgs. La tesi dell’AdE risulta però non corretta essendo evidente il collegamento dell’eventuale infrazione commessa dal committente con adempimenti di carattere tributario. In sostanza, è completamente da disattendere la tesi che le violazioni riferite al committente non siano di carattere tributario. Il fatto che la norma faccia riferimento all’irrogazioni nei confronti del committente di una “somma pari alla sanzione” irrogata all’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice non può risultare affatto condizione in grado di negare la natura tributaria della violazione (basterebbe pensare alla specifica previsione dell’articolo 11 del dlgs 472/1997 per la responsabilità di dipendenti e amministratori).
In passato l’AdE ebbe modo di esprimersi analogamente con riferimento alla sanzioni per errori commessi dagli intermediari incaricati alla trasmissione delle dichiarazioni fiscali nella fase di invio, non ammettendo l’operatività del dlgs 472/1997. Tuttavia, in linea con quanto sostenuto, la tesi delle entrate è stata più volte smentita dalla giurisprudenza (cfr Cass. 4458/2017[11]).
- Le ultime battute
Quando opera? I nuovi obblighi operanti le ritenute degli appaltatori si applicano dal primo gennaio 2020. La risoluzione 108/2019[12] ha chiarito che l’avvio delle procedure previste dall’articolo 4 del decreto legge 124/2019 sia avrà il 16 di ogni mese.
[1] https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/2338359/CIRCOLARE+N.+1+2020.pdf/328aafe6-3aa5-8da7-836b-6bb70de6d78b
[2] F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, 2019, Utet (Torino)
[3] M.Magrini, B.Santacroce “Platea ampia di committenti ma restano fuori i condomini”, Sole24 Ore, 04/03/2020
[5] Campobasso, Diritto Commerciale, i singoli contratti, Utet Torino, 2016
[6] L.Gaiani, “Situazione al limite di logistica e cantieri”, Sole 24 Ore, 04 Marzo 2020
[7] Per una rapida consultazione del Tuir: https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/12/10/tuir-testo-unico-delle-imposte-sui-redditi
[8] https://def.finanze.it/DocTribFrontend/getArticoloDetailFromResultList.do?id=%7B2AE23478-0446-407C-8D96-DF712871E79B%7D&codiceOrdinamento=200001700000200&idAttoNormativo=%7B801545C2-D10E-4D66-88A5-E96B883E6AEE%7D
[9] https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/2215556/Risoluzione_n_109_del_24122019.pdf/89288f1c-3a4f-4957-fa57-e983834b685a
[10] http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/97471dl.htm
[11]http://www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?settings=Y0FMS0JxU0hWK2N6WU45ZmRuZ0l1Z3AwOVdiUFJtdjlheU8reThRdUZ1eGw4TW9ObStKTXJOZEJGNENKWmxWR0hNQU9EUkpuTnlwbXE3dE1mMnh4U3diaEtQSk04eXpTWEJZSjlCQW96emZnRHcxL0Q4RlFNaVAveGFLb3p1V0U=
[12]https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/2215556/Risoluzione+n.+108+del+23.12.2019.pdf/5a99608b-57ee-ae3b-0c71-c8b5670359d4
Studentessa della facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Napoli “Federico II” e tesista in diritto finanziario, è socia di Elsa Napoli.
Appassionata di tributaristica e diritto del lavoro, prende parte al progetto “Ius in Itinere” a giugno 2016, divenendone nel gennaio 2017 responsabile dell’area di diritto tributario e diritto del lavoro. Dall’ottobre 2017 è collaboratore editoriale per AITRA – Associazione Italiana Trasparenza ed Anticorruzione.
Nel futuro, un master in fiscalità d’impresa e contrattualistica internazionale.
Email: rossana.grauso@iusinitinere.it