lunedì, Novembre 11, 2024
Tax Driver

La disciplina del transfer pricing: la riforma del 2017

Si definisce “transfer pricing” la procedura di individuazione del “giusto prezzo” nelle transazioni internazionali di vendita/acquisto di beni e/o di fornitura di servizi, sia materiali sia immateriali, che avvengono all’interno dello stesso gruppo di società qualora le stesse operino in Stati diversi.

Dal tenore della definizione si nota che, per potersi verificare tale fenomeno, è necessario che le società che pongono in essere l’operazione appartengano allo stesso gruppo. La definizione di “gruppo di società” è estranea al nostro codice civile, ma è possibile estrapolarla da quanto disposto ex art. 2359 co. 1 e 2 c.c., che definisce la società controllata, ovvero quella che si trova sotto l’influenza dominante di un’altra società e che, per tale motivo, sia in grado di determinarne l’attività.

La necessità di individuare un “giusto prezzo” è dovuta al fatto che, talvolta, tali operazioni vengo poste in essere tra società operanti in ordinamenti con un regime fiscale diverso e per tale via comportano dei non trascurabili vantaggi economici nella forma di risparmi erariali.

L’esigenza, avvertita sia a livello nazionale sia internazionale, è stata quella di porre un argine al fenomeno di stabilire artificiosamente dove realizzare i profitti, e di conseguenza gli utili, in ordinamenti caratterizzati da una fiscalità privilegiata. Tali paesi sono individuati annualmente dall’Agenzia delle Entrate e inclusi nella cd. “black list”.

L’erosione della base imponibile che comporta la distrazione artificiosa di utili conseguiti da una società in un ordinamento piuttosto che in un altro realizza i presupposti previsti dalla legislazione nazionale dell’abuso del diritto disciplinato dall’art. 10 bis dalla l. 212/2000 [1]. Con la modifica apportata dal d.lgs. 128/2015, la disposizione al comma 1 prevede che: “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”. I successivi commi sono volti a specificare quali operazioni sono considerate abusive. [2]

Al fine di non incorrere in tale violazione il legislatore nazionale ha delineato il metodo della valutazione e determinazione della base imponibile ex art. 110 co. 7 del D.P.R. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) [3] ed ha attribuito, per il tramite dell’art. 31 del D.P.R. 600/1973, la competenza circa i relativi accertamenti e controlli agli uffici delle imposte. [4]

L’attuale disciplina normativa è figlia della modifica legislativa avvenuta per il tramite della manovra correttiva 2017 attraverso la l. 96/2017 [5]. Tale modifica normativa ha sostituito il parametro in base al quale devono essere effettuate le valutazioni delle componenti del reddito in una operazione infragruppo transfrontaliera, sancendo che: sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito”. Tale novella ha sancito il passaggio dalla vecchia formulazione, la quale prevedeva che le componenti del reddito venissero determinate con riguardo al valore normale dei beni/servizi, alla nuova che prevede che tali componenti siano ispirate dal principio della libera concorrenza e pertanto sono valutate in relazione al prezzo e alle relative condizioni di mercato.

Il legislatore italiano si è conformato a quanto legiferato in sede internazionale per il tramite dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che, nella nuova versione del documento “Transfer pricing guidelines for multinational enterprises and tax administration” del 2017 [6], ha fatto fronte alla crescente necessità di dare una forte risposta al fenomeno anche in virtù della disciplina, di più ampia portata, predisposta dal cd. BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), per contrastare le pratiche i comportamenti elusivi. Tale modifica è intervenuta sulla disciplina dettata dall’art. 9 del Modello OCSE contro le doppie imposizioni che disciplina la materia tributaria nei rapporti tra gli Stati e le persone e tra gli Stati e le società qualora venga prodotto un reddito all’interno di uno Stato diverso da quello di residenza.

La disciplina così modificata risulta avanguardardistica e più improntata all’equità rispetto alla previgente. Infatti le valutazioni circa le condizioni di mercato e la libera concorrenza si prestano a valutazioni più attinenti al mercato di riferimento, piuttosto che, come avveniva nella versione pre- 2017, al bene in se stesso.

[1]  L. 212/2000

[2] D.lgs. 128/2015

[3] D.P.R. 917/1986

[4] D.P.R. 600/1973

[5] L. n. 96/2017 

[6] http://www.oecd.org/tax/transfer-pricing/oecd-transfer-pricing-guidelines-for-multinational-enterprises-and-tax-administrations-20769717.htm

Francesco Visone

Classe 1991. Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi Federico II con tesi di laurea in Diritto del Commercio Internazionale. Consegue nel 2016 un Master in International Business. Collabora con una società di consulenza per la quale si occupa della compliance e della governance dei processi di internazionalizzazione delle imprese e degli investimenti diretti esteri. Svolge la pratica forense presso diversi studi legali che si occupano, tra l'altro, di diritto civile, commerciale e societario, sia nazionale sia internazionale. Appassionato di mercati finanziari e finanza internazionale, con particolare riguardo ai contratti derivati. La passione per l'orologeria lo ha portato a fondare con altri e gestire una startup che si occupa del settore.

Lascia un commento