lunedì, Marzo 18, 2024
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Economia: Scienza o Pseudo-Scienza?

Sin dagli albori delle prime civiltà gli uomini hanno curato lo sviluppo di quei semplici villaggi, divenuti poi le moderne città dei nostri giorni, sulla base di attività (di import-export, diremo con linguaggio moderno) che ne garantissero: sussistenza, prosperità, sostenibilità e (potenziale) futuro. Il baratto come prima forma ancestrale di scambio, sino al passo saliente avutosi con l’introduzione della moneta, quale mezzo di passaggio di informazioni. La moneta che ha prima avuto un valore effettivo rispetto al valore delle leghe di cui era costituita (bronzo, argento, oro ecc. ecc.) e, poi, nominale con l’introduzione del “cartaceo” quale scambio puro e real di informazioni. Tutto questo si è realizzato in sistemi socio-economici diversi: dalla polis greca al feudo, dal comune rinascimentale alle società industriali. Eppure, in questo groviglio di evoluzione storica poco si è pensato all’economia come ad una scienza vera e propria. Anzi, gli economisti a partire dal XX secolo hanno attribuito in modo unilaterale la parola “scienza” all’oggetto dei loro studi. Ma siamo proprio sicuri che questa attribuzione sia corrette ed esatta?

A stretto rigore, per parlare di scienza è necessario lo sviluppo di un sistema formale, di modelli che descrivano un fenomeno sulla base di dati che possano validarli. Difatti, nelle scienze di base come la fisica e la chimica, non si può parlare di teoria scientifica qualora non vi sia possibilità di condurre un esperimento che possa falsificarla, una sorta di pressure-test che mini direttamente alle sue basi. A questo punto si pone il primo problema di questa disputa in merito alla visione scientifica dell’economia: come condurre un esperimento che consenti di validare o meno un certo modello? Sembrerebbe assurdo, quanto paradossale, immaginare di sviluppare una società con il solo intento di confutare un certo modello scritto su carta. Eppure, negli ultimi due secoli, da Smith a Keynes, si è parlato di modelli economici che consentono di predire l’evoluzione di un sistema sociale, secondo dei dettami a priori che nulla hanno di universalmente condiviso. Da un punto di vista matematico, gli economisti, inclusi tanti premi Nobel, hanno sviluppato modelli basati su equazioni differenziali alle derivate parziali di tipo deterministico. Ovvero, note le condizioni del sistema in esame in un dato momento è possibile determinare la sua evoluzione in un certo istante futuro, in modo esatto; una sorta di macchina che noto l’istante di tempo è in grado di definirne l’evoluzione del sistema in esame in quel dato momento. Il problema di questi modelli è che non tengono conto, con la dovuta misura, di due fenomeni che son parte integrante delle scienze che studiano modelli evolutivi nel tempo: complessità e caos.

La complessità di un sistema si riconduce nella impossibilità di analizzare il tutto scomponendolo nella somma delle sue parti[1]. Un esempio dal mondo fisico può essere utile a chiarire questa dinamica. Supponiamo di voler conoscere esattamente l’evoluzione del moto di una pallina di carta lanciata “per aria”. Affinché ciò lo si voglia realizzare in modo “corretto” è necessario conoscere le seguenti quantità: massa della pallina, materiale di cui è formato, geometria di questa pallina, attrito dell’aria, temperatura esterna, umidità atmosferica ecc. ecc. Una descrizione corretta, per intenderci che sia altamente affidabile, non può prescindere da questi dati analizzati nella loro singolarità, nel loro essere parte integrante dell’evoluzione del fenomeno. L’economia, gli economisti ed i loro modelli estirpano troppo spesso questa componente dalle loro analisi, scrivendo modelli che non tengono conto delle singole componenti interagenti, ma, semplicemente, riassemblando la varietà in essere in un tutto che perde, inevitabilmente, informazioni. La complessità, almeno ad un primo approccio euristico, può essere letta come la difficoltà di tener conto di tutte le grandezze in gioco nell’analisi di un certo fenomeno.

Il fisico americano Edward Norton Lorenz nel 1962 si occupava della scrittura di modelli matematici predittivi dell’evoluzione atmosferica. Lo strumento era ancora rappresentato dalle equazioni differenziali alle derivate parziali. Lorenz, dopo aver scritto il modello, avviò alcune simulazioni numeriche al calcolatore per analizzarne l’evoluzione. Quello che notò fu stupefacente: una piccolissima variazione nel dato iniziale assegnato al problema conduceva a soluzioni completamente lontane le une delle altre, in una struttura che sovrastava qualunque tipo di “predittibilità”. Si deve a questi incredibile risultati osservati la famosa frase: “…un battito d’ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre”[2]. Per la prima volta la Scienza aveva avuto a che fare, in modo lampante e diretto, con il caos. Eppure, i modelli economici sembrano non voler avere nulla a che fare con tali dinamiche caotiche, accontentandosi di modelli deterministici chiaramente inaffidabili. Siamo tutti abbastanza coscienti del fatto che basta una piccolo cambio del dato iniziale (per utilizzare un linguaggio fisico-matematico) per determinare sviluppi socio-economici agli antipodi. Ed in questo schema rientrano anche le decisioni prese dai governanti con i loro governi, dal loro interagire su scala nazionale e sovra-nazionale.

Senza un’analisi forte su complessità e caos nello sviluppo dei suoi modelli, l’economia non potrà ergersi a carattere di vera scienza predittiva. D’altro canto, questa disciplina è manchevole nei suoi sviluppi di quella struttura assiomatica sostanziale che consente lo sviluppo di una teoria coerente in tutte le sue parti. Probabilmente l’economia ha bisogno di un’analisi critica che le consente di passare dall’ombra della pseudo-scienza alla luce di una vera e propria scienza. Nulla esclude che per poter compiersi un tale passo sia necessario elidere tanti poteri forti che ne desiderano una stagnazione della sua evoluzione di pensiero scientifico[3].

Fonti:

[1] Ambika, G. “Ed Lorenz: Father of the ‘Butterfly

Effect’.” Resonance 20.3 (2015): 198-205.

[2] Piketty, Thomas. Il capitale nel XXI secolo. Giunti, 2016.

[3] Piketty, Thomas. “Disuguaglianza.” La visione economica, Università Bocconi Editore, Milano (2003).

 

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