martedì, Ottobre 15, 2024
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Il Greenwashing va dimostrato: il caso Nike

A cura di Camilla Gentile 

  1. Il caso Ellis contro Nike

Il 5 maggio 2023 Maria Guadalupe Ellis ha proposto un’azione legale contro il colosso dello sportswear Nike per pubblicità ambientale ingannevole, avanti al Tribunale distrettuale del Missouri (USA)[1].    
Ellis sosteneva come l’azienda non rappresentasse in modo corretto e trasparente le caratteristiche asseritamente sostenibili dei propri prodotti e di come fosse necessaria l’instaurazione di una class action presso il Tribunale del Missouri, con oggetto tali affermazioni di sostenibilità false e fuorvianti.

Tra i tanti slogan citati spicca  “Move to Zero – Nike’s journey toward zero carbon and zero waste to help protect the future of sport”[2] da cui emerge l’impegno dell’azienda per la sostenibilità e la riduzione dell’impatto ambientale. L’attrice aveva acquistato 3 prodotti della collezione sostenibile di Nike[3] (le cui descrizioni erano: “sostenibili”, “realizzati con fibre riciclate”, “riducono gli sprechi e la nostra impronta di carbonio”, “passaggio a Zero di carbonio e zero sprechi”, “realizzati con materiali sostenibili”) che tuttavia, a parere della Ellis, non si sono rivelati essere effettivamente rispettosi dell’ambiente (secondo l’accusa solo il 10% dei prodotti sarebbe stato realizzato con materiali riciclati).

I riferimenti normativi invocati dalla Ellis sono stati il Merchandising & Practices Act del Missouri (MMPA), nonché le disposizioni relative all’ingiustificato arricchimento e alla frode[4]. Secondo l’attrice le pratiche di Nike costituiscono pratiche commerciali illegali, sleali e/o fraudolente in violazione della Legge sulle Pratiche Commerciali del Missouri. In particolare, secondo il Mo. Rev. Stat. § 407.020 “L’atto, l’uso o l’impiego da parte di qualsiasi persona di qualsiasi inganno, frode, falsa pretesa, falsa promessa, rappresentazione scorretta, pratica sleale o la dissimulazione, soppressione o omissione di qualsiasi fatto materiale in connessione con la vendita o la pubblicità di qualsiasi merce nel commercio… è dichiarato essere una pratica illegale… Qualsiasi atto, uso o impiego dichiarato illegale da questo sottoparagrafo viola questo sottoparagrafo sia che sia stato commesso prima, durante o dopo la vendita, la pubblicità o la sollecitazione”.

In questo contesto è importante rilevare che le informazioni e le etichette prodotto, possono influenzare i consumatori nelle proprie decisioni di acquisto e pertanto, se risultanti false o ingannevoli, determinano un danno per il consumatore che ha effettuato un acquisto non consapevole o addirittura dannoso rispetto alla propria salute o alle proprie scelte di acquisto ponderato.

Ad ulteriore sostegno della tesi, nel proprio atto la Ellis ha fatto riferimento anche alla Green Guide della Federal Trade Commission (FTC), ossia quell’insieme di linee guida e di principio relative al corretto utilizzo dei green claims e a contrasto del greenwashing. Queste disposizioni si basano proprio sulla tutela della libertà e consapevolezza di acquisto del consumatore medio, rispetto a prodotti definiti sostenibili o a basso impatto ambientale.

Dall’altra parte, nella propria difesa, Nike ha rilevato come la Ellis avesse acquistato solo 3 prodotti della collezione sostenibile, non potendo quindi valutare effettivamente tutta la collezione, e soprattutto come non abbia poi effettivamente provato l’ingannevolezza delle dichiarazioni di Nike.

  1. Il greenwashing

Nell’ambito del Green Deal e dello sviluppo della cd. strategia di sostenibilità l’UE si è posta una serie di obiettivi, tra cui, l’eliminazione dei gas effetto serra entro il 2050, la generale riduzione dell’impatto ambientale e la tutela dell’ecosistema[5].

All’interno della transizione verde e del modello di economia circolare, oltre alle plurime e rilevanti iniziative legislative, spiccano le nuove disposizioni relative all’utilizzo delle cd. asserzioni verdi e del greenwashing. Le “dichiarazioni ambientali” si riferiscono alla comunicazione e pubblicità di prodotti o servizi rispettosi dell’ambiente, o meno dannosi, rispetto a prodotti o servizi simili e concorrenti. Se tali dichiarazioni si dovessero rivelare false o non verificabili, si potrà incorrere nel rischio di greenwashing ovvero marketing ambientale fuorviante.

Per regolare e disciplinare al meglio tale comunicazione, la Commissione Europea a marzo 2023 ha presentato la proposta di Direttiva[6] per comprovare e comunicare al meglio le dichiarazioni ambientali (Green Claims Directive), attualmente in attesa di approvazione.       
Tale Direttiva prevede disposizioni specifiche relative alle asserzioni verdi e va a meglio precisare e tutelare i consumatori rispetto alla trasparenza e veridicità delle informazioni rilasciate dai produttori nella comunicazioni e pubblicità dei propri beni/servizi.

Tale proposta di Direttiva determinerà anche degli effetti in merito alla Direttiva 29/2005[7] relativa alle “pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno” e alla Direttiva 114/2006[8] relativa alla “pubblicità ingannevole e comparativa”, le quali costituiscono attualmente i punti di riferimento a livello europeo e nazionale anche per quanto riguarda la comunicazione ambientale.

È bene evidenziare come le dichiarazioni di benefici ambientali che si sostanziano in asserzioni vaghe e generiche, prive di contestualizzazione (ad es. “rispettoso dell’ambiente”, “ecocompatibile”, “attento ai cambiamenti climatici”…), non accompagnate da informazioni verificabili o chiare riguardo agli aspetti del prodotto o del suo ciclo di vita o non facilmente accessibili al consumatore, o ancora diano l’impressione che un prodotto o un’attività di un professionista non abbia impatti negativi sull’ambiente, possano già perfettamente rientrare nelle disposizioni degli articoli 6 e 7 della Direttiva 29/2005.

Oltre ai succitati regolamenti, il 6 marzo 2024 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE la Direttiva n. 825/2024 cd. Greenwashing[9], la quale disciplina specificamente la responsabilizzazione dei consumatori e la tutela contro le pratiche commerciali scorrette nell’ambito della pubblicità green.    
La Direttiva prevede informazioni sulla riparabilità dei prodotti, sulla chiarezza, la trasparenza e la verificabilità nella comunicazione ai consumatori in merito agli impatti ambientali e sociali, alla durabilità e alla riparabilità dei prodotti.

Tali proposte normative sono l’approdo di un più lungo percorso legislativo ma soprattutto di una maggiore consapevolezza del mercato, dei consumatori, degli enti e delle organizzazioni ambientali.  
Le pressioni svolte da tali soggetti hanno portato gli operatori economici e le associazioni di categoria a prevedere linee guida, consigli pratici e stimoli per migliorare la propria comunicazione verde e la trasparenza delle proprie politiche, principalmente su base volontaria[10].

Secondo le nuove normative in tema di dichiarazioni ambientali e greenwashing saranno vietate le asserzioni ambientali generiche, ex multis, senza alcuna dimostrazione provata, le affermazioni sulla compensazione delle emissioni tali da definire un prodotto a zero o ridotto impatto ambientale, le etichette di sostenibilità non provenienti da certificazioni approvate o stabilite dalle autorità pubbliche, le dichiarazioni sulla durabilità non dimostrate, i beni proposti come riparabili quando non lo sono. A tal proposito un ruolo fondamentale viene giocato anche dall’ottenimento di marchi ambientali e certificazioni di sostenibilità di prodotto o aziendali.

  1. Le Green Guides USA

Negli USA, la FTC (Federal Trade Commission) ha pubblicato per la prima volta nel 1992 le linee guida per l’utilizzo dei claims ambientali[11], le c.d. Green Guides, che forniscono indicazioni sull’uso da parte dei professionisti del marketing di certificazioni di prodotto e sigilli di approvazione, imponendo agli operatori economici chiarezza e trasparenza.    

I principi riguardano tutte le dichiarazioni di marketing ambientale, le possibili interpretazioni dei consumatori per particolari affermazioni, le indicazioni su come comprovare le affermazioni per evitare di ingannare i consumatori.

Nel 2022 la FTC ha avviato una revisione[12] delle Guide Verdi del 2012[13], con la volontà di meglio riflettere gli sviluppi in tema di marketing ambientale e percezione dei consumatori. La base, nella garanzia di informazioni accurate e verificabili, sarà sempre la presenza di prove scientifiche affidabili, risultanze di test, analisi effettuate da studi competenti ed accreditati.    

Come per l’UE, anche per la FTC le linee guida elaborate traggono ispirazione dai cd. 7 peccati del greenwashing[14], elaborati da TerraChoice nel 2007, ossia un elenco dei rischi da valutare durante la predisposizione di green claims e strategie pubblicitarie.
I 7 peccati sono: omessa informazione (hidden trade-off), mancanza di prove (no proof), vaghezza (vagueness), adorazione di false etichette (worshiping of false labels), irrilevanza (irrelevance), minore dei due mali (lesser of two evils), mentire (fibbing).

Nonostante le Guide Verdi non costituiscano una fonte legislativa, vengono frequentemente e sempre maggiormente utilizzate, anche all’interno di procedimenti giudiziari, come parametro di valutazione delle asserzioni ambientali e delle politiche di sostenibilità.

  1. La decisione Nike vs Ellis

Alla luce della crescente attenzione al marketing ambientale, alla consapevolezza dei consumatori e alla promozione di una economia circolare, il caso Nike vs Ellis costituisce un importante parametro di valutazione della pubblicità ambientale ingannevole.

Le nuove disposizioni legislative, così come le linee guida della FTC, determinano sempre maggiori impegni e attenzione da parte degli operatori economici nella comunicazione dei propri impegni ambientali. Non si deve, però, dimenticare che ogni contestazione e ogni valutazione in merito a tali contenuti deve essere supportata da elementi concreti, dimostrabili e precisi.

Ed è proprio a causa della carenza di prove, e quindi della infondatezza dell’accusa, che il Giudice Schelp ha deciso di archiviare il caso Ellis vs Nike[15].
Secondo la decisione, nei casi di greenwashing l’onere probatorio non viene soddisfatto affermando semplicemente che i prodotti pubblicizzati con attributi di sostenibilità non sono in realtà positivi per l’ambiente, ma devono essere citati fatti specifici, dimostrando i motivi per cui certi prodotti non sono verdi e, soprattutto, come si è raggiunta tale conoscenza. Secondo il Tribunale, infatti,  nonostante diversi mezzi di prova avanzati dalla attrice (screenshots, estratti del sito web di Nike, etichette di prodotti) l’accusa non sarebbe stata sufficientemente corroborata da elementi concreti: “La legge del Missouri richiede alla querelante di presentare accuse che dimostrino di aver agito come farebbe un consumatore ragionevole alla luce di tutte le circostanze. L’attore cerca di eludere tale requisito essendo particolarmente vago sulle circostanze qui presenti. Il querelante parla di etichettatura, marketing e pubblicità non specificati. Li ha letti? Quali ha visto? E, forse la cosa più importante, cos’altro hanno detto? Non lo dice. Fornisce solo estratti frammentati da etichette non identificate, marketing e pubblicità. Dal momento che non ha dimostrato quali informazioni fossero a sua disposizione all’epoca, né quali fossero state esaminate o non esaminate, la Corte non ha ricevuto informazioni sufficientemente approfondite sulle circostanze. Pertanto, non ha plausibilmente sostenuto di aver agito come farebbe un consumatore ragionevole alla luce di tutte le circostanze”.
Il consumatore medio, secondo la Corte, non viene esposto a tutte le diverse dichiarazioni che un produttore esterna e, quindi, è molto difficile dimostrare che sia stato indotto ingannevolmente ad acquistare un prodotto, sulla sola base di quanto descritto dalla Ellis.

Sarebbero manchevoli le informazioni, per esempio, circa il fatto che prodotti non contengono alcuna fibra riciclata o biologica o siano realizzati con materiali sintetici, non vengono menzionati test o analisi, indicazioni sui fornitori o altri informatori e “poiché tutte le pretese della Querelante si basano su queste affermazioni che sono fuorvianti, false o fraudolente, ma lei non è riuscita a dimostrare in modo plausibile che lo siano, tutte le sue pretese in questa azione falliscono necessariamente”[16].

Inoltre, spiega ancora la Corte, “anche se il Tribunale accettasse come vere le affermazioni totalmente non supportate della Querelante secondo cui le affermazioni dei Convenuti sono false o fuorvianti, le sue pretese ai sensi della MMPA sarebbero comunque soggette a archiviazione perché non ha plausibilmente sostenuto che “ha agito come un consumatore ragionevole avrebbe fatto alla luce di tutte le circostanze””.

Per esempio, l’affermazione che un prodotto contiene materiali riciclati o è riciclabile può essere contestata solo con fatti che dimostrino il contrario e anche le affermazioni sulla futura riduzione delle emissioni di carbonio possono essere contestate solo se il convenuto non ha un piano d’azione realistico.

La violazione della MMPA prevede che il consumatore abbia acquistato merci dal convenuto per scopi personali, familiari o domestici, che abbia subito una perdita di denaro determinabile e tutto ciò a causa di un atto dichiarato illegale ai sensi della Legge sulle Pratiche Commerciali[17]. Inoltre deve essere dimostrato che il consumatore abbia agito come farebbe un consumatore medio alla luce di tutte le circostanze e che il metodo, l’atto o la pratica dichiarata illegale avrebbe portato una persona ragionevole all’acquisto dannoso, con conseguenti danni sufficientemente provati e ragionevolmente quantificati[18].

Alla luce di ciò, se l’utente non può dimostrare che il consumatore medio sarebbe stato ingannato, l’archiviazione è giustificata.

Se ne deduce che, pur non volendo concedere ampia libertà di comunicazioni vaghe o confusorie ai produttori, questa decisione dimostra che dovrà essere effettuata una approfondita indagine su ciò a cui il consumatore medio è stato esposto e ragionevolmente comprende. Principio che dovrebbe rimanere il metro di paragone di qualsiasi azione per pubblicità ingannevole.

Tale pronuncia, tanto più in un contesto normativo ancora incerto, e a tratti lacunoso, costituisce un precedente di non poco conto.

[1] Ellis v. Nike, et al., n. 4-23-cv-00632 (E.D. Mo. 2024), reperibile al seguente link: https://casetext.com/case/ellis-v-nike-us-inc

[2] Slogan sul sito ufficiale Nike: https://www.nike.com/sustainability

[3] Pagina 2, Case No. 4:23-cv-00632-MTS: “una maglietta a maniche corte Nike Dri-FIT One Women’s Standard Fit, una maglietta a maniche corte da corsa Nike Dri-FIT Rise 365 Men’s, una canotta a collo alto Nike Dri-FIT One Women’s Luxe Standard Fit”https://www.courtlistener.com/docket/67362512/34/ellis-v-nike-usa-inc/

[4] Atto introduttivo Ellis, reperibile al seguente link: https://www.courtlistener.com/docket/67362512/1/ellis-v-nike-usa-inc/

[5] Descrizione e cronologia del Green Deal https://www.consilium.europa.eu/it/policies/green-deal/#:~:text=Il%20Green%20Deal%20europeo%20%C3%A8%20un%20pacchetto%20di%20iniziative%20strategiche,un’economia%20moderna%20e%20competitiva

[6] Testo della Direttiva: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52023PC0166

[7] Testo della Direttiva: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32005L0029

[8] Testo della Direttiva: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32006L0114

[9] Testo della Direttiva: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L_202400825

[10]Finanziamento UE per una transizione giusta e volontaria:

 https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal/finance-and-green-deal/just-transition-mechanism/just-transition-funding-sources_it

[11] https://www.ftc.gov/news-events/topics/truth-advertising/green-guides

[12] Comunicazione del 2022 della FTC: https://www.ftc.gov/news-events/news/press-releases/2022/12/ftc-seeks-public-comment-potential-updates-its-green-guides-use-environmental-marketing-claims

[13] Green Guide 2012: https://www.ftc.gov/sites/default/files/documents/federal_register_notices/guides-use-environmental-marketing-claims-green-guides/greenguidesfrn.pdf

[14] I 7 peccati del greenwashing possono essere approfonditi al seguente link: https://dressthechange.org/i-7-peccati-del-greenwashing/

[15] Testo della decisione: https://www.courtlistener.com/docket/67362512/34/ellis-v-nike-usa-inc/

[16] https://www.courtlistener.com/docket/67362512/34/ellis-v-nike-usa-inc/

[17] Ex multis: Bell v. Annie’s Inc., 673 F. Supp. 3d 993, 997 (E.D. Mo. 2023); Hess v. Chase Manhattan Bank, USA, N.A., 220 S.W.3d 758, 773 (Mo. banc 2007); Schulte v. Conopco, Inc., 997 F.3d 823, 825–26 (8th Cir. 2011).

[18] Ex multis: Hess, 220 S.W.3d at 773; Bell, 673 F. Supp. 3d at 998, at *3; Lizama v. H&M Hennes & Mauritz LP, 4:22-cv-1170-RWS, 2023 WL 3433957, at *5 (E.D. Mo. May 12, 2023).

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