venerdì, Aprile 26, 2024
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Finanza islamica: i principi portanti

Dîn, questa parola araba, che non trova un esatto equivalente nella lingua italiana, sta a indicare non solo religione o culto, ma anche il vivere associato alle sue regole.

Come afferma Atzori[i], l’islam rappresenta un’ideologia complessa e articolata, che ambisce a permeare della sua morale la vita dell’umanità e quindi anche la sfera economica. Questo chiarisce come l’islam non può considerarsi una religione nel senso tradizionale del termine, i suoi precetti, infatti, non si limitano a regolare il rapporto privato tra uomo e Dio.

L’islam rappresenta un vero e proprio sistema di vita, una legge che vale per la vita privata e vale anche per ogni settore della vita pubblica, regolando quindi la condotta dell’uomo nella comunità dei credenti.

Nel primo capitolo di questo approfondimento sulla Finanza Islamica, abbiamo visto le fonti religiose, che, proprio in virtù dell’ampia accezione che assume il termine dîn nell’Islam, coincidono con quelle giuridiche.

Oggi, invece, analizzeremo i principi fondanti della materia.

I testi sacri impartiscono prescrizioni dettagliate circa alcuni aspetti della vita economica, quali l’importanza del lavoro e della proprietà privata; il commercio, la concorrenza e il monopolio.

Infatti i credenti sono incoraggiati al lavoro, al guadagno economico e all’investimento, anche se ciò riguarda solo gli uomini.
L’islam garantisce e ritiene un diritto inviolabile la proprietà privata, anche se con alcune limitazioni; infatti, tutti i beni sono donati agli uomini da Allah, per cui l’uso della proprietà deve rispettare sempre la natura e il prossimo, ma nessuno può essere privato dei beni necessari per poter vivere dignitosamente.
Altro precetto fondamentale per la religione islamica è l’equa distribuzione delle ricchezze: secondo il Corano, le risorse della terra sono presenti in quantità giuste a soddisfare i bisogni di ogni persona; la scarsità può risultare solo dall’avidità e dall’incapacità dell’uomo di gestirle.

La conseguenza sul piano economico è il divieto al monopolio, in quanto esso genera disparità, mentre è incoraggiata e promossa la concorrenza.

Da questi generalissimi principi derivano i quattro fondamentali corollari su cui si basa qualsiasi attività economica, essi sono:

  • Il divieto del ribà (interesse) e il principio della condivisione del rischio e del rendimento;
  • Il divieto di speculare (maysìr) e di introdurre elementi di incertezza nei contratti (ghàrar);
  • La proibizione dell’uso, commercio o investimento in beni o attività proibite (haram);
  • La zakàh e la distribuzione equa della ricchezza.

L’obiettivo del presente articolo è analizzare ogni singola fattispecie, evidenziandone le fondamenta e le implicazioni per gli intermediari finanziari.

Ribà letteralmente significa “incremento”, tecnicamente viene usato per indicare gli “interessi”. La proibizione del ribà ha come obiettivo quello di garantire l’equità e la giustizia economico-sociale e prevenire ogni forma di sfruttamento. Esso si fonda sul principio secondo cui non può esistere alcun guadagno senza prima l’assunzione di un rischio; ovvero, è considerato vietato qualunque arricchimento non giustificato dall’operosità attiva dell’uomo.

Qualsiasi ritorno positivo (fisso o variabile che sia), che venga garantito a prescindere dalla performance dell’investimento è da considerarsi vietato. Nel dettaglio, siamo in presenza di ribà quando un tasso di interesse è fissato ex ante, è legato al fattore temporale e all’ammontare del prestito, è dovuto a prescindere dai risultati economici ottenuti con l’impiego del denaro prestato.

Ogni profitto deve essere economicamente ed eticamente giustificato, non può esserci guadagno senza rischio e senza sforzo. Solo lo sforzo fisico e intellettuale può essere remunerato; economicamente parlando: soltanto la reale crescita effettiva del capitale, ottenuta tramite il suo impiego, può essere ricompensata.

È proprio dal divieto del ribà che nasce il principio di condivisione del rischio, infatti, se può esistere guadagno solo quando chi detiene i capitali si assume delle responsabilità, diviene immediato l’obbligo di condivisione del rischio tra il detentore di capitali e l’utilizzatore di capitali a fini produttivi, ovvero tra utenti e intermediari finanziari.

Maysìr letteralmente significa “gioco d’azzardo”, pratica espressamente vietata dal Corano. In maniera più ampia, i giuristi lo hanno interpretato, nell’ambito economico, come il divieto all’assunzione di rischi eccessivi e non tipicamente imprenditoriali; all’investimento in attività puramente finanziarie, che non abbiano un legame stretto con l’economia reale.

Questo divieto trova fondamento, quindi, nel principio islamico secondo cui sono ritenute peccaminose tutte quelle attività, (come il gioco d’azzardo, appunto) che danno l’opportunità di incrementare la propria ricchezza in modo puramente casuale, scommettendo sul risultato futuro di un evento.

Nello specifico, mira ad eliminare pratiche come la speculazione, la negoziazione di derivati, ma anche la firma di contratti assicurativi convenzionali.

Il divieto di ghàrar, che letteralmente sta ad indicare una frode messa in atto approfittando della buona fede altrui, è legato all’incertezza e alla validità dei contratti.

La proibizione del ghàrar implica che un contratto, per essere valido, non debba contenere elementi di incertezza, riferendosi sia a condizioni di informazione incompleta (relativamente a un elemento essenziale della transizione) sia all’incertezza intrinseca nell’oggetto del contratto e quindi del suo effetto.

Esso si basa sui principi religiosi e morali dell’Islam che impongono l’equità e l’equivalenza delle prestazioni. Attraverso il divieto ghàrar si cerca di evitare che una delle parti contraenti possa trarre un ingiusto profitto sfruttando situazioni d’incertezza.

I giuristi islamici, consapevoli di non poter eliminare ogni forma d’incertezza, distinguono il ghàrar eccessivo, che rende nullo il contratto, dal ghàrar trascurabile, che non lo rende nullo. Questa distinzione si basa su un’analisi costi-benefici relativi al contratto, più precisamente, se l’incertezza è sostanziale, il contratto è nullo; se invece la necessità o i benefici del contratto sono superiori rispetto ai costi legati dell’incertezza, il contratto può essere stipulato.

Perché un contratto possa essere considerato conforme alla Shari’ah è necessario determinare con chiarezza: l’oggetto del contratto e le sue caratteristiche, la sua esistenza ed effettivo possesso da parte del venditore, la quantità e qualità, il prezzo e le modalità di pagamento, i tempi e le condizioni di consegna. Per questo rientrano nel divieto: la vendita di cosa futura, la vendita ad un prezzo non determinato e la vendita ad una data futura.

La parola haram significa letteralmente “proibito” e viene usata per definire tutti quei comportamenti peccaminosi e quindi vietati dalla dottrina islamica. In ambito economico, viene proibito l’uso, il commercio o l’investimento in beni o attività proibite come quelle legate al tabacco, alla pornografia, al commercio di armi, all’alcol, alla carne di maiale e al gioco d’azzardo.

Ne deriva che le istituzioni finanziarie musulmane non possono investire in certi tipi di aziende, nello specifico, è vietato l’investimento azionario in società quotate e non, che siano direttamente o indirettamente coinvolte nelle attività già citate.

Zakàh letteralmente significa carità, e corrisponde ad una vera e propria imposta che il musulmano è tenuto a pagare annualmente, a partire da un minimo imponibile, su determinati beni tassabili.

Essa si fonda sul principio, citato espressamente nel Corano, secondo cui chiunque possieda un ammontare minimo di ricchezza è obbligato a “purificare” se stesso e il suo patrimonio attraverso il pagamento di un’offerta.

La giurisprudenza sulla base delle prescrizioni coraniche precisa quali sono i beni tassabili, il minimo imponibile (nisàb), le aliquote dovute, il sistema di esazione e le norme di distribuzione.

La zakàh viene applicata a tutti quei beni in proprietà (da più di un anno) non sfruttati a fini produttivi, e che eccedono una quantità minima. Nello specifico sono soggetti a zakàh: il bestiame, i frutti della terra, i metalli preziosi e le mercanzie, ma non i beni immobili, gli animali da lavoro e l’oro e l’argento impiegati nel commercio.

Le aliquote dipendono dal bene.

All’interno degli Stati moderni sono oggetto della zakàh anche la produzione degli impianti industriali, i profitti delle imprese, le ricchezze finanziarie e le risorse naturali. In questo caso la raccolta viene effettuata direttamente dallo Stato e, in base al bene, l’aliquota varia tra il 2,5% e il 10 %.

Questo rappresentava l’ultimo dei quattro principi portanti dell’economia islamica. Per riuscire a comprendere le caratteristiche e la valutazione dei prodotti Shari’ah compliant, offerti dalla finanza islamica, era necessario chiarire, in primo luogo, le fondamenta di questa materia.

Rimandiamo al prossimo articolo di questa rubrica sulla Finanza Islamica, la spiegazione dei prodotti finanziari che potrebbero essere inseriti nelle offerte dei nostri intermediari finanziari, qualora venisse approvata la proposta di legge dell’onorevole Maurizio Bernardo, di cui abbiamo già parlato precedentemente[ii].

[i] nel suo libro “Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?”(2010).

[ii] https://www.iusinitinere.it/la-finanza-islamica-una-realta-piu-vicina-di-quanto-si-creda-3007

 

Claudia Addona

Claudia Addona nasce a Benevento nel 1993. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, si laurea in Scienze Aziendali nel 2017, all'università La Sapienza di Roma, con tesi in Marketing. Nel gennaio 2020 consegue la laurea magistrale con il massimo dei voti in Finanza e Assicurazioni, sempre presso l'università degli studi di Roma "La Sapienza". Collabora dal 2017 con Ius in Itinere in seguito alla nascita della nuova area Banking&Finance, di cui ne diventa responsabile nel 2018. La curiosità e la determinazione sono ciò che le permettono di dare il meglio in tutto ciò che fa. Email: claudia.addona@gmail.com

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