Forme di garanzie atipiche nel mondo degli affari: le lettere di patronage
A cura di Mattia Montaini
- La nascita dell’istituto: da “Gentlemen’s agreement” a garanzia atipica
Nelle dinamiche dei gruppi di società, gli istituti di credito che intrattengono rapporti commerciali con le controllate, desiderano da parte della holding una garanzia di adempimento delle obbligazioni. Indubbia è la maggiore vis contrattuale di cui dispone la capogruppo rispetto alla controllata, ciò permette sicuramente l’accesso al credito con maggiore agio, migliori condizioni economiche e minori vincoli, ed è per questo che assume rilevanza il rapporto tra capogruppo ed istituto bancario, nonostante il credito sia concesso alla controllata.
Dovendo un credito essere sempre garantito, il Codice civile mette a disposizione gli onerosi e vincolanti istituti tipici di garanzia quali, pegno sui beni mobili, ipoteca sui beni immobili, garanzie personali ed altre figure nominate. In quest’ottica, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, inizia a diffondersi anche in Italia l’utilizzazione di documenti con cui le multinazionali straniere garantivano di esercitare attività di controllo, coordinamento e di influenza sulla controllata italiana, al fine di ottenere erogazione di credito ed ingenerare di conseguenza nella banca la convinzione di solvibilità della controllata.
L’istituto della lettera di patronage e o lettera di gradimento, si avvia così ad imporsi come forma di garanzia atipica, sostituendo il ruolo preponderante sino ad allora detenuto dalle garanzie ordinarie, onerose e strettamente vincolanti dal punto di vista della responsabilità, data la loro natura contrattuale dettagliatamente regolamentata dal Codice.
La sistematica statunitense le aveva classificate in origine come gentlemen’s agreement, ovvero accordi tra gentiluomini, riponendo la garanzia dell’adempimento dell’obbligazione sottesa, al mero rapporto di fiducia dei contraenti, in quanto “il mancato rispetto [della restituzione del prestito] avrebbe comportato un tale discredito da risultare maggiore di un qualsivoglia tipo di indennizzo di natura monetaria”1.
È indubbio però che non sia possibile lasciare alle convenzioni sociali e agli usi locali il potere di disciplinare uno strumento così rilevante nei rapporti commerciali nazionali e in primo luogo internazionali.
Muovendo da queste brevi considerazioni introduttive analizziamo ora nello specifico la disciplina delle lettere di patronage e i profili di responsabilità ad esse connessi così come elaborati da dottrina e giurisprudenza.
- Analisi della disciplina
La lettera di patronage ha come obiettivo principale quello di ingenerare nel terzo che eroga il credito alla società controllata, il convincimento del regolare adempimento dell’obbligazione da parte di quest’ultima.
Dal lato del patronnnant, ovvero il soggetto che la redige in favore della società controllata, permette di evitare l’iscrizione allo stato passivo del bilancio di importi consistenti che si avrebbe invece con la costituzione di garanzie tipiche come la fideiussione2, con la conseguenza di suscitare in creditori e investitori diffidenza sullo stato finanziario del gruppo. Inoltre, non necessita della deliberazione assembleare richiesta altresì per la costituzione delle garanzie tipiche, ma è redatta ed inviata a cura degli amministratori. Tutto questo dota il procedimento di una evidente speditezza che da sempre è indispensabile nei traffici commerciali per la conduzione dell’attività d’impresa con competitività ed efficienza.
Dal lato dell’ente erogante il credito, la banca ha la possibilità di venire a conoscenza della situazione patrimoniale e finanziaria della holding, della controllata e del gruppo nella sua interezza, e potrà così valutare la convenienza della continuazione dei rapporti precedenti e dell’apertura di eventuali nuove linee di credito.
Avendo visto come lo strumento sia proficuo per entrambe le parti, anche se i maggiori vantaggi ricavati dalla holding sono evidenti, è necessario ora analizzare la classificazione sistematica avvenuta nel panorama italiano.
Innanzitutto, lo strumento è sicuramente legittimo, rientrando nell’ipotesi prevista dall’art. 1322, co. 2, c.c., secondo cui la realizzazione di interessi meritevoli di tutela non deve avvenire necessariamente tramite i tipi forniti e disciplinati dall’ordinamento. Infatti, le parti sono libere, secondo il principio di autonomia contrattuale, di determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge 3in linea con il principio di libertà di iniziativa economica privata ex art. 41, Cost.
Per quanto concerne la sua natura, si è a lungo dibattuto se si tratti di un contratto atipico, di un negozio unilaterale, di una promessa del fatto del terzo, di un mandato di credito. La fattispecie si inserisce in ogni caso nei rapporti di forza dei gruppi di società così come disciplinati dall’art. 2359 c.c.. Volendo in questa sede concentrarsi più sul profilo dell’eventuale risarcimento del danno derivante da lettera di patronage, che non sulla natura dello strumento, riporterò solamente le opinioni attualmente prevalenti, consapevoli comunque dell’acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si è susseguito negli anni e che tutt’ora imperversa nelle aule di tribunale e nelle cattedre universitarie.
Autorevolissima dottrina (Galgano), la definisce come una lettera nella quale il patronnant dichiara di “possedere una partecipazione di controllo sulla società da finanziare; che controllerà che questa adempia regolarmente le obbligazioni di restituzione e, spesso che non cederà la propria partecipazione di controllo fino a quando il debito non sarà stato estinto” 4. La definizione fornita da Galgano evidenzia come il patronage sia sostanzialmente unicamente informativo, ed è proprio il profilo informativo a costituire elemento di discrimine rispetto alle forme di garanzie tipiche, avendo la lettera come obiettivo primario quello di mutare la responsabilità del patronnant da contrattuale ad extracontrattuale. Di conseguenza se il patronnant non rispetterà gli impegni assunti potrà “essere chiamato a rispondere, ma non per inadempimento ad una promessa, bensì per il titolo, ex art. 2043, […] cioè per aver deluso la ragionevole aspettativa che la sua comunicazione ha ingenerato nel destinatario”5.
L’intero dibattito prende le mosse proprio da questo aspetto, e si interroga sulla natura della lettera da cui di conseguenza deriva il diverso regime di responsabilità. Analizziamo quindi le tre categorie che sono state accettate dalla giurisprudenza maggioritaria.
2.1 Lettere di Policy, Lettere “deboli”, Lettere “forti”
Nel panorama italiano la giurisprudenza è giunta alla conclusione dell’esistenza di tre tipi di lettere di patronage: lettere di policy, lettere “deboli” e lettere “forti” o “impegnative”.
- Lettere di policy: sono quelle lettere con carattere meramente informativo sulla situazione patrimoniale e finanziaria di holding e controllata. Non sono accolte unanimemente da dottrina e giurisprudenza, vista l’assenza di portata giuridica che viene da molti contestata. Possono essere assimilate in senso lato ad una due diligence 6della società, con la quale la banca può ottenere tutte le informazioni necessarie per una valutazione sulla convenienza dell’ erogazione del credito. Vista l’assenza totale di vincoli, ad esclusione di quelli derivanti da eventuali dichiarazioni mendaci rese dalla società controllante che espongono a risarcimento danni, non sono spesso utilizzate, tranne qualora la banca accetti di correre il rischio di apertura o continuazione del credito verso la controllata per garantirsi rapporti commerciali con una holding blasonata e rilevante sul panorama economico globale.
- Lettere “deboli”:in questa categoria rientrano in generale le lettere con obbligazione di facere o non tacere ad esempio le “dichiarazioni di consapevolezza, con cui il patronnant dichiara di essere al corrente del rapporto di finanziamento già in corso o in via di perfezionamento tra patrocinato e banca; le dichiarazioni di approvazione, con cui il patronnant dichiara di approvare il detto rapporto; le dichiarazioni confermative di controllo, con le quali si enuncia la percentuale del pacchetto azionario del patrocinato posseduto (direttamente o indirettamente) dal patronnant”8.
- Lettere “forti”: “costituiscono un impegno per il patronnant sicuramente più intenso e vincolante, caratterizzato dall’assunzione di impegni che hanno lo scopo di spostare con diversi gradi di intensità, in ragione del tenore della lettera, il rischio di insolvenza della patrocinata dalla banca al patronnant” 7. Non vi è dubbio che quest’ultima categoria sia quella più richiesta dalle banche, in particolare per le operazioni di finanziamento di maggior valore, essendo dotata di profili di responsabilità più incalzanti tramite i quali l’istituto di credito si assicura maggiormente contro il potenziale inadempimento.
- La giurisprudenza dal 1979 ad oggi
Come abbiamo anticipato in precedenza, stabilire la natura giuridica, e se ne abbiano o meno una, delle lettere di patronage, è indispensabile per conoscere il regime di responsabilità da applicare al caso concreto. L’appurare la legittimità dell’istituto non è stato sufficiente per mettere fine al dibattito in materia, anzi le problematiche e le discordie nascono soprattutto nell’ambito della responsabilità da queste derivanti. La rilevanza giuridica delle lettere varia in base al contenuto, secondo cui è possibile distinguerle nelle categorie di cui al paragrafo precedente. Questa “graduazione” è stata formulata non senza difficoltà da giurisprudenza e dottrina, anche se in questa sede ci soffermeremo solo sull’analisi delle sentenze per esigenze di sinteticità.
La prima sentenza in materia di comfort letter viene prodotta nel 1979dal Tribunale di Milano e “costituisce un vero e proprio precedente giuridico sul quale si sono basate molte successive sentenze” 9. Il caso di specie riguardava l’utilizzo dello strumento nella sua forma più comune, e il contenzioso nacque proprio per il rifiuto da parte della multinazionale emittente la lettera, nella quale si riprometteva di fare in modo che la società italiana fosse in grado di adempiere le proprie obbligazioni, di soddisfare il credito residuo della controllata che aveva richiesto l’ammissione al concordato preventivo, tra l’altro accettato anche dalla banca. Il tribunale ricondusse la fattispecie all’ipotesi dell’art. 1381 c.c., riguardante la disciplina della promessa del fatto del terzo,secondo cui, colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l’altro contraente se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso, respingendo in fine la richiesta della banca in quanto “la procedura concordataria costituisce una legittima modalità di estinzione delle proprie obbligazioni” 10.
Altra storica sentenza è quella emessa, sempre dal Tribunale di Milano il 30 maggio 1983, in cui si dibatté se la lettera di patronage a contenuto forte fosse inquadrabile nell’istituto del mandato di credito, in quell’occasione si giunse alla conclusione che “per il Tribunale di Milano, se una lettera presenta dichiarazioni impegnative, che portano il patronnant ad assumersi obblighi di qualsiasi natura, questa sarà fonte di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze del caso” 11.
La pronuncia della Corte di Cassazione che sancisce chiaramente l’assenza del carattere contrattuale nellelettere dipatronagegiungerà due anni più tardi, il 9 maggio1985. Nello specifico la Corte negò ogni possibilità di accomunare lettere di patronage e fideiussioni, in quanto individuava proprio nel carattere extracontrattuale della lettera, il motivo per cui viene utilizzata, affermando che se le holding volessero obbligarsi contrattualmente come garanti o fideiussori delle società controllate utilizzerebbero la moltitudine di istituti tipici offerti dal Codice civile, ed escludendo l’“affidamento incolpevole dell’esperto istituto bancario [nonché individuando l’obiettivo della lettera nel] valutare il rischio fidi e assicurare all’istituto bancario la conoscenza di elementi di giudizio più idonei e sicuri, di volta in volta aggiornati, per la rivalutazione della bontà dell’affare”12.
1 N. Soldati, “La lettera di patronage nella prassi bancaria”, in Ventiquattrore Avvocato, Il Sole 24 Ore, settembre 2008, n° 9, p. 47.
2 Codice Civile, art. 2424.
3 Codice Civile, art. 1322.
4 F. Galgano,Diritto Privato, 17 ed., Padova, CEDAM, 2018, p. 423.
5M. C. Perchinunno,Il danno da lesione dell’affidamento suscitato dalla lettera di patronage, in Contratto e impresa, 2006, n°3 maggio-giugno, p. 621.
6 “La principale finalità della due diligenceè quella di accertare attraverso una raccolta mirata ed analitica di informazioni se vi siano le effettive condizioni di fattibilità dell’operazione programmata ovvero se sussistano elementi e profili di criticità che possano comprometterne il buon esito”, così L. Bragoli, “La due diligenze nell’ambito delle operazioni di acquisizione”,[online], Altalex, 10/10/2007.
7 F. Nicotra,“Una garanzia atipica: le lettere di patronage”, [online], Altalex, 31/08/2015.
8 N. Soldati, op. cit., p. 50.
9 M. de Castello, La lettera di patronage, [online], de Castello & co. Società tra Avvocati S.r.l., 06/12/2016, <www.studiolegaledecastello.it>.
10 M. de Castello, ibidem.
11 M. de Castello, ibidem.
12 Cass Civ., Sez. I, sentenza n. 2879, 9 maggio 1985.