Il danno da vacanza rovinata
SOMMARIO: 1.Origini del fenomeno turistico e primi interventi normativi. – 2.Il d. lgs. 79/2011 (c.d. Codice del Turismo). – 3.Il danno da vacanza rovinata e il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale. – 4.L’art. 47 cod. tur.: presupposti e limiti al risarcimento. Un’analisi della casistica giurisprudenziale. – 5.La dir. 2015/2302/UE e le ragioni di un nuovo provvedimento normativo in materia di contratti di viaggio; il difetto di conformità e la responsabilità dell’organizzatore e del venditore.
- Origini del fenomeno turistico e primi interventi normativi
Nel nostro Paese l’attenzione nei confronti del fenomeno turistico è incominciata dai primi anni settanta del secolo scorso, in relazione alla qualificazione del contratto di viaggio, interrogandosi in particolare, in primo luogo, sulla sua natura giuridica e poi sui corollari che ne derivavano.
Va evidenziato sin da subito che la normativa in materia di viaggi e turismo si presenta come “multilivello”, in quanto la stessa viene a recepire materiale normativo proveniente da diverse fonti quali il diritto comunitario, le convenzioni internazionali, il diritto costituzionale, il diritto amministrativo, il diritto privato e, sovente, anche quello regionale. Non deve stupire, pertanto, che i maggiori passi avanti siano avvenuti proprio per effetto dell’impulso apportato dalla legislazione internazionale.
La prima fonte normativa in tema di contratto di viaggio si rinviene proprio nella ratifica, attuata con l. 27 dicembre 1977, n. 1084, della Convenzione Internazionale concernente i contratti di viaggio (CCV), firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970: questa trova applicazione solo per i contratti di viaggio internazionali che vengano ad essere eseguiti totalmente o parzialmente in uno Stato diverso rispetto a quello in cui il contratto è stato stipulato ovvero rispetto al luogo di partenza del viaggiatore.
Ciò è avvenuto in quanto, al momento della ratifica, il Legislatore italiano ha formulato la riserva prevista dall’art. 40 della Convenzione, limitando, in tal modo, l’operatività della normativa.
Come è noto, gli Stati firmatari della Convenzione, tuttavia, non sono stati numerosi[1]: a sostegno del mancato successo della suddetta, che ha portato alcuni a ritenere che la stessa abbia totalmente fallito il proprio obiettivo, si afferma la circostanza secondo la quale molti degli Stati membri dell’Unione Europea, come ad esempio la Germania e, allora, anche l’Inghilterra, presentavano già, al loro interno, normative in grado di assicurare al turista-consumatore un’adeguata protezione. Nonostante ciò, ad essa deve comunque riconoscersi l’indubbio merito di aver disciplinato, per la prima volta per quel che attiene alla normativa italiana che poi l’ha recepita, il contratto di viaggio così come emergente nella prassi in concreto adottata dagli operatori economici.
La disciplina del 1977 viene ad essere integrata, nella metà degli anni ’90, dalla direttiva n. 90/314/CEE attuativa del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111, il cui contenuto è stato trasfuso negli artt. 82-100 cod. cons.[2], senza significative modifiche.
L’intervento comunitario appariva necessario per vari motivi tra cui, in primis, proprio il problema della limitata ratifica della Convenzione di Bruxelles, di cui si è riferito, da parte dei Paesi aderenti alla Comunità Europea. Tale intervento, inoltre, come confermato nella premessa della Direttiva, ha come obiettivo il completamento della realizzazione del mercato interno anche nel settore dei servizi “tutto compreso”, con lo scopo di eliminare gli ostacoli ancora esistenti alla commercializzazione del servizio anche in uno Stato diverso da quello ove ha sede l’operatore e di permettere ai consumatori di usufruire di condizioni omogenee, unitamente ad un’adeguata tutela e informazione nell’acquisto di tali servizi.
Tale nuova disciplina intendeva creare un servizio più affidabile e, quindi, dal punto di vista del consumatore, più appetibile, con effetto migliorativo e di potenziamento per un mercato di notevole dimensione economica.
L’ambito di applicazione della nuova disciplina si ricava dal dettato degli artt. 82 ss. cod. cons., da cui è possibile dedurre due criteri di collegamento; in base al primo criterio, c.d. “territoriale”, ciò che assume rilevanza è il luogo di conclusione del contratto, a nulla rilevando il luogo dell’esecuzione. Viceversa, la disciplina della CCV, in virtù della predetta riserva contenuta nell’art. 40, aveva un ambito applicativo determinato innanzitutto dal luogo di esecuzione del contratto.
Un secondo criterio, oggettivo, di applicazione della disciplina, si rinviene nella stessa definizione di pacchetto turistico, che costituisce l’oggetto del contratto e che, a sua volta, ha come oggetto una prestazione professionale volta a realizzare un risultato.
La qualificazione dei pacchetti turistici è delineata, all’art. 84 cod. cons. da una serie di puntigliose definizioni: gli stessi “hanno ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso, risultanti dalla prefissata combinazione di almeno due degli elementi di seguito indicati, venduti od offerti in vendita ad un prezzo forfettario, e di durata superiore alle ventiquattro ore ovvero comprendente almeno una notte: a) trasporto; b) alloggio; c) servizi turistici non accessori al trasporto o all’alloggio di cui all’art. 86, lettere i) e o), che costituiscano parte significativa del pacchetto turistico”.
In ciò si ravvisa quindi, un’altra differenza rispetto alla precedente nozione di viaggio, dove si parlava, genericamente, di differenti prestazioni comprendenti trasporto, soggiorno separato e qualunque altro servizio cui questo si riferisca. Da ciò emerge, altresì, una maggiore sfera di operatività del nuovo contratto, che non prevede più tra i suoi elementi essenziali sia il trasporto, sia il servizio di alloggio, ben potendo uno dei due risultare assente. Inoltre, il contratto viene definito con ampiezza di contenuti, senza precisarsi che questo debba, necessariamente, essere offerto in vendita ad un numero illimitato di clienti.
La Corte di Giustizia, sotto tale aspetto ha, infatti, precisato che l’art. 7 della direttiva n. 90/314/CEE, si applica anche i viaggi i quali vengono offerti in omaggio da un quotidiano ad esclusivo vantaggio dei suoi abbonati[3].
- Il d. lgs. n. 79/2011 (c.d. Codice del turismo)
L’inserimento della normativa turistica all’interno del codice del consumo, tuttavia, non sollevava l’interprete dal doveroso compito di ricostruire gli specifici contenuti della figura del “consumatore” con riguardo alla controparte (c.d. “professionista”), nonché al profilo ed al contenuto oggettivo del singolo rapporto di consumo. Non è infatti casuale che nella Parte III del codice del consumo in tema di rapporti contrattuali, esisteva un campo nel quale la definizione di consumatore, non si attagliasse: si trattava, appunto, della disciplina dei “servizi turistici”, in cui era rinvenibile, non a caso, un’autonoma e speciale definizione della nozione di “consumatore di pacchetti turistici”, profondamente diversa rispetto a quella generale.
Questa peculiare nomenclatura rifletteva la natura di consumatore speciale dell’acquirente di pacchetti turistici, in virtù del più accentuato squilibrio esistente tra le due parti del contratto di viaggio. L’ambito del codice del consumo risultava, insomma, troppo stretto per questa figura, in quanto tecnicamente inidoneo ad assicurargli un compiuto ed efficace apparato di tutele. Ed è proprio per realizzare questa esigenza di maggiore protezione del turista rispetto al comune consumatore che, nonostante fossero trascorsi solo pochi anni dall’introduzione di quelle disposizioni nel codice del consumo, si è sentito il bisogno di intervenire ex-novo, per introdurre un codice di settore dedicato esclusivamente alla materia turistica.
Così, il 21 giugno 2011, è entrato in vigore il D.lgs. n. 79/2011, c.d. Codice del turismo, con l’obiettivo di disciplinare in maniera organica l’intera materia[4]. Il legislatore, nella realizzazione di questo, ha provato a far tesoro di talune pungenti critiche che la dottrina aveva riservato al codice del consumo. La modifica più rilevante sul piano terminologico consiste, indubbiamente, nella sostituzione della locuzione “consumatore di pacchetti turistici” con il termine generico “turista”.
Colui che acquista un “pacchetto turistico” diviene dunque, ora, un consumatore speciale,in considerazione proprio delle peculiari caratteristiche intrinseche del tour package, del cui contenuto il turista è reso edotto soltanto dalle informazioni somministrategli dall’organizzatore e dall’intermediario.
Un conto è acquistare un comune bene di consumo, confrontabile con altri beni analoghi prima del pagamento; altro è comprare un servizio “a scatola chiusa” non sapendo, ex ante, se il soggiorno scelto sarà poi effettivamente quello illustrato nell’opuscolo informativo: chi acquista è qui del tutto impossibilitato a verificare in anticipo la qualità del servizio prescelto, che però, di regola, ha notevole incidenza sul prezzo del pacchetto.
Ben si comprende allora l’esigenza di una maggiore protezione del turista rispetto al comune consumatore. E si badi, del turista genericamente inteso come “acquirente di un pacchetto turistico” a prescindere dalle concrete finalità di svago e di vacanza che, con tale acquisto, egli intende soddisfare[5].
“Turista”, infatti, non è soltanto chi acquista un pacchetto turistico a scopo di piacere, per il godimento di una vacanza; basti pensare al turista d’affari, che si sposta per partecipare ad un congresso (c.d. turismo congressuale) o ad una riunione di lavoro: è vero che nessun giudice riconoscerebbe a tale “viaggiatore” il risarcimento del danno da vacanza rovinata, ma non si vede perché, però, dovrebbe negargli le particolari tutele correlate all’oggettiva impossibilità di controllare ex antela qualità del servizio acquistato, liquidandogli il danno patrimoniale patito per l’inadempimento contrattuale.
Merita talune osservazioni anche la riformulazione della nozione stessa di “pacchetto turistico”.
Il previgente art. 84, comma 1°, cod. cons., richiedeva una duratadel viaggio, vacanza o circuito “tutto compreso” superiore alle ventiquattro ore ovvero comprendente almeno una notte, sicché non valevano ad integrare un “pacchetto” le escursioni giornaliere, pur sovente molto costose. Il requisito della durata minima è stato opportunamente eliminato dalla nuova definizione di “pacchetto turistico”, recata dall’art. 34 cod. tur.
Nel contempo, il comma 2° di quest’ultima norma prescrive che, ai fini della configurazione del pacchetto turistico, la significatività e, di riflesso, la non accessorietà dei servizi al trasporto o all’alloggio debba valutarsi con esclusivo riguardo alla soddisfazione delle esigenze ricreative del turista. Queste innovazioni consentono di valorizzare, anche sul piano della protezione del turista, il c.d. turismo “motivazionale”, con l’effetto di una migliore salvaguardia di chi acquista, ad esempio, il ticket di un evento sportivo o musicale, senza pernottare nel luogo ove si svolge l’evento: l’acquirente di un biglietto di trasporto aereo e di una partita di calcio da un medesimo “organizzatore” gode oggi della particolare tutela prevista per i contratti del turismo organizzato, se il volo viene cancellato o subisce un ritardo tale da non consentirgli la presenza all’evento, esclusiva motivazione del suo spostamento.
Emblematica è, in tal senso, la sentenza n. 1505/2017 emessa dal Tribunale di Gallipoli.
I fatti risalgono al settembre 2016, quando due amici acquistavano i biglietti aerei da un vettore irlandese per un breve soggiorno a Milano, in occasione dell’incontro di calcio “Inter-Juventus”, motivo esclusivo del loro viaggio. Il ritardo dell’aereo, giunto all’aeroporto di Bergamo solo alle ore 19.00, con ben 4 ore e 35 minuti di ritardo rispetto al previsto, aveva però reso impossibile ai due l’acquisto dei biglietti d’ingresso allo stadio in quanto lo sportello bancario preposto aveva già chiuso alle ore 17, per riaprire il lunedì successivo. Al loro rientro i malcapitati citavano in giudizio la compagnia Ryanair, la quale si costituiva contestando le pretese attoree ed eccependo, preliminarmente, la carenza di giurisdizione e l’incompetenza territoriale del Giudice adito.
Il Giudice di Pace, disattesa ogni eccezione avversa, accoglieva invece le domande attoree, e condannava il vettore al risarcimento dei danni per complessivi euro 800,00, facendo leva proprio sul fatto che il viaggio fosse stato organizzato esclusivamente allo scopo di prendere parte all’evento sportivo, e che pertanto, in conseguenza del ritardo, la causa concreta del contratto non si era potuta realizzare.
Appare chiaro che i motivi individuali del turista divengono decisivi non soltanto per l’inquadramento della fattispecie nell’alveo dei contratti di turismo organizzato, ma soprattutto ai fini dell’individuazione di eventuali inadempimenti dei tour operatoro degli agenti di viaggio, fungendo altresì da parametro di valutazione della loro gravità.
Di conseguenza s’impone necessariamente una costante attenzione agli elementi oggettivi di formazione del consenso, riguardati nella particolare prospettiva soggettivadel turista, non costituendo parametro sempre affidante il prezzo del servizio turistico richiesto. L’enfasi posta dal codice del turismo sulla motivazione dello spostamento si traduce, così, in uno specifico e costante obbligo del tour operator e dell’agente di viaggio di informarsi ed informare il turista.
Se è vero infatti che il contenzioso sui contratti di viaggio organizzato verte quasi esclusivamente sull’applicazione del regime di responsabilità dell’organizzatore e dell’intermediario, altrettanto incontestabile è la scarsa attenzione che, soprattutto negli anni precedenti, è stata riservata dai giudici al profilo della valutazione dell’inadempimento di quanto esplicitato nel pacchetto. Deve rilevarsi al riguardo, che la fonte di responsabilità dell’organizzatore e dell’intermediario è individuata, dall’art. 43 cod. tur., nel mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico. E, nel puntualizzare la nozione di “inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico” – precisazione assente nella disciplina generale della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni -, l’art. 43 cod. tur. contiene un esplicito riferimento alle “difformità degli standard qualitativi del servizio promessi e pubblicizzati”.
Si tratta di una novità di notevole rilievo che mira a focalizzare la valutazione dell’esatto adempimento della prestazione prevista nel pacchetto, oltre che sulla conformità del servizio turistico offerto a quello pattuito, sull’effettiva osservanza degli standard qualitativi promessi e pubblicizzati, solitamente di notevole incidenza sul prezzo e che il turista non può conoscere se non in seguito alla fruizione del servizio.
- Il danno da vacanza rovinata e il danno non patrimoniale da “inadempimento contrattuale”
Con la stipula del contratto di viaggio, l’organizzatore e l’intermediario dello stesso, assumono contrattualmente, l’obbligo di predisporre, in favore del turista, una serie di servizi. Il turista, pertanto, si aspetta di ottenere dal servizio fornito un risultato conforme alle previsioni contrattuali e alle proprie aspettative.
Qualora ciò non si verifichi, deve essere riconosciuta, in favore del turista medesimo, un’adeguata tutela riparatoria. Tale tutela, in primo luogo, sarà di ordine patrimoniale, direttamente ricollegabile all’inadempimento, e quantificabile nel minor valore della prestazione offerta. Ma quel che caratterizza il contratto di viaggio rispetto ai numerosi altri contratti esistenti nella prassi quotidiana, è l’indubbia presenza, all’interno del suo schema causale, di un interesse del creditore anche di natura non patrimoniale[6]. L’inadempimento dell’operatore turistico, infatti, comporta, per il turista che vede sfumata la propria vacanza, la nascita di un ulteriore pregiudizio, avente natura non patrimoniale e legato al patema d’animo conseguenza dell’inadempimento, il quale insorge in uno dei momenti più spensierati dell’anno.
Tuttavia, mentre la rifusione del pregiudizio patito sotto il profilo patrimoniale non ha creato particolari problemi, maggiori difficoltà ha posto il risarcimento di quello che, tradizionalmente, viene individuato con il termine “danno da vacanza rovinata”. In una prima fase, infatti, il danno da vacanza rovinata era stato considerato come non suscettibile di risarcimento all’interno del nostro ordinamento: era opinione prevalente in giurisprudenza quella per cui dall’inadempimento contrattuale potessero derivare solo pregiudizi di ordine patrimoniale, con la logica conseguenza dell’impossibilità di risarcimento dell’ulteriore danno non patrimoniale, il quale era espressamente circoscritto ai soli casi determinati dalla leggeexart. 2059 c.c..
Si sosteneva, infatti, che la vacanza fosse definibile come bene giuridico suscettibile di valutazione economica e, in quanto tale, bene commerciabile. L’interesse a godere di un periodo di riposo veniva quindi a tutti gli effetti “patrimonializzato”, poiché considerato alla luce della sola prestazione dedotta nel vincolo contrattuale, obbligazione che necessariamente deve essere suscettibile di valutazione economica, anche se corrispondente ad un interesse non patrimoniale del creditore.
Nonostante ciò, e anche grazie ad una sempre più cospicua dottrina di diverso indirizzo, già alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, cominciavano ad avvertirsi i primi segnali di revisione di questa tendenza. Ma è soltanto nel 2002, e nuovamente grazie ad un intervento europeo, che si assiste al primo e vero punto fermo in ordine alla risarcibilità del danno da vacanza rovinata, con la pronuncia della Corte di Giustizia Europea riguardante il c.d. caso Leitner.
La statuizione della Corte veniva sollecitata, in particolare, dal giudice nazionale austriaco, che era stato chiamato, a sua volta, a pronunciarsi sulla richiesta risarcitoria avanzata dai genitori di una minore la quale, nel corso di una vacanza in Turchia, aveva contratto la salmonellosi, attribuibile alle carenze di ordine igienico dell’hotel presso cui la famiglia aveva alloggiato. A seguito di ciò era stato riconosciuto il risarcimento per il solo danno patrimoniale, respingendo invece la richiesta di risarcimento dei danni morali riconducibili alla mancata fruizione della vacanza.
La decisione della Corte di Giustizia che segue a tale rimessione, nell’articolare le proprie argomentazioni, prende le mosse dall’interpretazione della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE;dai relativi “considerando” emerge, infatti, che lo scopo della stessa è quello di eliminare le divergenze accertate tra le normative e le prassi nei diversi Stati membri in materia di viaggi “tutto compreso” e idonee a generare distorsioni di concorrenza tra gli operatori stabiliti nei vari Stati membri. Ne deriva che nel settore in esame, l’esistenza di un obbligo di risarcire i danni morali in alcuni Stati membri e la sua mancanza in altri, porterebbe a distorsioni di concorrenza notevoli, anche in considerazione del frequente verificarsi di danni prevalentemente morali proprio in tale ambito.
Sempre la Corte osserva come lo scopo della direttiva, e, in particolare, dell’art. 5, sia proprio quello di offrire ai consumatori una tutela più ampia possibile, e che, nell’ambito dei viaggi turistici, il risarcimento del danno per il mancato godimento della vacanza ha per i medesimi un’importanza particolare.
Pertanto, conclude la Corte, alla luce di tali considerazioni, la norma invocata deve essere interpretata nel senso che, limitandosi nel comma 2, a rinviare in modo generale alla nozione di danni, e prevedendo, la facoltà per gli Stati membri di ammettere che, per quanto riguarda i danni diversi da quelli corporali, l’indennizzo sia limitato in virtù del contratto, a condizione che tale limitazione non sia irragionevole, la stessa riconosce, sia pur implicitamente, l’esistenza di un diritto al risarcimento dei danni diversi da quelli corporali, tra cui il danno morale.
Configurando, quindi, il pregiudizio da vacanza rovinata come danno non patrimoniale rientrante tra le tutele poste a difesa dei consumatori, la sentenza Leitnerha individuato nella normativa europea il grimaldello idoneo a superare le “colonne d’Ercole” dell’art. 2059 c.c. e a consentire, quindi, la piena legittimità del danno da vacanza rovinata anche all’interno del nostro ordinamento.
Nell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.[7]effettuata dalle Sezioni Unite nella sentenza dell’11 novembre 2008 n.26972, l’individuazione dei diritti di rango costituzionale violati costituisce il presupposto per la risarcibilità del danno non patrimoniale.
La stessa Cassazione ha statuito il principio secondo cui il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, secondo quanto espressamente previsto in attuazione della Dir. n. 90/314/CEE, costituisce uno dei casi previsti dalla legge, nei quali, ai sensi dell’art. 2059 c.c. rientra il danno non patrimoniale. All’esito della lettura costituzionalmente orientata emerge che l’art. 1218 c.c. non può essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l’inadempimento abbia determinato la lesione di diritti inviolabili della persona.
Nella stessa occasione, un più ampio contenuto è stato riconosciuto anche all’art. 1223 c.c. che deve comprendere, tra le perdite e le mancate utilità risarcibili, anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei diritti e conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o del ritardo.
Un ruolo significativo può attribuirsi, altresì, all’art. 1225 c.c. che, giusta il limite della risarcibilità dei soli danni prevedibili, consente anche di tutelare il debitore della prestazione, che, infatti, dovrà farsi carico della lesione dei soli interessi riconducibili a quelli che il contratto mira a tutelare. La circostanza che le ragioni legittimanti il risarcimento del danno non patrimoniale in ambito contrattuale possono trarsi dal sistema della responsabilità per inadempimento, è, d’altronde, confermato anche dal rinvio, operato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, alla materia contrattuale per le regole circa l’onere della prova e la prescrizione.
- L’art. 47 cod. tur.: presupposti e limiti al risarcimento. Analisi della casistica giurisprudenziale
Nel sistema italiano, il danno da vacanza rovinata trova un esplicito riferimento normativo proprio con l’introduzione del codice del turismo: a siffatta tipologia di danno è dedicato, infatti, l’art. 47, che stabilisce alcuni requisiti e presupposti specifici al fine di consentire al turista l’accesso alla tutela risarcitoria.
Condizione essenziale per l’esercizio dell’azione è anzitutto, che l’inadempimento o l’inesatta esecuzione si riferiscano a “prestazioni che formano oggetto di un pacchetto turistico”, ossia bisogna trovarsi all’interno dello schema contrattuale dei c.d. “pacchetti turistici”, disciplinati dall’art. 34 cod. tur.[8]. Affinchè il turista possa beneficiare della tutela, poi, sempre l’art. 47 cod. tur., prevede che l’inadempimento o l’inesatta esecuzione delle prestazioni oggetto del pacchetto turistico non siano di scarsa importanza, richiamando, in proposito, la previsione di cui all’art. 1455 c.c..
Difatti, la Corte di Cassazione[9]ha avuto modo di affermare che “il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, anche nei profili particolarmente pregnanti elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà de pregiudizio patito dall’istante, in quanto è consustanziale al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., quello di tolleranza della lesione minima. Ciò vuol dire che non v’è diritto per cui non operi la regola del bilanciamento, in forza della quale, perché si abbia una lesione ingiustificabile e risarcibile dello stesso, non basta la mera violazione delle disposizioni che lo riconoscono, ma è necessaria una violazione che ne offenda in modo sensibile la portata effettiva”.
L’art. 47 cod. tur., precisa anche che il ristoro del danno deve essere correlato ai requisiti del “tempo di vacanza inutilmente trascorso” ed “all’irripetibilità dell’occasione perduta”. Con il primo parametro, il Legislatore ha evidentemente inteso risarcire, in via astratta, quel periodo di svago e di riposo che il turista avrebbe potuto godere durante i giorni di vacanza. Con riferimento, invece, al secondo criterio, si rileva che tal elemento si connatura di una valenza intrinsecamente soggettiva, in quanto viene dato risalto al motivo individuale per cui il turista decide di viaggiare. Ad esempio, sul viaggio di nozze, la giurisprudenza si è espressa ritenendo che il pregiudizio di tale periodo di vacanza comporti di per sé solo il “superamento della soglia minima di lesione […], in considerazione dell’irripetibilità della vicenda tratta”[10]. Infine, quanto all’onere probatorio richiesto alle parti, la giurisprudenza di legittimità ha fatto coincidere l’allegazione del danno da vacanza rovinata con la sola dimostrazione dell’inadempimento contrattuale da parte dell’organizzatore o dell’intermediario. La Corte di Cassazione, infatti, ha argomentato che “in tema di danno non patrimoniale da vacanza rovinata, inteso come disagio psicofisicoconseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell’inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell’attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero”[11].
L’analisi dei requisiti richiesti dalla legge è essenziale per capire per quale ratioi nostri giudici di merito hanno riconosciuto il risarcimento in alcuni casi, rifiutandolo invece in altri. All’alveo delle prime ipotesi può ricondursi un caso verificatosi in occasione dei tragici eventi dell’11 settembre 2001; la giurisprudenza, in quella occasione, ha avuto modo di giustificare il rifiuto alla partenza di una coppia di viaggiatori (in specifico per un viaggio di nozze), condannando l’organizzatore al rimborso integrale di quanto versato: “stante l’eccezionalità dell’evento – attentato alle Torri Gemelle– deriva che lo stesso non potesse essere né preveduto né prevedibile, come del resto non possa essere né preveduto né prevedibile, ma sicuramente concepibile, il fatto che la giovane coppia di sposi, non se la sia sentita, e ciò umanamente parlando, di rischiare la propria vita imbarcandosi su un aereo che avrebbe potuto essere dirottato da un qualsiasi pazzoide affiliato ed emulo dei terroristi afghani”. Pertanto si conclude che “la fattispecie in esame configura senz’altro quanto previsto dall’art. 1463 c.c. del vigente codice civile, che prevede la liberazione della parte, per sopravvenuta impossibilità della prestazione – fruizione del viaggio – con conseguente obbligo, da parte di chi abbia già incassato il prezzo della controprestazione di restituirlo secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”[12].La giurisprudenza in altri casi, come si diceva, ha invece rigettato la domanda di risarcimento in quanto, nella valutazione dei disagi, ha tenuto conto di elementi quali la complessità del viaggio e la destinazione scelta.
Ciò è accaduto, ad esempio, in una sentenza del Tribunale di Roma[13], in cui è stato negato ad una coppia di turisti, l’ulteriore danno da vacanza rovinata sulla base del presupposto che, rispetto alle caratteristiche dei luoghi, si sarebbe potuto prevedere il verificarsi di disservizi: “il Giudice osserva che il Paese oggetto del viaggio è il Tibet il quale, notoriamente, non può essere assolutamente ricompreso tra quelli ad alto sviluppo tecnologico, logistico e con una forte propensione al turismo. (Omissis) affrontare un viaggio in Tibet non è come affrontarlo in un contesto ben collaudato, bensì, come già dichiarato, in una realtà del tutto diversa. In altri termini i turisti ben potevano immaginare che il loro viaggio – sebbene supportato da un regolare contratto di viaggio “tutto compreso” – non sarebbe stato privo di qualche dissonanza rispetto al pattuito; che alcuni disservizi si sarebbero potuti verificare”.
A seguito di questa seppur breve analisi delle due pronunce in esame, emerge, quindi, come una corretta valutazione del c.d. an debeatur, sia di fondamentale importanza nella risoluzione delle questioni connesse al danno da vacanza rovinata, in cui, chiaramente, non può darsi rilevanza a mere doglianze di ordine personale non inquadrabili nell’ambito delle inadempienze contrattuali, le quali sono pertanto non risarcibili.
In materia di risarcibilità del danno da vacanza rovinata, un cenno deve farsi anche in riferimento all’azione di classe. Lo sviluppo di una contrattazione di massa, in special modo in questo ambito, indurrebbe a ritenere che vi sia un cospicuo ricorso a questo strumento. In realtà, così non è stato: la prima pronuncia di merito che ha accertato la legittimità e, soprattutto, che ha accolto, se pur parzialmente, la richiesta di risarcimento danni presentata nelle forme di un’azione di classe, si è avuta a distanza di più di tre anni dall’introduzione dell’art. 140 biscod. cons. nel nostro ordinamento.
La controversia trae origine dall’acquisto, da parte del Signor. M.M., di un pacchetto turistico c.d. “tutto compreso” avente ad oggetto il soggiorno per due persone presso un lussuoso albergo a Zanzibar.
Tuttavia, la vacanza progettata non va come previsto, poiché l’hotelin questione era in fase di ristrutturazione e, pertanto, non risultava agibile: tale circostanza comportò il trasferimento per i primi tre giorni in altra struttura di livello qualitativo inferiore e priva di molti servizi previsti dal pacchetto turistico. Al rientro dalla “vacanza”, il sig. Ma., titolare di un “diritto individuale omogeneo” come previsto dalla normativa, conferiva mandato di rappresentanza volontaria ad una delle associazioni a tutela dei consumatori, la quale intraprendeva un giudizio di classe ai sensi dell’art. 140-bisc. consumo.
La società convenuta si costituiva in giudizio ed articolava, sostanzialmente, la propria difesa eccependo l’inammissibilità dell’azione di classe per carenza di identità di diritti e chiedendo l’autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia assicuratrice e della società titolare della struttura alberghiera. Il Tribunale di Napoli, con decreto 31 maggio 2010, concedeva tale possibilità al tour operator, differendo, di ben undici mesi, la data dell’udienza, per poter chiamare i terzi in questione.
Questa decisione ha suscitato, fin da subito, molto interesse in dottrina poiché affrontava, rispondendo positivamente, un quesito, di chiaro stampo processualistico: ovvero se, nel silenzio del legislatore, fosse possibile nei giudizi di classe chiamare in causa dei terzi.
Nonostante il tour operatori osse stato autorizzato a chiamare in causa la compagnia assicuratrice e la società proprietaria del villaggio vacanze a Zanzibar, egli non vi ha provveduto nel pur ampio termine concesso.
In seguito, il Tribunale, prima si è espresso a favore della ammissibilità della azione di classe relativamente ai profili di cui alla lett. a) dell’art. 140 bisc. consumo e poi, con la sentenza che si sta esaminando, ha accolto la domanda attorea e quella di alcuni interventori e ha accordato loro un risarcimento deciso in via equitativa.
I giudici partenopei, tuttavia, e ciò rappresenta il vero punto dolente di questa pronuncia, hanno rigettato la domanda di altri turisti interventori per difetto del requisito d’identità dei diritti fatti valere.
Infatti, è stata operata una differenziazione all’interno dei consumatori-turisti tra coloro che sono stati trasferiti dopo pochi giorni in una struttura alberghiera inferiore e coloro che sono stati trasferiti in un diverso hotel,sebbene anch’esso qualitativamente inferiore rispetto a quanto previsto dal pacchetto: il soddisfacimento del requisito dell’identità dei diritti e poi successivamente il riconoscimento di un risarcimento per la vacanza rovinata, spetta, a parere del Tribunale, solo ai primi turisti – interventori.
Ad una lettura più attenta, tuttavia, questa discriminazione appare del tutto irragionevole visto che sembra davvero difficile che per una circostanza così poco rilevante (ovvero il semplice trasferimento in una diversa struttura rispetto a quella in cui hanno soggiornato gli attori), sia venuta meno l’identità dei diritti per gli altri interventori.
La sentenza in oggetto, infatti, afferma espressamente che i secondi turisti-interventori, i quali erano gravati dell’onere della prova, non abbiano dimostrato le difformità di servizi e prestazioni della struttura alberghiera in cui erano stati trasferiti. Tale circostanza induce, quindi, a ritenere che se fossero state esibite prove che attestavano il livello qualitativo inferiore dell’hotel in cui i turisti hanno soggiornato, probabilmente i giudici avrebbero riconosciuto anche a loro il soddisfacimento del requisito dell’identità dei diritti, equiparando le loro posizioni a quelle dei primi turisti-interventori.
- La dir. 2015/2302/UE e le ragioni di un nuovo provvedimento normativo in materia di contratti di viaggio; il difetto di conformità e la responsabilità dell’organizzatore e del venditore
Le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 62 del 2018 all’Allegato al d.lgs. n. 79 del 2011, c.d. Codice del turismo, e segnatamente al Capo I del Titolo VI che disciplina i “contratti del turismo organizzato” non sono cosa di poco conto; il legislatore ha riformato il vecchio testo non ricorrendo semplicemente ad abrogazioni di singole disposizioni o alla novellazione di alcune norme o ancora alla interpolazione di nuovi articoli di legge; è ricorso invece, forse opportunamente, considerato il volume delle modifiche, alla sostituzione di un intero capo.
Prima di affrontare le modifiche introdotte da questa chirurgia legislativa, è necessario comprendere il cuore della ratioche ha ispirato il legislatore comunitario e quello nazionale all’emanazione della dir. 2015/2032/UEe del decreto legislativo di attuazione n.62 del 2018. Le ragioni del nuovo intervento legislativo in materia sono distintamente delineate nei “considerando” della direttiva.
Innanzitutto, si evidenzia la sempre più marcata esigenza di adeguare la disciplina normativa dei contratti di viaggio ai numerosi e profondi mutamenti che hanno interessato il mercato europeo dei servizi turistici, tra cui si segnala, in particolare, il sempre più diffuso ricorso ad internet come strumento privilegiato per l’offerta e la distribuzione di servizi di viaggio combinati, e che consente di soddisfare anche l’esigenza di creare pacchetti personalizzati[14].
L’intervento del legislatore europeo in materia è stato peraltro preordinato a realizzare un livello di armonizzazione massima delle legislazioni nazionali dei singoli Paesi membri: l’art. 4 dir. 2015/230/UE, infatti, stabilisce espressamente che, “salvo che la presente direttiva disponga altrimenti, gli Stati membri non mantengono o introducono nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla presente direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al viaggiatore un livello di tutela diverso”. Come efficacemente descritto nei considerando, l’ampia discrezionalità lasciata dalla dir. 1990/314/UE aveva determinato profonde divergenze tra legislazioni nazionali: la conseguente frammentazione giuridica aveva pertanto impedito di sfruttare pienamente la dimensione transfrontaliera del mercato dei servizi di viaggio, e l’armonizzazione completa è apparsa come un percorso obbligato per consentire ai soggetti coinvolti di beneficiare appieno del mercato interno e assicurare ai viaggiatori un livello elevato e il più uniforme possibile di protezione, secondo quanto chiaramente descritto nell’art. 1 dir. 2015/2302/UE[15].
Dal punto di vista oggettivo, la dir. 2015/2302/UE prevede importanti novità volte ad ampliarne in misura rilevante l’ambito applicativo, essendo destinata ad operare non solo quando i servizi combinati ai fini di un unico viaggio siano contemplati in un unico contratto, ma anche nelle ipotesi in cui siano oggetto di contratti distinti, purchè combinati in un pacchetto finalizzato a realizzare un unico viaggio (art. 3, n. 2).
Con la dir. 2015/2302/UE il legislatore europeo si è altresì proposto di ampliare i confini soggettivi di applicazione della normativa, prevedendone l’operatività per tutti i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi di viaggio combinati in un pacchetto, conclusi da un professionistacon un viaggiatore. L’applicazione della direttiva prescinde, quindi, dalla natura del soggetto che stipula il contratto con il professionista: può trattarsi di persona fisica, persona giuridica o di ente non personificato, né assume rilievo lo scopo per il quale il contratto è stato stipulato, potendo essere, indifferentemente, inerente od estraneo ad un’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Proprio l’estensione, nei termini sopra descritti, della sfera soggettiva di applicazione della dir. 2015/2302/UE ha indotto il legislatore europeo a non utilizzare il termine consumatore – impiegato, nella legislazione europea, con un’accezione ben specifica sebbene discussa-, bensì quello, più neutro, di viaggiatore, al fine di evitare confusione e sovrapposizioni.
Procedendo ora ad un’analisi più specifica, può dirsi che nella novellata disciplina del contratto di viaggio, un ruolo centrale è indubbiamente da attribuire al complesso di norme che regolamentano la responsabilità dei professionisti per difetti di conformità rilevanti durante il viaggio.
Il novellato art. 33, lett. p, c. tur., nel limitarsi a riprodurre testualmente il corrispondente art. 3, n. 13, dir. 2015/2302/UE – definendo pertanto il difetto di conformità come inadempimento dei servizi turistici inclusi in un pacchetto – ha in parte vanificato gli sforzi compiuti in dottrina e giurisprudenza per attribuire il giusto rilievo alle qualità del servizio turistico, quale parametro per valutare l’esatto adempimento delle obbligazioni nascenti da un contratto di viaggio.
Benchè il legislatore italiano abbia ritenuto di riprodurre testualmente le norme della direttiva, eliminando qualsiasi riferimento agli standard qualitativi dei servizi oggetto del contratto di viaggio, si ritiene che tali difformità siano comunque riconducibili alla nuova nozione di difetto di conformità, legittimando il ricorso agli strumenti di tutela contemplati dal provvedimento.
La nuova nozione di difetto di conformità va inoltre coordinata con l’ulteriore disposizione che disciplina la fase precontrattuale e la stipulazione del contratto di viaggio; più precisamente l’attenzione si sposta sul riformato art. 35 cod. tur., che, dando attuazione all’art. 6 dir. 2012/2305/UE, prescrive l’inserimento automatico di quasi tutte le informazioni precontrattuali nel regolamento negoziale.
Sul piano della responsabilità del professionista per la mancata o inesatta esecuzione dei servizi previsti dal contratto di viaggio, con l’attuazione della dir. 2015/2302/UE è stata opportunamente eliminata l’espressione legislativa – introdotta con l’art. 14 d. lgs. n. 111/95, reiterata nell’art. 93 cod. cons. e non modificata neppure con la riforma del 2011 – secondo cui “l’organizzatore e l’intermediario sono tenuti al risarcimento del danno secondo le rispettive responsabilità”.
L’interpretazione del dato normativo, dal tenore decisamente sibillino, aveva pertanto alimentato un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in esito al quale erano state elaborate una pluralità di soluzioni esegetiche sostanzialmente riconducibili, pur nella varietà delle formulazioni proposte, a due impostazioni principali.
Un primo orientamento – minoritario – si pronunciava a favore del regime di solidarietà passiva, ponendo l’accento sulla primaria finalità di consumer protection della normativa, nonchè sul ruolo di co-organizzatore riconosciuto all’intermediario, individuando così indistintamente nel tour operatore nella travel agency i legittimati passivi, entrambi responsabili. Ampi consensi aveva invece riscontrato, sia in letteratura che in giurisprudenza, la tesi secondo cui la disposizione avrebbe introdotto un regime di responsabilità alternativa correlata alla mancata esecuzione delle obbligazioni rispettivamente assunte dai professionisti coinvolti.
Diversamente dall’art. 5 dir. 1990/314/CEE[16]- con cui si attribuiva agli Stati membri la scelta in merito al regime di responsabilità da adottare nell’ordinamento interno – la dir. 2015/230/UE ha dettato alcune prescrizioni vincolanti per i legislatori, al chiaro fine di superare la frammentazione giuridica provocata dall’ampia discrezionalità concessa, ed evidentemente correlata con il livello di armonizzazione minimo perseguito con il provvedimento del 1990.
In particolare, si impone agli Stati membri di prevedere senz’altro la responsabilità dell’organizzatore per l’esecuzione dei servizi turistici, attribuendo ai diritti nazionali la possibilità di individuare ipotesi in cui sia responsabile anche il venditore.
La formulazione letterale dell’art. 13, par. 1, comma 2°, dir. 2015/2302/UE – in particolare l’utilizzo dell’avverbio “altresì” – e del 23° considerandonon lasciano spazio per una diversa soluzione interpretativa. Di tale facoltà si è avvalso il legislatore italiano, prevedendo che della corretta esecuzione dell’intero pacchetto risponda, di regola, solo l’organizzatore, come indicato nell’art. 42 cod. tur., riservando invece al venditore la responsabilità per la mancata o inesatta esecuzione del mandato conferitogli dal viaggiatore; tale responsabilità trova ora autonoma e distinta regolamentazione negli artt. 50-51quater cod. tur., inseriti in una specifica Sezione[17]. Il successivo art. 51 bis cod. tur. impone al venditore l’obbligo di indicare il suo ruolo di intermediario; in caso di omissione sarà considerato al pari dell’organizzatore.
Un’interpretazione coerente con i principi enunciati nella dir. 2015/2302/UE ci consente di ravvisare in tale disposizione un’ipotesi normativamente prevista in cui ancheil venditore è responsabile della corretta esecuzione dei servizi turistici: responsabilità che si affianca, senza escluderla, a quella del tour operator, per cui il viaggiatore insoddisfatto sarà legittimato ad agire indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro professionista, secondo le regole del regime di solidarietà passiva.
Ebbene, alla luce delle osservazioni testè svolte, può constatarsi che il legislatore italiano, prendendo posizione sull’opzione lasciata aperta dal legislatore europeo, ha recepito e tradotto in criteri legali di ripartizione della responsabilità una pluralità di regole di derivazione dottrinale e giurisprudenziale, elaborate proprio al fine di superare le ambiguità alimentate da un dato normativo decisamente poco chiaro. Sono state quindi individuate due distinte aree di responsabilità, corrispondenti agli obblighi che i professionisti coinvolti assumono, sulla base di distinti contratti, nei confronti del viaggiatore; inoltre, nei ristretti limiti imposti dal legislatore europeo, sono state descritte le ipotesi – eccezionali – in cui anche il venditore risponde della mancata o inesatta esecuzione dei servizi turistici, secondo le regole proprie del regime di solidarietà passiva.
Una soluzione che appare in linea con la duplice esigenza, più volte evidenziata a livello europeo, di garantire un’equilibrata distribuzione dei rischi tra i professionisti coinvolti ed un elevato livello di tutela per i viaggiatori[18].
[1]Si noti sul punto che, nell’ambito dei Paesi facenti parte della Comunità Europea, solo il Belgio, il Portogallo e l’Italia hanno firmato tale Convenzione; fra gli altri firmatari invece troviamo San Marino, Stato Città del Vaticano, Marocco, Libano, Nigeria, Filippine, Costa d’Avorio, Taiwan, Togo, Alto Volta.
[2]Ci si riferisce al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Tale decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri in esecuzione della delega conferita dall’art. 7 della l. 29 luglio 2003, n. 229, come modificata dalla l. 27 luglio 2004, n. 186. Ai sensi dell’art. 7 il potere legislativo del governo era diretto al “riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori”.
[3]Corte di Giustizia UE, sentenza n. 140, 15 giugno 1999.
[4]Tale obiettivo è stato in parte ridimensionato a seguito della sentenza n. 80/2012 con cui la Corte Costituzionale, a meno di un anno dall’entrata in vigore del codice, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale non solo dell’articolo 1, comma 1, nella parte in cui dispone l’approvazione dell’art. 1, limitatamente alle parole “necessarie all’esercizio unitario delle funzioni amministrative” e “ed altre norme in materia”, ma anche di altri diciotto articoli dell’allegato 1 – artt. 2, 3, 8, 9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e 2, 30, comma 1, 68 e 69 – per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in relazione all’art. 117, quarto comma e/o art. 118, primo comma Cost.
[6]A tal proposito, la sentenza della Cass. civ., sentenza n.16325, 27 luglio 2017, ha inteso le specifiche esigenze di svago e relax connesse alla vacanza- la c.d. finalità turistica – come interessi tanto rilevanti per le parti, all’interno del programma contrattuale, da incidere sulla causa concreta del contratto. Nello specifico ha utilizzato l’espressione “impossibilità in concreto di utilizzazione della prestazione dovuta” per sostenere la sopravvenuta irrealizzabilità della causa concreta in un contratto di turismo organizzato e decidere in senso favorevole ai turisti che avevano acquistato un pacchetto “tutto compreso” per un viaggio a Cuba in un periodo in cui l’isola risultava colpita da un’epidemia di dendue emorragico.
[7]Si tratta della famosa sentenza in tema di danno non patrimoniale esistenziale in cui la Corte afferma che “il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso e quello in cui, pur non essendo previsto da una norma ad hoc,deve ammettersisulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla legge”.
[8]Tale articolo stabilisce che “i pacchetti turistici hanno ad oggetto i viaggi, le vacanze, i circuiti tutto compreso, le crociere turistiche, risultanti dalla combinazione, da chiunque ed in qualunque modo realizzata, di almeno due degli elementi di seguito indicati, venduti od offerti in vendita ad un prezzo forfetario:
- a) trasporto; b) alloggio; c) servizi turistici non accessori al trasporto o all’alloggio di cui all’art. 36, che costituiscano, per la soddisfazione delle esigenze ricreative del turista, parte significativa del pacchetto turistico.
[9]Cass. Civ., sentenza n.14662, 14 luglio 2015. Nel caso di specie il turista si lamentava di un ritardo nel trasporto di sei ore rispetto all’orario di arrivo previsto.
[10]Cass. Civ., sentenza n. 7256, 11 maggio 2012.
[11]Cass. Civ., sentenza n. 7256, 11 maggio 2012.
[12]Trib. Milano, 19 aprile 2002.
[13]Trib. Roma, 24 aprile 2002.
[14]Si v. il 1° considerando, in cui si pone l’accento sul ruolo preponderante che il settore del turismo svolge nel mercato dell’Unione europea.
[15]Si v. anche il 6° considerando.
[16]Il cui par. 1, con formula alquanto ambigua, così disponeva: “gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire che l’organizzatore e/o il venditore parte del contratto siano responsabili nei confronti del consumatore della buona esecuzione degli obblighi risultanti dal contratto (…)”.
[17]Precisamente la Sezione IV – Responsabilità del venditore.
[18]Si v. la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 62/18, p. 13, in cui si legge che “si è preferito non accogliere la possibilità, prevista come opzionale dalla direttiva, di estendere tout court anche al venditore il regime di responsabilità previsto per l’organizzatore, preferendo invece individuare ipotesi specifiche di estensione di tale responsabilità, ritenendo comunque il viaggiatore ampiamente garantito dalla disciplina proposta”.
Laureata in Giurisprudenza e specializzata in Professioni Legali con il massimo dei voti.