Il diritto all’oblio alla luce del recente Regolamento 2016/679
La società dell’informazione pone le sue basi nell’evoluzione tecnologica ed è stata considerata una vera e propria rivoluzione che ha riguardato l’individuo e la collettività comportando un radicale cambio di rotta nel modo di interagire della società. Le innovazioni tecnologiche, come i potenti strumenti di raccolta delle informazioni e dei dati, intervenute in questi ultimi anni sono legate alla memorizzazione che i nuovi strumenti tecnologici hanno e questo fa sì che in alcuni casi sia sempre più difficile dimenticare ed essere dimenticati e, più in generale, eliminare qualcosa dal web. Questa è solo una breve premessa prima di iniziare ad affrontare il discorso riguardante il diritto all’oblio.
1. Il diritto all’oblio e la sua origine
Il diritto all’oblio deriva dalle parole francesi di “droit à l’oubli” ed è entrato nel novero dei diritti giuridicamente tutelabili attraverso le sentenze delle Corti, mancando una espressa disciplina normativa a riguardo. Già, nel 1950, con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo veniva stabilito, all’articolo 8, il diritto al rispetto della vita privata e familiare.[1] Originariamente il diritto all’oblio era parte di una “categoria” che ricomprendeva il diritto alla riservatezza, il diritto alla dignità personale e il diritto all’identità personale. Tuttavia tra diritto alla riservatezza e diritto all’identità personale emerge un diritto che presenta caratteristiche di entrambi i diritti su menzionati, ma che viene percepito come diritto autonomo. Si sta parlando del diritto all’oblio che riguarda informazioni delle quali l’individuo potrebbe già aver perso il controllo. Un diritto inteso come “diritto alla privacy storica, che permetterebbe all’individuo di mantenere il controllo di informazioni un tempo diffuse ma ormai dimenticate”.[2]
Il diritto all’oblio è la manifestazione del diritto alla riservatezza, e precisamente, è il diritto di un soggetto “a non rimanere indeterminatamente esposto ad una rappresentazione non più attuale della propria persona derivante dalla reiterata pubblicazione di un notizia con pregiudizio alla propria reputazione e riservatezza”.[3] Si tratta del diritto del singolo a tutelare la propria immagine affinché essa non venga travisata e alterata a causa della diffusione di informazioni e notizie che non rispecchiano più la personalità dell’individuo nella società.[4] Quindi, possiamo dire che il fine di tale diritto è cercare di “riappropriarsi della propria storia personale, di recuperare il dominio sui fatti personali dopo che questi sono stati legittimamente divulgati. Sostanzialmente una reintegrazione del potere di disporne, dopo la perdita determinata dalla pubblicazione delle notizie personali”.[5] Si tratta di un diritto a non vedere riprodotte informazioni che riguardano aspetti della vita privata che, pur legittimamente pubblicate, in un determinato periodo storico, non sono più attuali o di interesse pubblico in seguito allo scorrere di un determinato arco temporale.[6]
2. Le diverse definizioni di diritto all’oblio
Quando si parla di “oblio” dobbiamo, innanzitutto, prendere contezza che vi sono almeno tre significati differenti:
- Il primo è stato elaborato dalla dottrina civilistica e dalla giurisprudenza anni pria che Internet diventasse parte della nostra vita quotidiana. Si è quindi fatto riferimento “al diritto di un soggetto di non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate, rispetto all’accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo”.[7]Così inteso è riferito a vicende oggetto di cronaca la cui pubblicazione è stata ritenuta lecita. Dunque, il diritto all’oblio rientra nell’ambito del diritto alla riservatezza.[8]
- Con l’avvento di Internet, il concetto e il significato di “oblio” sono cambiati e si sono evoluti. In rete un’informazione resta per un tempo illimitato, essa può essere condivisa da migliaia di persone rendendo, di fatto, impossibile una sua cancellazione. Oggi è fondamentale comprendere la portata di un’informazione, ma soprattutto fare in modo che l’identità del soggetto non venga falsata e snaturata.[9] È dunque possibile contestualizzare l’informazione, ed è quello che ha sostenuto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5525 e, quindi, parliamo di un vero e proprio diritto a contestualizzare un’informazione
- Infine, un terzo significato, relativo al diritto all’oblio, è quello richiamato nella direttiva 95/46/CE in riferimento al diritto alla cancellazione al blocco? Dei dati come previsto dal D.Lgs. 196/2003 all’articolo 7 comma 3 lett. b).[10]
Il diritto all’oblio può essere definito come quel diritto al “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”.[11] Un diritto che un individuo ha di vedere cancellati dati personali ritenuti non più attuali, ma che essendo in rete possono “prevalere sull’identità reale”.[12] Il termine “cancellazione” compare per la prima volta nel 1981 nella Convenzione n. 108 all’articolo 8, per poi trovare riconoscimento nella direttiva 95/46/CE che contemplava l’articolo 2 lett. b) ove veniva fornita la definizione di “dato personale” e nel Codice Privacy del 2003. Solo nel 2016 con il Regolamento n.679 è stato introdotto l’articolo 17 che descrive il diritto all’oblio “come la pretesa dell’interessato di ottenere la rimozione di informazioni personali che lo riguardano dalla pubblica circolazione, ove il loro rilievo in termini di pubblico interesse si sia ridotto […] in tale misura da risultare soccombente nel bilanciamento rispetto al diritto alla protezione dei dati personali riconosciuta all’interessato e/o del diritto alla reputazione”.[13]
3. Il diritto all’oblio nell’ordinamento italiano e l’intervento della Corte di Cassazione
Il nostro Paese non aveva introdotto alcuna “previsione per disciplinare il diritto all’oblio, che ha pertanto matrice giurisprudenziale, dovendosi in maggior parte alle decisioni delle corti e, soprattutto, dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali”.[14] Restando sempre in ambito nazionale la nostra Costituzione non contempla un espresso riferimento al diritto all’oblio. Tuttavia, possono essere individuate disposizioni legislative che lo richiamano facendo riferimento al diritto ad avere una protezione da informazioni del passato che possono danneggiare l’identità di u soggetto nel presente e soprattutto nel futuro.
Negli anni Novanta questo diritto non era ancora stato completamente delineato perché la giurisprudenza, attraverso le sentenze delle Corti, stava apportando dei cambiamenti alla concezione di diritto all’oblio. L’obiettivo che la dottrina si poneva era giungere al riconoscimento dell’autonomia di tale diritto. Oggi la tutela del diritto all’oblio rappresenta un aspetto centrale del diritto di internet e delle nuove tecnologie, ma allo stesso tempo emerge tutta la difficoltà e la complessità nel riuscire a garantire il rispetto di tale diritto, in seguito, ad esempio, alla digitalizzazione degli archivi dei giornali.
Frequentemente, capita che notizie che erano state dimenticate vengano, nuovamente diffuse e rese note in seguito all’attività dei motori di ricerca, ma questa “innovazione” fa sì che, a volte, le notizie siano incomplete o non corrette perché la vicenda che era stata riportata ha avuto ulteriori sviluppi o una conclusione diversa e ne sono un esempio i fati giudiziari che riportano accuse o contestazioni che risultano poi infondate, ma che della loro infondatezza non viene riportata la notizia per cui essa non risulta dai motori di ricerca.[15]
La Corte di Cassazione è stata la prima a considerare il diritto all’oblio come un diritto meritevole di protezione e quindi di espresso riconoscimento. La motivazione è nello sviluppo sempre più evidente delle nuove tecnologie. Già a partire dal 1998 i giudici di Cassazione, quattordici anni prima della sentenza del 2012, nel 1998 con la sentenza n. 3679 aveva delineato questo diritto definendolo come “il giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta a danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”.
È in riferimento a tale sentenza che si è giunti a chiarire il concetto di oblio dal punto di vista della definizione e delle sue caratteristiche. I giudici di Cassazione hanno inserito, nel perimetro della privacy, il concetto di oblio perché lo hanno considerato “un nuovo profilo della riservatezza e lo definiscono come il giusto interesse di ogni individuo a non restare indeterminatamente esposto ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia legittimamente divulgata in passato”. Successivamente la Suprema Corte si è pronunciata emettendo la sentenza n. 5525 del 5 aprile 2012[16], che aveva ad oggetto la pubblicazione da parte di alcuni quotidiani della notizia relativa ad un imputato, che era anche personaggio politico, per reati di corruzione. Egli, poi, è stato assolto, ma la notizia dell’imputazione è rimasta negli archivi del giornale senza essere rettificata con la notizia dell’assoluzione. Ed è questa la motivazione che ha portato il soggetto interessato a presentare ricorso per ottenere il riconoscimento del diritto all’oblio.
Quindi la Suprema Corte statuendo a riguardo ha preso in considerazione la disciplina del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in particolar modo l’articolo 11 rubricato “modalità del trattamento e requisiti dei dati”.[17] Inizialmente sia il Garante per la protezione dei dati personali che il Tribunale di Milano hanno respinto l’istanza che era stata presentata perché entrambi hanno ritenuto che la notizia non potesse essere soggetta ad oblio e quindi “dimenticata”, ma la Cassazione ha, poi, seguito un percorso opposto giungendo, con questa sentenza, a riconoscere tale diritto.
Sono vicende come queste che invitano a riflettere sula portata di determinati fenomeni, che potremmo definire “sociali”. Il numero degli utenti che utilizzano il web e i social network, come ben sappiamo, è in costante crescita e quindi, di conseguenza, aumenta anche il numero di dati e informazioni che vengono lasciate in rete, coscientemente o meno, ed è chiaro che le esigenze di tutela diventano, giorno dopo giorno sempre più necessarie e articolate.[18] Ancora oggi, la questione alla quale si cerca di dare una risposta è come un social network debba essere qualificato, se “deve essere considerato come un luogo di diffusione delle notizie nell’ambito della manifestazione del pensiero e della stampa, o se invece debba considerarsi come una comunità all’interno della quale la circolazione delle notizie e delle informazioni postate e scambiate attiene alla categoria della comunicazione interpersonale”.[19]
È senza dubbio una questione complessa che coinvolge, in primis, i gestori dei motori di ricerca e quelli dei social network che possono essere sia responsabili del tutto per quanto viene pubblicato sulle loro piattaforme online, sia essere esonerati da responsabilità. Da una parte i social network rappresentano una forma di libertà di manifestazione del pensiero con la possibilità di chiedere la cancellazione di notizie e informazioni una volta ritirato il consenso al trattamento dei propri dati. I giudici delle Corti hanno pronunciato sentenze che hanno assunto, anche sul piano dottrinale, una rilevanza e un peso di non poco conto, sentenze che sono state emesse su ricorsi di cittadini che erano stati “protagonisti di avvenimenti di cronaca, già di pubblico dominio, che, a distanza di tempo, vedendo riproposta attraverso i mezzi di comunicazione di elevata efficacia diffusiva la propria storia passata si sono rivolti ai giudici per chiedere la tutela alla loro esigenza di oblio, adducendo la stretta inerenza delle vicende rappresentate dalla sfera più intima della loro storia personale, indebitamente esposta alla pubblica notorietà”.[20]
4. L’evoluzione legislativa del diritto all’oblio
Prima dell’entrata in vigore del Regolamento del 2016, il nostro Codice Privacy del 2003 riconosceva all’interessato il diritto di ottenere l’aggiornamento, la rettifica, l’integrazione dei dati, ma anche la cancellazione o la loro trasformazione in forma anonima, quindi non più riconducibili ad un soggetto determinato, ma consentiva anche il blocco del trattamento dei dati qualora questi non fossero stati trattati nel rispetto delle disposizioni in vigore. L’interessato, in questi casi, ha la possibilità di esercitare un suo diritto, quello di opporsi al trattamento dei dati a lui riconducibili “ancorché pertinenti allo scopo della raccolta”.[21]
Una volta che il dato viene cancellato, questo non potrà più essere oggetto di trattamento da parte del titolare, e non potrà più essere conservato.[22] Venendo ai tempi più recenti, il nuovo Regolamento europeo per la protezione dei dati personali, di seguito anche GDPR, ha introdotto all’articolo 17 il diritto alla cancellazione dei dati rubricato proprio “diritto alla cancellazione (diritto all’oblio). Emerge qui una delle differenze con la direttiva 95/46/CE che non prevedeva un apposito articolo, ma il tema della cancellazione veniva menzionata all’articolo 2 lett. b) dove veniva fornita una definizione di “dato personale” per poi essere ripresa all’articolo 12 ove era regolamentato il diritto di accesso e con il D. Lgs. 196/2003 venendo garantito il diritto ad ogni persona interessata ad ottenere dal responsabile del trattamento la rettifica o la cancellazione come era stato previsto all’articolo 7 comma 3 lett. b).
Oggi, in base all’articolo 17 GDPR, per poter richiedere la cancellazione dei dati è necessario che ricorrano determinati elementi:
- “i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
- l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conforme all’articolo 6 paragrafo 1 lett. a) o all’articolo 9 paragrafo 2 lett. a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
- l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21 paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21 paragrafo 2;
- i dati personali sono stati trattati illecitamente;
- i dati personali devono essere cancellati per adempiere ad un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;
- I dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione dicui all’articolo 8 paragrafo 1.”[23]
Tuttavia l’articolo in questione, al paragrafo 2, dispone che il titolare del trattamento, qualora avesse reso pubblici dati personali, è tenuto, innanzitutto, a procedere alla loro cancellazione ed è obbligato ad informare quei “titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali”.[24] Dal Regolamento del 2016 emerge così la disciplina del diritto alla cancellazione dei dati che va a completare il diritto di rettifica e di integrazione previsti dal precedente articolo 16[25] e già contemplati dalle discipline antecedenti tra cui la direttiva del 1995 e il Codice Privacy del 2003. Chiarendo ulteriormente questo concetto, dopo aver visto il disposto dell’articolo ad esso riferito, il diritto all’oblio consiste nella cancellazione dei dati riferiti o riferibili ad un soggetto identificato o identificabile, ma può consistere anche nel loro blocco.[26]
Tuttavia il paragrafo 3 dell’articolo che si sta analizzando prevede delle limitazioni, cioè statuisce i casi in cui quanto previsto dai precedenti paragrafi 1-2 non si applica e specificamente “per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, o per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica […], a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici […]”. Una volta che i dati sono stati cancellati in seguito alla richiesta dell’interessato, il titolare del trattamento che aveva reso noti i dati dovrà procedere all’adozione di misure che consentano di far conoscere, a coloro che stanno trattando i dati del soggetto interessato, la volontà di quest’ultimo di procedere alla cancellazione di elementi riconducibili alla sua persona.[27]
Giungendo alla conclusione di questo discorso possiamo asserire che dalla giurisprudenza della Suprema Corte, in particolar modo, con la sentenza del 2012 fino ad arrivare alla sentenza del 2016 della Corte di Giustizia di cui ho parlato in un mio precedente contributo[28] si può desumere come il rapporto tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca e quindi, di conseguenza, il diritto ad informare sia ancora un campo da esplorare nel quale contano gli equilibri tra le statuizioni delle Corti e gli interventi del legislatore, su tutti il GDPR, per evitare di interpretare in maniera “errata” o superficiale un tema delicato come quello del diritto all’oblio che invece richiede un approfondimento notevole vista la delicata funzione cui questo diritto è chiamato a ricoprire nel nostro mondo, digitale e informatico, e il cui ruolo sarà sempre più centrale e rilevante nel prossimo futuro.
[1] M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009.
[2] Ibidem
[3] F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto di limitazione del trattamento e diritto all’oblio, in V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto, I dati personali nel diritto europeo, Giappichelli, 2019.
[4] “non vedere distorta la propria immagine attuale a causa di una nuova diffusione di informazioni relative a vicende o affermazioni che in passano l’hanno visto protagonista, ma che non corrispondono più a quella che è l’attuale proiezione della propria identità all’interno della società” D. Messina, Il diritto all’oblio tra vecchie e nuove forme di comunicazione, in Diritto Mercato Tecnologia, 2/2016.
[5] C. Chiola, Appunti sul c.d. diritto all’oblio e la tutela dei dati personali in Percorsi Costituzionali-Quadrimestrale di diritti e libertà, Fondazione Magna Carta, 1/2010 [6] “il diritto dell’interessato a non vedere più riprodotte e, dunque, non più reintrodotte nel circuito dell’informazione notizie riguardanti vicende personali che, per quanto legittimamente pubblicate in un determinato momento storico, risultano a seguito del trascorrere del tempo o per altre ragioni non più di interesse pubblico o non più rappresentative della sua identità personale”, in Commento all’articolo 17 GDPR, a cura di G.M. Riccio, G. Scorza, E. Belisario, GDPR e normativa privacy Commentario, Wolters Kluwer, 2018
[7] G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità in Diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè Editore, 4-5/2014
[8] G.B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio in Rivista di diritto civile, CEDAM, 1990
[9] V. Mayer-Schonberger, Delete: the virtue of forgetting in the digital age, Princeton university Press, 2009
[10] Articolo 7 comma 3 lett. b) D.Lgs. 196/2003: la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dsti trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati”.
Si veda anche il contributo di R. Acciai, Il Codice della Privacy, annotato con la giurisprudenza e le decisioni del Garante, Maggioli Editore, 2007.
[11] T.E. Frosini, Il diritto all’oblio e la libertà informatica in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè, 2012.
[12] F. Agnino, Il diritto all’oblio e il diritto all’informazione: quali condizioni per il dialogo? In Danno e Responsabilità, 1/2018.
[13] E. Pelino, I soggetti del trattamento, in Il Regolamento Privacy europeo. Commentario alla nuova disciplina sulla protezione dei dati personali, Giuffrè Editore, 2016
[14] F. Pizzetti, Il caso del diritto all’oblio, Giappichelli, 2013.
[15] T.E. Frosini, Il diritto all’oblio e la libertà informatica in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 2012
[16] Corte di Cassazione, Sentenza 4 aprile 2012, n. 5525, qui disponibile: https://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2012/04/sentenza_cassazione_civile_5525_2012.pdf
[17]Articolo 11 Decreto Legislativo n. 196 del 2003, qui disponibile:
https://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/03196dl.htm#1
[18] F. Mangano, Diritto all’oblio in Giurisprudenza di merito, Giuffrè Editore, 12/2012
[19] F. Pizzetti, Il caso del diritto all’oblio, Giappichelli, 2013
[20] Corte di Cassazione, sentenza 9 aprile 1998, n. 3679
[21] Articolo 2 c.4 lett. a) Decreto Legislativo 196/2003
[22] G. Finocchiaro, Identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione dell’informazione in Diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè Editore, 3/2012
[23] Articolo 17 paragrafo 1 Reg. UE 2016/679
[24] Articolo 17 paragrafo 2 Reg. UE 2016/679
[25] Articolo 16 Reg. UE 2016/679: “L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tenuto conto delle finalità del trattamento, l’interessato ha il diritto di ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti, anche fornendo una dichiarazione integrativa”. La disposizione prevede che chi sia il responsabile sia tenuto a far inserire le dichiarazioni e le rettifiche dei soggetti ai quali siano stati attribuiti affermazioni o dichiarazioni che hanno leso la loro dignità o che non rispondono al vero. Questo diritto ha come finalità quello di garantire una forma di tutela per l’identità e la reputazione del soggetto che si trova coinvolto in casi che ritiene essere lesivi per la sua persona.
[26] Il Regolamento del 2016 ha visto l’introduzione di articolo rubricato proprio “diritto alla cancellazione (diritto all’oblio) ed emerge la peculiarità di tale articolo che ha fatto sorgere la questione riguardante il dubbio che si tratti di uno stesso diritto o di due diritti, considerabili come unitari. Certo è che nel corso degli anni, essendo mutato il mondo di Internet, è cambiato anche il portato di questi diritti perché questi sono stati ampliati notevolmente dalla giurisprudenza delle Corti.
[27] “adottare misure procedurali, organizzative e tecniche per portare a conoscenza gli ulteriori titolari, che stanno trattando i dati dell’interessato, della richiesta da questi avanzata di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali”, in G.M. Riccio, G. Scorza, E. Belisario, GDPR e Normativa Privacy Commentario, Wolters Kluwer, 2018.
[28] G. Cavallari, Il diritto all’oblio in seguito al caso Google Spain vs. AEPD e Mario Costeja Gonzalez, qui disponibile: https://www.iusinitinere.it/il-diritto-alloblio-in-seguito-alla-sentenza-google-spain-10001
Nata a Bologna nel 1992. Dopo aver conseguito la maturità classica prosegue gli studi presso l’Università di Bologna iscrivendosi alla Facoltà di Giurisprudenza. Laureata con una tesi in Diritto di Internet dal titolo “Il Regolamento generale sulla protezione dei dati e il consenso dei minori al trattamento dei dati personali” sotto la guida della Professoressa Finocchiaro.
Nel novembre 2017 ha relazionato all’Internet Governance Forum- IGF Youth. E’ in questo periodo che si avvicina e appassiona al diritto di internet e all’informatica giuridica sentendo la necessità di approfondire gli studi in materia.
Gli interessi principali spaziano dalla protezione dei dati personali alla cybersecurity e all’ambito delle nuove tecnologie al ruolo che il diritto di internet ha assunto e assumerà nei prossimi anni.