giovedì, Aprile 18, 2024
Diritto e Impresa

Il favor del legislatore per il concordato preventivo con continuità aziendale diretta nel nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza

Articolo a cura di Giulia Pancioli

Premessa

Nel 2014 la raccomandazione della Commissione Europea su “un nuovo approccio al fallimento delle imprese e dell’insolvenza” si fa portatrice dell’intento di concedere all’imprenditore onesto, ma in difficoltà finanziaria, una seconda possibilità, realizzabile tramite l’accesso a strumenti di ristrutturazione preventiva che permettano di evitare il fallimento[1]. Su questa scia, il legislatore italiano attua tramite il decreto del 2019, una riforma della disciplina del diritto della crisi e riscrive completamente l’istituto del concordato preventivo, che diventa oggi il cuore pulsante di tutto il diritto della crisi di impresa.

 

Il principio di continuità aziendale

Il concordato preventivo conserva la sua bipartizione in concordato liquidatorio e in continuità aziendale, pur emergendo, da molteplici disposizioni normative, l’evidente favor legislativo per quest’ultima tipologia, più in linea con la ratio che ha ispirato l’intervento riformatore.

La continuità aziendale non è solo una caratteristica dell’impresa perfettamente funzionante, ma è principio cardine che opera in tutte le fasi di questa, non solo quando è in bonis, ma anche nelle situazioni crepuscolari, in cui una crisi può essere percepita come imminente. Per facilitare il mantenimento della continuità aziendale, il legislatore interviene sul fronte gestorio e attua una responsabilizzazione della figura imprenditoriale, ponendo in capo a quest’ultima il compito di predisporre un assetto organizzativo, amministrativo e contabile che sia funzionale alla “rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”[2]; alla luce di ciò la scelta se ricorrere al concordato preventivo o ad altra procedura concorsuale rimane indiscutibilmente in capo all’imprenditore, purché funzionale al superamento della crisi e al recupero del valore aziendale andato perduto. Inoltre, lo stretto legame tra la continuità aziendale e lo strumento del concordato preventivo permette di liberare quest’ultimo istituto da qualsiasi tipo di accezione negativa, per ricondurlo ad una fase dell’ordinaria gestione imprenditoriale, seppur solo eventuale.

 

Lo stato di crisi

Lo stato di crisi, rimane presupposto oggettivo del concordato preventivo, sebbene ora sia un concetto del tutto autonomo e distinto dallo stato di insolvenza; mentre la legge fallimentare precedente non prevede una definizione in merito, limitandosi ad affermare che “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”, la riforma introduce una definizione autonoma di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza[3].

L’autonomia concettuale dei presupposti per il ricorso al concordato preventivo o al fallimento (termine sostituito ora con “liquidazione giudiziale”) è finalizzata a favorire interventi preventivi dell’imprenditore, in tutte quelle situazioni in cui non si ha un’insolvenza vera e propria, ma un’irregolarità nell’adempimento delle obbligazioni, che se protratta nel tempo può tramutarsi in insolvenza.

La previsione di un presupposto autonomo per il ricorso al concordato accentua il carattere preventivo di questo strumento; il debitore dovrà effettuare un’analisi dell’equilibrio economico-finanziario della sua impresa e alla luce di queste considerazioni decidere se ricorrere a questo istituto.

L’amplia libertà di valutazione concessa all’imprenditore e i labili confini entro cui ricondurre il concetto di crisi potrebbero condurre ad un eccessivo ricorso a questo strumento anche qualora non si verifichino le condizioni necessarie.

Se da un lato questo influisce positivamente sullo sviluppo della funzione preventiva dello strumento concordatario, dall’altro lato conduce a valutazioni eccessivamente prudenti e affrettate in merito all’effettiva sussistenza di una situazione di squilibrio; fondamentale è la ricerca di un equilibrio in merito alle scelte da compiere, poiché anche un atteggiamento troppo prudente può arrecare danno alla produttività e allo sviluppo aziendale, limitando l’assunzione del rischio, che è invece elemento essenziale dell’attività economica, quale è l’attività di impresa.

 

Il nuovo concordato con continuità aziendale

La riforma del 2019 ridisegna l’istituto del concordato con continuità aziendale, prevedendo una disciplina di favore, finalizzata ad accentuare il ricorso a questa tipologia di concordato, rispetto al concordato di carattere liquidatorio.

La continuità aziendale nel concordato può essere diretta o indiretta; la continuità indiretta si realizza qualora l’esercizio dell’attività di impresa viene trasferito in capo a un soggetto diverso dal debitore, a qualsiasi titolo, purché il nuovo esercente garantisca il mantenimento, per almeno un anno dall’omologazione, di un numero di lavoratori pari alla metà di quelli assunti nei due anni precedenti[4].

La continuità diretta invece, realizza la rivalorizzazione dell’azienda in capo allo stesso debitore, purché questo riesca a garantire il rispristino dell’equilibrio economico e finanziario non solo nell’interesse proprio e dei soci, ma di tutti i soggetti coinvolti nella gestione, quali i creditori in primis e tutti gli altri stakeholders.

Per quel che riguarda il soddisfacimento dei creditori, il concordato con continuità prevede la soddisfazione di questi prevalentemente tramite il ricavato prodotto dalla continuità aziendale, la sussistenza del quale, l’art. 84 co.3, ritiene sempre sussistere “quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività di impresa alla quale è addetta almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso”.

Nel concordato in continuità viene valorizzato il mantenimento del rapporto di fiducia con l’imprenditore, tanto che l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che deve essere assegnata a ciascun creditore, può anche prescindere da valutazione meramente quantitative e essere “rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o il suo avente causa”. Spetta anche all’imprenditore e non più solo all’attestatore del piano, la dimostrazione del miglior soddisfacimento dei creditori che il piano di concordato vuole realizzare; questo a riprova del fatto che, non solo in merito all’iniziativa per la presentazione della domanda, ma anche per la determinazione del contenuto del piano e del confezionamento della proposta, l’imprenditore assume pieno controllo e libertà.

Il requisito del miglior soddisfacimento dei creditori non trova definizione nel nuovo codice ed è svincolato da considerazioni quantitative; il miglior soddisfacimento non è sinonimo di “maggiore” soddisfacimento, potendo realizzarsi tramite qualsiasi utilità e modalità.

Per controbilanciare l’ampia autonomia dell’imprenditore, viene richiesta un’attenta analisi dell’operazione di ristrutturazione che questo vuole realizzare e nel piano di concordato in continuità devono essere indicate le tempistiche per il riequilibrio della situazione finanziaria, così come eventuali soluzioni alternative da adottare qualora si verifichino degli imprevisti che non permettono la realizzazione degli obiettivi pianificati[5].

La prosecuzione dell’attività in capo allo stesso debitore richiede maggiori cautele per la tutela delle pretese dei creditori sociali, poiché nel mantenimento dei rapporti contrattuali con il debitore, questi divengono compartecipi del rischio di impresa in fase di crisi; in virtù di ciò, la nuova disciplina concordataria richiede che sia indicata nel piano “ove sia prevista la prosecuzione dell’attività di impresa in forma diretta, un’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”[6].

[1] Raccomandazione 2014/135/UE del 12 Marzo 2014

[2] Il d.lgs. 14/2019 introduce alcune modifiche al codice civile e con l’articolo 375 interviene sull’art. 2086 c.c. aggiungendo un secondo comma: “L’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

[3] L’articolo 2 co.1 lett.a) del d.lgs. 14 del 2019, definisce il concetto di crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

[4] L’articolo 84 co.2 definisce il concetto di continuità indiretta.

[5] L’art. 87 co.1 lett.b) richiede l’indicazione nel piano “delle strategie di intervento e, in caso di concordato in continuità, i tempi necessari per riassicurare il riequilibrio della situazione finanziaria”.

[6] Art. 87 co.1 lett.g)

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