lunedì, Marzo 18, 2024
Diritto e Impresa

Cass. Civ., Sezioni Unite, 16 febbraio 2022, n. 5049

a cura di Andrea Di Gregorio

Introduzione

Nella sentenza Cass. Civ., Sezioni Unite, 16 febbraio 2022, n. 5049 la Suprema Corte affronta in primis, (i) il tema della revocabilità dei pagamenti del soggetto fallito e, in secondo luogo, (ii) la collocazione del credito nell’ambito del passivo fallimentare.

Tale pronuncia è intervenuta a seguito dell’ordinanza interlocutoria 31 marzo 2021, n. 8923, con la quale la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione aveva rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite.

La revocabilità dei pagamenti effettuati dal soggetto fallito

Con riferimento al tema della revocabilità dei pagamenti del soggetto fallito, la Suprema Corte ha offerto una ricostruzione degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, in una prima fase, ha ritenuto non revocabile il pagamento diretto del corrispettivo del bene oggetto della garanzia eseguito in favore del creditore pignoratizio nel periodo sospetto, in quanto il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con la revocatoria fallimentare. Un ulteriore orientamento interpretativo si è, invece, espresso sulla verifica in concreto dell’interesse della procedura fallimentare a promuovere la revocatoria, da riscontrarsi solo laddove si dimostri che vi siano creditori di grado poziore rispetto a colui che ha ricevuto il pagamento.

Le Sezioni Unite, mediante la sentenza in oggetto, aderendo all’opzione fondata sulla natura distributiva e anti-indennitaria dell’azione revocatoria fallimentare (già prospettata da Cass. Civ., Sezioni Unite, 28 marzo 2006, n. 7028), in quanto volta alla corretta applicazione delle regole concorsuali con riferimento a tutti i pagamenti effettuati nel c.d. periodo sospetto ove sia dimostrata la scientia decoctionis, sanciscono la generale revocabilità di tutti i pagamenti, eseguiti in favore di un creditore privilegiato, che presentino la duplice caratteristica (i) di essere stati eseguiti nel c.d. periodo sospetto, (ii) unita alla consapevolezza del creditore dello stato di insolvenza del debitore.

Da quanto precede si desume il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, secondo cui: “il pagamento eseguito dal debitore, successivamente fallito, nel periodo sospetto, così come determinato dall’art. 67, secondo comma, legge fall., ove si accerti la scientia decotionis del creditore, è sempre revocabile anche se effettuato in adempimento di un credito assistito da garanzia reale ed anche se l’importo versato deriva dalla vendita del bene oggetto di pegno”.

La collocazione del credito nel passivo fallimentare

In merito all’ulteriore tema concernente la collocazione del credito nel passivo fallimentare, le Sezioni Unite hanno, parimenti, richiamato l’orientamento prevalente assunto in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, il quale prevedeva la collocazione in chirografo del credito conseguente alla ripetizione in revocatoria del pagamento eseguito dal fallito, in quanto considerata come l’unica collocazione atta a determinare la corretta applicazione del principio della par condicio creditorum.

Le Sezioni Unite, tuttavia, si distaccano da tale orientamento, in quanto la collocazione in chirografo del credito non soddisfa il principio della gradualità proprio della concorsualità fallimentare. Secondo la Corte, la revocabilità, in presenza delle condizioni di legge, costituisce un adeguato rimedio nella misura in cui venga consentito al creditore di concorrere su quanto restituito a seguito della revoca con la stessa collocazione che gli sarebbe spettata se la somma del creditore fosse stata ripartita a seguito della liquidazione dell’attivo, previa decurtazione ai sensi dell’articolo 111-ter legge fall. dei crediti prededucibili e con prioritaria soddisfazione dei crediti poziori. Tale posizione viene ulteriormente esplicitata dagli Ermellini, i quali proseguono affermando che la regola della par condicio creditorum debba valere anche in favore del creditore all’atto dell’insinuazione al passivo: la funzione distributiva della revocatoria del pagamento del creditore privilegiato, infatti, non si realizza privando quest’ultimo del suo diritto ad una collocazione poziore rispetto ai chirografari, bensì consentendo – previa verifica in sede di re-insinuazione ai sensi dell’art. 70 l. fall. – che il suo diritto sia soddisfatto in sede di riparto mediante una corretta graduazione dopo che siano stati soddisfatti i crediti prededucibili e i creditori di grado poziore (anche se insinuati tardivamente). Tale soluzione non danneggia i creditori concorsuali, poiché l’atto dispositivo è stato revocato, né il creditore prelatizio, il quale conserva il grado derivante dalla natura del proprio credito ma all’interno della sede concorsuale.

Pertanto, la Corte ritiene che (i) al credito del terzo creditore revocato, in sede di successiva insinuazione al passivo, debba essere riconosciuta la stessa causa di prelazione di cui godeva in precedenza, e che (ii) al creditore munito di causa di prelazione debba essere consentito di realizzare la propria prelazione all’interno del concorso.

Da quanto precede si desume l’ulteriore principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, secondo cui: “la revoca, ex art. 67 l.fall. del pagamento eseguito in favore del creditore pignoratizio, con il ricavato della vendita del bene oggetto del pegno, determina il diritto del creditore che ha subito la revocatoria ad insinuarsi al passivo del fallimento con il medesimo privilegio nel rispetto delle regole distributive di cui agli articoli 111, 111-bis, 111-ter e 111-quater legge fall”.

La prelazione nell’ambito dell’insinuazione al passivo

Quanto, infine, al tema relativo alla prelazione nell’ambito dell’insinuazione al passivo, alla luce delle argomentazioni addotte dalla Suprema Corte nella sentenza in esame, sembra dedursi che ove, come nel caso di specie, il ricavato della vendita, oggetto della garanzia reale, non sia stato acquisito dalla massa fallimentare, ma al contrario il pegno sia stato “espropriato” prima della dichiarazione di fallimento per estinguere uno scoperto di conto, sia consentito al creditore di concorrere sulla somma restituita con la stessa collocazione che gli sarebbe spettata se tale somma fosse stata ripartita liquidando l’attivo.

Sostiene infatti la Corte che “il diritto di prelazione (consolidato) non si realizza direttamente sul bene oggetto di garanzia, ma attraverso una collocazione non diversa da quella che si sarebbe avuta ove si fosse proceduto alla ripartizione in favore del creditore pignoratizio ammesso al passivo a seguito della liquidazione dell’attivo, ivi compreso il bene gravato dal pegno consolidato”.

La possibilità, per il creditore risultato soccombente all’esito dell’azione revocatoria, di insinuarsi in via privilegiata e di concorrere sulla somma restituita – previa decurtazione delle spese prededucibili e con la soggezione ad eventuali privilegi poziori – era stata già contemplata da una pronuncia di merito, la quale si era espressa proprio nell’ambito di una fattispecie avente a oggetto un pegno estintosi a seguito del pagamento successivamente oggetto di revoca[1].

Sebbene non esplicitato dalla Corte, la somma restituita dal creditore a seguito del vittorioso esperimento dell’azione revocatoria sembra derivare dai proventi della vendita del bene oggetto di pegno.

Tale soluzione era, inoltre, già stata prospettata da parte della dottrina seppur anteriormente alla recente pronuncia dello scorso 16 febbraio, a seguito della suddetta ordinanza interlocutoria[2].

 

[1] Tribunale di Ascoli Piceno, 5 luglio 2019.

[2] Sergio Sisia, “Revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente del ricavato dalla vendita di un bene costituito in pegno consolidato”, in Il Fallimentarista, 15 luglio 2021.

 

Cass. Civ., SS.UU., Sent. 28 settembre 2021 (Dep. 16 febbraio 2022) n. 5049

Presidente: CURZIO. Relatore: ACIERNO.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CURZIO Pietro Primo Presidente Dott. TRAVAGLINO Giacomo Presidente di Sez. Dott. ACIERNO Maria rel. Presidente di Sez. Dott. GIUSTI Alberto Consigliere Dott. GRAZIOSI Chiara Consigliere Dott. MERCOLINO Guido Consigliere Dott. MAROTTA Caterina Consigliere Dott. FALASCHI Milena Consigliere Dott. VINCENTI Enzo Consigliere ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.g. nr. 28637/2015 proposto da: BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Guido D’Arezzo 2, presso lo studio dell’avvocato Massimo FRONTONI, rappresentata e difesa dall’avvocato Maurizio PARISI; – ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) Sas (OMISSIS), nonchè S.M.C. quale socio accomandatario, in persona del curatore avv. Francesco FERRAU’, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour 17, presso lo studio dell’avvocato Maurizio CANFORA, rappresentato e difeso dall’avvocato Donatella CUOMO; – controricorrente –

avverso la sentenza n. 423/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 02/07/2015; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 dal Presidente Dott. MARIA ACIERNO; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’Avvocato Maria Pia DI GIOSA, per delega dell’avvocato Maurizio PARISI.

Svolgimento del processo

1.Nell’ambito di un giudizio relativo ad una pluralità di domande revocatorie proposte dal fallimento della s.a.s. (OMISSIS) rivolte nei confronti della s.p.a. Monte dei Paschi di Siena, venivano accolte alcune di esse da parte della Corte di Appello di Messina e, per quel che interessa, la domanda relativa alla rimessa d’importo pari a Lire 40.000.000 effettuata in favore dell’istituto bancario, nel periodo sospetto L. Fall., ex art. 67, comma 2, dovuta all’incameramento del corrispettivo della vendita di un certificato di deposito costituito in pegno dal debitore fallito.

2.A sostegno della decisione la Corte territoriale ha affermato, in primo luogo, l’esistenza della scientia decoctionis in capo alla creditrice in relazione alle rimesse effettuate successivamente ai primi protesti (levati il 10/2/97). Al riguardo ha rilevato che la banca aveva monitorato l’andamento del conto fin dalla relazione del 17/5/1996 attraverso tutti i canali informativi finalizzati ad una conoscenza più rapida dei protesti, e, conseguentemente, dalla data sopraindicata non poteva non ritenersi accertata la conoscenza dell’insolvenza, tanto più che dall’aprile 1997, poco tempo dopo la levata dei predetti protesti, ma molto prima della pubblicazione, venivano chiusi i conti correnti della società fallita.

2.1 In relazione alla rimessa oggetto del presente giudizio veniva evidenziato che, secondo l’art. 11 delle condizioni generali del contratto costitutivo del pegno, la banca aveva la possibilità di vendere i titoli costituiti in pegno e di soddisfarsi sul prezzo netto ricavato di ogni suo credito e che il pegno era stato costituito nel 1991 ben al di là dei limiti temporali per l’esercizio dell’azione revocatoria. La Corte, tuttavia, ha affermato, in primo luogo, la natura giuridica di pegno regolare del certificato di deposito oggetto della garanzia pignoratizia con conseguente esclusione della compensazione L. Fall., ex art. 53, così da ritenere sussistenti i presupposti per l’esercizio della revocatoria fallimentare. In secondo luogo, aderendo al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno, ormai consolidatosi in favore della banca, è revocabile L. Fall., ex art. 67, non assumendo rilievo la circostanza che il ricavato sia destinato a soddisfare un credito privilegiato dal momento che l’eventus damni deve ritenersi in re ipsa, consistendo nella lesione della par condicio creditorum ricollegabile all’uscita del bene dalla massa in forza dell’atto dispositivo, non potendosi neanche escludere a priori il pregiudizio delle ragioni degli altri creditori privilegiati, insinuatisi successivamente al passivo.

3.Il Monte dei Paschi di Siena ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Ha resistito con controricorso il Fallimento.

4.Il ricorso è stato rinviato dalla sesta alla prima sezione civile per la rilevanza delle questioni trattate e, all’esito della Camera di consiglio del 16/12/2020, prima della quale è stata depositata requisitoria scritta da parte del procuratore generale e memoria dalla parte ricorrente, è stata rimessa, come questione di massima di particolare importanza, alle S.U., con ordinanza interlocutoria n. 8923 del 2021. Il Collegio remittente ha in primo luogo, posto la questione dell’assoggettabilità a revocatoria fallimentare dell’incasso determinato dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato, ed, in caso affermativo, l’ulteriore questione relativa alla legittimità dell’insinuazione solo in chirografo della somma revocata.

Motivi della decisione

5.Nel primo motivo viene dedotto il difetto di prova della conoscenza dello stato d’insolvenza da parte della banca con violazione della L. Fall., art. 67 e degli artt. 2697, 2727, 2729 c.c.. La nota redatta il 17/5/96 dalla parte ricorrente evidenzia la fiducia nei confronti della tenuta economica del proprio cliente e la indicata conoscenza dei protesti prima della pubblicazione non è stata rigorosamente provata. La censura è inammissibile essendo finalizzata a prospettare esclusivamente una valutazione dei fatti e della loro sequenza temporale alternativa a quella insindacabilmente svolta dal giudice del merito.

6.Nel secondo motivo viene dedotta la violazione della L. Fall., art. 67, e l’omessa valutazione dei mezzi di prova, in relazione alla riconosciuta natura solutoria delle rimesse che, al contrario, avrebbero dovuto essere ritenute di natura ripristinatoria, proprio alla luce della lettura della nota del 17/5/96 dalla quale sarebbe emerso che il conto corrente n. (OMISSIS) godeva di un affidamento per 210 milioni di Lire. La censura non supera il vaglio di ammissibilità. La Corte d’Appello ha affermato che la banca aveva solo genericamente indicata la sussistenza di aperture di credito senza specificarne l’ammontare al fine di verificare la natura giuridica delle rimesse. In relazione all’ampliamento dell’apertura di credito riferito da una teste non è stato provato, secondo la Corte, se l’apertura operasse per entrambi i conti accesi dalla società o solo per uno ed in che misura. A fronte di tali specifiche critiche relative alla rilevanza e decisività del materiale probatorio, nella censura si oppone soltanto che nella indicata nota del 17/5/1996 si dava conto dell’esistenza dell’affidamento sul conto (OMISSIS), senza tuttavia nè riprodurre il contenuto del documento, nè dedurre di averlo prodotto ex art. 369 c.p.c., nè fornire indicazioni relative al suo reperimento in atti. Il merito della censura, infine, mira a sostituire alla valutazione dei fatti e delle prove che hanno condotto, a qualificare come solutoria la rimessa in questione.

7.Nel terzo motivo viene censurata la violazione dell’art. 2787 c.c., per non avere la Corte d’Appello riconosciuto l’irrevocabilità dell’incameramento della somma derivante dal certificato di deposito, determinato dall’esercizio di un diritto di pegno non più revocabile e consolidato. Al riguardo rileva la parte ricorrente che il pegno cd. rotativo è il patto con il quale il debitore si obbliga a costituire un vincolo pignoratizio su un determinato bene, individuato per il suo valore economico, con l’intesa che, alla scadenza del titolo, il vincolo si trasferisca sul nuovo titolo. Nel caso di specie la costituzione del pegno è avvenuta nel 1991 e nelle condizioni generali di contratto era previsto che i titoli depositati in sostituzione a quelli inizialmente oggetto del pegno fossero soggetti al vincolo originario e che, in caso di conversione, la garanzia si trasferisse sui nuovi. Da tali caratteristiche conseguiva che l’eventuale accreditamento della somma ricavata dal pegno da parte della banca non potesse entrare nella disponibilità del debitore e non potesse avere natura solutoria in quanto oggetto dell’originario diritto di prelazione esercitato. Il pagamento eseguito nel periodo sospetto non era, pertanto, più revocabile perchè in tal modo il creditore aveva esercitato il proprio diritto alla realizzazione del pegno la cui costituzione non era più attaccabile. Diversamente la revoca del pagamento avrebbe finito per determinare l’effetto di un’indiretta revoca della garanzia.

7.1 Nella memoria depositata in vista dell’adunanza camerale del 16/12/2020 dalla parte ricorrente si è aggiunto, in via gradata, che ove si ritenga comunque revocabile la rimessa, dovrebbe essere consentito al creditore di essere ammesso al passivo con rango privilegiato per ripristinare quella par condicio che l’azione revocatoria fallimentare e l’ammissione in chirografo applicherebbero in suo danno.

7.2 L’ordinanza interlocutoria concentra l’attenzione su quest’ultima censura. In via preliminare viene precisato che non è in discussione nè il consolidamento del pegno oltre 5 anni prima del fallimento nè la sua qualificazione giuridica come pegno regolare, con esclusione, di conseguenza, dell’applicazione della compensazione L. Fall., ex art. 56, propria del pegno irregolare. Nessuna delle due premesse forma oggetto di censura. A tale qualificazione, peraltro, si precisa nell’ordinanza, non osta il carattere di pegno rotativo, derivante dal fatto che l’oggetto del pegno è destinato a mutare quando i titoli, inizialmente consegnati, una volta scaduti, siano sostituiti da altri titoli, dal momento che i successivi atti negoziali della banca, posti in essere per la prosecuzione della garanzia non si collegano necessariamente al potere dispositivo proprio del pegno irregolare ben potendo integrare iniziative da porsi in essere in nome e per conto del costituente la garanzia (Cass. 2120 del 2014; 4507 del 2004).

7.3 Nel merito si osserva nell’ordinanza che alla luce della giurisprudenza più recente (Cass. 16565 del 2018) questa tipologia di pagamenti non solo è revocabile ma pone il creditore in posizione chirografaria nel quadro del passivo fallimentare, dal momento che il credito insinuato ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, non è quello originario, assistito da garanzia reale, ma uno nuovo che nasce dall’effettiva restituzione e trova fonte direttamente nella legge (Cass. 24627 del 2018). Ciò in conformità con la natura distributiva dell’azione revocatoria in quanto volta esclusivamente a ripristinare la par condicio creditorum, stabilita dalle S.U. fin dalla pronuncia n. 7028 del 2006.

7.4 Su questi principi si richiede una rimeditazione sotto diversi profili. In primo luogo viene sollecitata una nuova rivalutazione della questione dell’assoggettabilità a revocatoria fallimentare, L. Fall., ex art. 67, comma 2, della rimessa in conto corrente bancario effettuata dalla banca con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno, consolidatasi in suo favore, alla luce della connessa questione relativa al trattamento in sede fallimentare del credito originariamente garantito ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2. In secondo luogo, come questione consequenzialmente connessa alla prima si sollecita un’ulteriore riflessione. Ferma la funzione redistributiva ed antiindennitaria dell’azione revocatoria fallimentare, stabilita da S.U. 7028 del 2006 e confermata dalla giurisprudenza successiva (Cass. 23712 del 2012 e 16565 del 2018), le conclusioni assunte nella pronuncia impugnata possono porsi in contrasto proprio con il principio, che intendono “blindare”, della par condicio creditorum. A fronte di una garanzia consolidata, pienamente efficace nei confronti della massa, ricostituito l’attivo attraverso la revoca del pagamento realizzato mediante il controvalore del bene sul quale la garanzia era stata costituita ed in difetto di un’azione di revoca dell’atto costitutivo della garanzia, la revoca e l’ammissione in chirografo del pagamento sopraindicato appaiono determinare una lesione proprio del principio della par condicio creditorum venendo a mancare proprio quella corretta graduazione dei crediti che devono trovare soddisfazione nella sede concorsuale cui è destinata l’azione revocatoria fallimentare. L’ammissione in chirografo assume una funzione sostanzialmente sanzionatoria che le è estranea. Rispetto ad un altro credito astrattamente privilegiato, in relazione al quale il creditore non ha acquisito alcun diritto, opponibile alla massa, a soddisfarsi sulla somma ricevuta, nel pegno consolidatosi prima del periodo sospetto, l’efficacia della garanzia rispetto al fallimento non è in discussione e, tuttavia, la revoca del pagamento unitamente all’ammissione in chirografo fa venire meno proprio il diritto del creditore ad esercitare la prelazione sulla somma incassata.

7.5 Le rilevate criticità dell’orientamento attualmente dominante inducono, secondo il Collegio remittente, a dover verificare se l’applicazione congiunta della L. Fall., art. 67, comma 2 e art. 70, comma 2, come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 4785 del 2010 e 24627 del 2018) non finisca per privare di efficacia una causa di prelazione al di là delle stesse esigenze della concorsualità dal momento che un conto è ricondurre il pagamento nell’orbita concorsuale, un conto è produrre esclusivamente l’effetto sanzionatorio derivante dal venire meno della causa di prelazione derivante da pegno regolare consolidato.

7.6 In conclusione, viene richiesto alle S.U. di intervenire sia in ordine alle due opzioni ermeneutiche alternative relative alla revocabilità dell’incasso rinveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato sia in relazione al consequenziale quesito riguardante la compatibilità dell’ammissione del credito al passivo in chirografo con la stessa natura redistributiva dell’azione revocatoria fallimentare che è finalizzata esclusivamente al ripristino della par condicio.

8.Rileva, preliminarmente il Collegio, che nei motivi di ricorso ed in particolare nel terzo motivo che tratta della rimessa oggetto del presente giudizio, la censura è rivolta esclusivamente ad escludere la revocabilità del pagamento eseguito in favore dell’istituto bancario perchè incompatibile con la natura consolidata ed irrevocabile del pegno, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità successivamente superato. La questione collegata della diversa collocazione del credito nella sede concorsuale non è affrontata nella formulazione della censura, in quanto diretta esclusivamente ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità dell’assoggettamento della rimessa bancaria all’azione revocatoria fallimentare, con conseguente irripetibilità del pagamento eseguito, ma illustrata successivamente nella memoria tempestivamente depositata ed in particolare, sviluppata ampiamente nell’ordinanza interlocutoria.

9.Ritiene, conseguentemente il Collegio di dover affrontare, in primo luogo, il tema prospettato nella censura, dell’ammissibilità della revocatoria del pagamento del creditore pignoratizio.

9.1 Come indicato dalla parte ricorrente, la giurisprudenza di legittimità, in una prima fase (Cass. 18439 del 2004; 26898 del 2008) ha ritenuto non revocabile il pagamento diretto del corrispettivo del bene oggetto della garanzia eseguito in favore del creditore pignoratizio nel periodo sospetto, “atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con la revocatoria fallimentare”. Secondo questo orientamento la revoca del pagamento produrrebbe l’effetto di un’indiretta eliminazione ex tunc della garanzia e determinerebbe la trasformazione del credito da privilegiato a chirografario. Un diritto di prelazione, consolidatosi ben prima del fallimento sarebbe del tutto vanificato dalla revocabilità del pagamento eseguito per estinguere la garanzia. Questa conseguenza si porrebbe in palese contrasto con la speciale autotutela esecutiva assegnata al creditore munito di garanzia reale dalla L. Fall., art. 53. La norma stabilisce espressamente che il credito garantito da pegno può essere realizzato anche durante il fallimento, però solo dopo l’ammissione al passivo con prelazione, con le modalità alternativamente stabilite nei commi 2 e 3 e alle condizioni stabilite nel successivo art. 54 (richiamato insieme all’art. 55, L. Fall., art. 111 quater), in base al quale, tra l’altro, i crediti assistiti da garanzia reale sono soddisfatti con prelazione sul prezzo dei beni assoggettati al vincolo per il capitale, gli interessi e le spese; ove non soddisfatti integralmente, concorrono, per quanto è ancora dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell’attivo;. Possono partecipare anche alle ripartizioni che si eseguono prima della distribuzione del prezzo dei beni vincolati a loro garanzia. Se il credito munito di garanzia reale conserva un regime speciale di protezione pur se realizzato nel corso del fallimento, la mancanza di qualsiasi tutela nell’ipotesi diversa di consolidamento della garanzia e di realizzazione ante fallimento (quest’ultimo però in periodo sospetto L. Fall., ex art. 67, comma 2) determina una situazione d’incompatibilità insanabile. Più esattamente, al fine di rappresentare nel modo più esaustivo, i profili critici da affrontare e risolvere, si possono prospettare tre evenienze: il consolidamento della garanzia reale e la realizzazione del credito, mediante la riscossione dell’importo dovuto da parte del creditore garantito, intervengono entrambe ante fallimento ed ante periodo sospetto. Non vi è luogo all’applicazione della disciplina normativa concorsuale dei crediti e dei debiti del fallito. Il soddisfacimento del credito avviene nel corso della fase concorsuale. Si applica lo speciale regime di protezione del credito ove ricorrano le condizioni di cui all’art. 53, e siano rispettate le modalità di esercizio in sede concorsuale del diritto di prelazione. La terza ipotesi è quella dedotta nel presente giudizio. La garanzia si è consolidata ante fallimento ma il pagamento è stato eseguito nel periodo sospetto L. Fall., ex art. 67, comma 2, ed il curatore ha dimostrato la scientia decoctionis in capo al creditore pignoratizio. L’opzione ricostruttiva della irrevocabilità del pagamento dell’importo a soddisfazione del credito garantito porta ad escludere che vi debba essere differenza di regime giuridico relativamente alle ipotesi n. 1 e n. 3, dovendosi conservare la pienezza dell’esercizio del diritto di prelazione del creditore pignoratizio.

9.2. Alla tesi dell’irrevocabilità “in ogni caso” del pagamento eseguito in periodo sospetto dal debitore in favore del credito munito di garanzia consolidata, riscontrabile anche in orientamenti risalenti relativi al credito garantito da ipoteca (Cass. n. 3608 del 1976 e 2180 del 1969) si è affiancata un’ipotesi ricostruttiva, anch’essa non priva di riscontro giurisprudenziale (Cass. 7649 del 1997) che si fonda sulla verifica in concreto dell’interesse della procedura fallimentare a promuovere la revocatoria, da riscontrarsi solo ove si dimostri che vi sono creditori di grado poziore rispetto a quello che ha ricevuto il pagamento. La revocabilità del pagamento verrebbe, infatti, meno, ove in sede di riparto al creditore pignoratizio (od ipotecario) si sarebbe potuto attribuire il medesimo importo ottenuto con il pagamento eseguito in sede prefallimentare. Nell’ipotesi opposta, d’incapienza in sede di riparto del creditore in questione per l’esistenza di creditori di grado poziore, sussisterebbe il pieno interesse all’esercizio dell’azione revocatoria, da rinvenirsi, tuttavia, secondo una parte della dottrina, anche quando si potesse dimostrare che il pagamento ante fallimento (e nel periodo sospetto) fosse d’importo superiore a quello ricavabile in sede di riparto. A parte le concrete difficoltà probatorie connesse al giudizio prognostico da svolgere, tenuto conto della formazione progressiva dello stato passivo, la tesi illustrata si fonda sul cd. carattere indennitario dell’azione revocatoria fallimentare, disciplinata dalla L. Fall., art. 67, comma 2. E’ necessario per l’esercizio dell’azione il requisito dell’eventus damni (così come nell’azione revocatoria ordinaria), da accertarsi in concreto. In mancanza di esso si configura il difetto dell’interesse ad agire.

10.La prima delle due opzioni illustrate si fonda in via esclusiva sulla natura giuridica del credito realizzato mediante il pagamento nel periodo sospetto, ritenendo che essendo il creditore munito di diritto di prelazione, la soddisfazione delle proprie ragioni creditorie debba essere sempre conseguente alla peculiare connotazione giuridica del diritto ove avvenuta prima del fallimento, senza essere intaccata dal regime giuridico speciale proprio dei pagamenti eseguiti dal debitore in epoca prossima al fallimento, secondo quanto stabilito dalla L. Fall., art. 67, comma 2. L’evento del fallimento rileva solo, L. Fall., ex art. 53, se il pagamento è eseguito dopo l’apertura della fase concorsuale. L’altra opzione, pur non escludendo dal proprio orizzonte ricostruttivo il regime giuridico dei pagamenti eseguiti in prossimità del fallimento, fondato sulla loro revocabilità, ne limita, pur in mancanza di un indicatore normativo, la generale applicabilità, comprimendo così la peculiarità e l’autonomia dell’azione revocatoria fallimentare rispetto a quella pauliana ed incentrando su un giudizio meramente prognostico relativo all’eventus damni, peraltro di difficile accertamento caso per caso, la titolarità della stessa legittimazione ad agire della procedura.

  1. La terza opzione, denominabile come quella della “revocabilità in ogni caso” è stata, come già osservato, posta a fondamento della pronuncia impugnata.

11.1 E’ necessario, per illustrarne il contenuto, precisare che a partire dalla pronuncia delle S.U. n. 7028 del 2006 all’azione revocatoria fallimentare è stata attribuita una funzione distributiva ed antindennitaria, con conseguente abbandono della diversa natura giuridica della revocatoria fallimentare in precedenza adottata anche dalla giurisprudenza di legittimità. La fattispecie esaminata aveva ad oggetto la revocabilità della vendita di beni propri effettuata dall’imprenditore, poi fallito entro un anno, per il soddisfacimento di un creditore privilegiato, (nella specie garantito da ipoteca sull’immobile alienato) ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2. L’eventus damni, secondo le S.U., in questa ipotesi, è in re ipsa consistendo nella lesione della “par condicio creditorum”, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione. Ne consegue che grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall’imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato non esclude la indicata lesione della “par condicio”, nè fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, dal momento che solo in seguito alla ripartizione dell’attivo potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati i quali, successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria, potrebbero in tesi insinuarsi. Nell’enunciare il principio, le Sezioni Unite hanno precisato che la natura distributiva, e non indennitaria, dell’azione prevista dell’art. 67, comma 2, è rimasta ferma anche dopo la riforma della disciplina della revocatoria fallimentare operata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80, il cui art. 2 si è limitato a dimezzare il “periodo sospetto”, “con l’introduzione di talune eccezioni alla regola, implicitamente confermative quindi della stessa”. E’ stato inoltre evidenziato che il legislatore con il regime giuridico della revocatoria fallimentare ha inteso colpire non il rapporto commutativo del negozio, collegato al requisito della “notevole sproporzione” e del pregiudizio proprio dell’azione revocatoria ordinaria ma il recupero di ciò che è uscito dal patrimonio del debitore in una situazione d’insolvenza in modo da sottrarre il beneficiario del pagamento dalla posizione di creditore concorrente. La revocabilità dei pagamenti eseguiti nel periodo sospetto da parte di creditori muniti di garanzia reale non è stata più posta in discussione nella giurisprudenza successiva di legittimità (Cass. 4785 del 2010 e più di recente 16565 e 24627 del 2018) fino all’ordinanza interlocutoria da cui è scaturito il presente giudizio.

11.2 Solo in seguito alla ripartizione dell’attivo potrà verificarsi se il pagamento non pregiudichi le ragioni degli altri creditori privilegiati che anche successivamente all’esercizio della revocatoria intendano insinuarsi così da tenere conto della possibile presenza di crediti prededucibili nel passivo fallimentare o di altri crediti di grado poziore destinati ad essere soddisfatti con preferenza rispetto a quello che ha subito la revocatoria, oltre che l’evenienza di insinuazioni tardive. In primo luogo devono essere soddisfatti i crediti della massa; il principio vale non solo per i crediti chirografari e per quelli privilegiati (muniti di privilegio speciale o generale) ma anche per i crediti ipotecari e pignoratizi, sia pure nei limiti della L. Fall., art. 111 bis, comma 2, per cui i crediti prededucibili vanno soddisfatti con il ricavato della liquidazione del patrimonio, “con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca”, esclusione però limitata alla “parte destinata ai creditori garantiti” – con implicito rinvio alla L. Fall., art. 111 ter, comma 3, in base al quale i creditori ipotecari e pignoratizi sopportano non solo le spese direttamente imputabili alla gestione e liquidazione dei beni gravati da pegno o ipoteca, ma anche una quota parte delle spese generali di gestione della procedura, “secondo un criterio proporzionale”. I pegni soccombono in alcune ipotesi anche ai crediti privilegiati (art. 2748 c.c., comma 1 e art. 2781 c.c.). Possono essere soddisfatti in sede extraconcorsuale soltanto i crediti che si estinguono per compensazione L. Fall., ex art. 56 (come avviene per il pegno irregolare); i realizzi delle garanzie finanziarie di cui al D.Lgs. n. 170 del 2004, ed altre limitate ipotesi quali quelle di cui al D.L. n. 59 del 2016, art. 1, comma 8 (crediti presenti o futuri garantiti da pegno non possessorio inerenti all’esercizio di un’impresa) ed i pagamenti effettuati a fronte di crediti ipotecari fondiari di cui all’art. 38 T.U.B.. Il quadro dei crediti prededucibili non può dirsi mai del tutto immutabile perchè si tratta di crediti che sorgono in occasione ed in funzione del fallimento (L. Fall., art. 111, comma 2) e che sono preordinati allo scopo di fornire alla procedura la liquidità indispensabile per il suo svolgimento e la sua gestione. C’è un grado di dinamicità intrinsecamente connesso alla natura di tali crediti. Deve inoltre rilevarsi che, pur essendo fissato un termine per le insinuazioni tardive, e pur essendo vigente la regola secondo la quale i creditori tardivi accettano la procedura nello stato in cui si trova, non si deve trascurare che i creditori muniti di prelazione o privilegio che dimostrino la non imputabilità del ritardo possono prelevare nei riparti successivi le quote che sarebbero loro spettate nelle precedenti ripartizioni (L. Fall., art. 112).

11.3 In conclusione, il fondamento teorico di quest’opzione è costituito da due pilastri: la natura distributiva dell’azione revocatoria e la necessità di ristabilire la par condicio creditorum in relazione a tutti i pagamenti eseguiti nel periodo sospetto senza alcuna esclusione dettata dalla natura giuridica dei crediti posti a pase degli importi versati. A questa duplice premessa segue, secondo la giurisprudenza di legittimità successiva alle S.U., la collocazione in chirografo del credito conseguente alla restituzione derivante dall’eventuale esito vittorioso dell’azione revocatoria. Quest’ultimo assunto si fonda, come efficacemente precisato nella recente pronuncia n. 24627 del 2018, sul rilievo secondo il quale il credito che s’insinua al passivo L. Fall., ex art. 70, comma 2, non è quello originario ma un credito nuovo che nasce dalla restituzione dovuto alla revocatoria e “trova fonte direttamente nella legge”. L’obbligo restitutorio non fa rivivere l’originaria garanzia.

  1. Il Collegio presta convinta adesione all’opzione teorica fondata sulla natura distributiva dell’azione revocatoria fallimentare, indicata dalle S.U., in quanto volta alla corretta applicazione delle regole concorsuali in relazione a tutti i pagamenti effettuati nel periodo sospetto ove sia accertata la scientia decoctionis, e ne fa conseguire la conclusione più generale della revocabilità di tutti i pagamenti eseguiti in favore di un creditore privilegiato che abbiano la duplice caratteristica di essere stati eseguiti nel periodo sospetto, unita alla consapevolezza del creditore dello stato d’insolvenza del debitore prossimo al fallimento. La disciplina normativa contenuta nella L. Fall., art. 70, non scalfisce la correttezza della soluzione dal momento che prescrive, nella peculiare ipotesi contemplata, la partecipazione alla concorsualità del credito privilegiato da escutere dopo il fallimento. 12.1 Il terzo motivo di ricorso deve, pertanto, essere rigettato essendo volto ad escludere tout court la revocabilità del pagamento dedotto in giudizio. Rimane tuttavia, da esaminare, l’altra questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria, riguardante la collocazione del credito conseguente all’esito vittorioso della revocatoria, in sede concorsuale. Non è in discussione che il creditore che si soddisfi extraconcorso non rispetti la necessità del previo soddisfacimento dei debiti della massa (prededucibili) e violi la par condicio rispetto agli altri privilegiati poziori che si insinuino successivamente. Le criticità rilevate nel secondo quesito si concentrano solo nella collocazione in chirografo.

12.2. Come già osservato, (par. 8) la banca ricorrente ha prospettato per la prima volta, in memoria, la questione sopra illustrata. Essa, tuttavia, non può ritenersi una mera integrazione del terzo motivo, in quanto esclusivamente volto a richiedere l’accertamento dell’irrevocabilità del pagamento eseguito dal debitore in periodo sospetto in favore del creditore pignoratizio attraverso il ricavato dei titoli oggetto del pegno costituito in favore della banca. Si tratta di una questione nuova che, però, ha costituito oggetto di uno specifico quesito dell’ordinanza interlocutoria, fondato su ampio approfondimento dei profili critici, sollevati in dottrina. L’ordinanza interlocutoria, ha, in conclusione, sottolineato il rilievo giuridico e il forte impatto pratico, conseguente alla corretta collocazione del credito conseguente all’esito vittorioso dell’azione revocatoria.

  1. Ritiene, pertanto, il Collegio, di dover affrontare il tema posto dalla parte ricorrente ed approfondito dall’ordinanza interlocutoria e dalla relazione dell’Ufficio del Massimario, ex art. 363 c.p.c., comma 3, e di formulare il principio di diritto nell’interesse della legge, ove ritenga di accogliere le sollecitazioni sopra indicate.

  2. La opzione della collocazione in chirografo del credito dedotto nel presente giudizio è dominante nella giurisprudenza di legittimità che è succeduta alle S.U., e, come già evidenziato, partendo dalla natura distributiva dell’azione revocatoria, pone in evidenza come qualsiasi pagamento eseguito nel periodo sospetto, ancorchè fondato sull’obbligo di soddisfare un creditore munito di prelazione, altera la par condicio, anche per le ragioni poste in luce proprio dalle S.U. Rimane da comprendere se ferma la concorsualità del credito conseguente alla ripetizione in revocatoria del pagamento eseguito dal fallito, la collocazione in chirografo sia l’unica che determini la corretta applicazione del principio della par condicio creditorum. Il Collegio condivide al riguardo le perplessità espresse nell’ordinanza interlocutoria, ritenendo che la collocazione in chirografo del credito conseguente alla ripetizione, per effetto della revocatoria, del pagamento ricevuto in periodo sospetto dal creditore pignoratizio previa vendita o realizzazione dell’oggetto del pegno, non soddisfa il principio della gradualità proprio della concorsualità fallimentare. La previsione legislativa della collocazione al passivo in via privilegiata dei crediti muniti di prelazione che debbano (o comunque siano) essere soddisfatti dopo il fallimento costituisce il profilo di maggiore criticità della soluzione, sostenuta nella sentenza impugnata, dell’ammissione in chirografo del pagamento eseguito in favore del creditore munito di garanzia reale consolidata. Il principio della par condicio si fonda sulla graduazione dei crediti secondo criteri di poziorità predeterminati dalla legge. Le S.U. nella sentenza n. 7028 del 2006 hanno affermato che la lesione della par condicio si determina con l’uscita del bene o, come nella specie, del pagamento successivo alla compravendita del bene (titoli azionari) oggetto dell’atto di disposizione. Con la inclusione nella massa, per effetto della revocatoria, si ristabilisce la par condicio alterata ma i principi che regolano la collocazione e la graduazione dei crediti ammessi al passivo deve essere conservata, alla luce della natura giuridica del credito, dalla soddisfazione del quale, è derivato l’atto sospetto. La collocazione in chirografo si fonda esclusivamente sul rilievo che il pagamento effettuato dal fallito in adempimento dell’obbligazione pecuniaria munita di garanzia reale è del tutto disancorato dalla natura del credito in funzione del quale è stato eseguito, perchè deriva la propria ragione causale dall’ingiustificato arricchimento conseguito dal fallimento per l’esito vittorioso della revocatoria. Deve rilevarsi, tuttavia, che il pagamento revocato (e revocabile solo ove accertata la scientia decoctionis del creditore) costituisce pur sempre l’adempimento di un’obbligazione debitoria munita di garanzia reale ed assistita da diritto di prelazione esercitabile anche in sede concorsuale. L’inefficacia del pagamento eseguito nel periodo sospetto determina la collocazione concorsuale, non potendosi escludere l’esistenza di crediti prededucibili e poziori come già precisato nel paragrafo 11.1, tenuto conto della formazione progressiva dello stato passivo. Ma l’inefficacia del pagamento conseguente alla revoca, incide sulla esclusione della concorsualità non anche sulla corretta collocazione concorsuale in ossequio al principio della par condicio creditorum. La causa di prelazione che assisteva il credito originario qualifica anche il nuovo credito derivante dal pagamento (eseguito in adempimento del credito privilegiato) revocato verificandosi nell’ipotesi della collocazione in chirografo un effetto deteriore anche rispetto alla soddisfazione post fallimentare di un credito avente le medesime caratteristiche ma non ancora realizzato. Anche se il ricavato della vendita del bene oggetto della garanzia reale non è stato acquisito dalla massa ma al contrario il pegno è stato escusso prima della dichiarazione di fallimento al fine di estinguere uno scoperto di conto corrente, la revocabilità in presenza delle condizioni di legge (L. Fall., art. 67, comma 2) costituisce rimedio adeguato nella misura in cui si consenta al creditore di concorrere su quanto restituito a seguito della revoca con la stessa collocazione che gli sarebbe spettata se la somma fosse stata ripartita dal creditore a seguito della liquidazione dell’attivo, previa decurtazione L. Fall., ex art. 111 ter, dei crediti prededucibili e con prioritaria soddisfazione dei crediti poziori. Con questa soluzione non risultano danneggiati i creditori concorsuali perchè l’atto dispositivo è stato revocato ma neanche il creditore prelatizio che conserva il grado derivante dalla natura del proprio credito ma all’interno della sede concorsuale. Come affermato da autorevole dottrina, la regola della par condicio deve valere anche in favore del creditore all’atto dell’insinuazione al passivo. La funzione distributiva della revocatoria del pagamento del creditore privilegiato non si realizza privando quest’ultimo del suo diritto ad una collocazione poziore rispetto ai chirografari ma consentendo, previa verifica in sede di re-insinuazione ai sensi della L. Fall., art. 70, che il suo diritto sia soddisfatto in sede di riparto mediante una corretta graduazione dopo che siano stati soddisfatti i crediti prededucibili e i creditori di grado poziore anche se insinuati tardivamente. Così operando, il diritto di prelazione (consolidato) non si realizza direttamente sul bene oggetto di garanzia ma attraverso una collocazione non diversa da quella che si sarebbe avuta ove si fosse proceduto a ripartizione in favore del creditore pignoratizio ammesso al passivo a seguito della liquidazione dell’attivo, ivi compreso il bene gravato dal pegno consolidato. Così ragionando si determina un adeguato bilanciamento tra il diritto dei creditori concorsuali a non ricevere meno di quanto avrebbero diritto se il pagamento al creditore munito di diritto di prelazione fosse avvenuto tramite il riparto e la tutela del creditore revocato a che i creditori concorsuali non ricevano di più di quanto avrebbero ottenuto se il suo soddisfacimento fosse avvenuto all’interno del concorso. La funzione della revocatoria deve essere individuata nella necessità di costringere il creditore (munito di garanzia consolidata) a sottoporsi alle regole del concorso non potendosi escludere, come indicato dalle S.U. nella pronuncia n. 7028 del 2006 l’esistenza di ulteriori crediti prededucibili o comunque poziori insinuati successivamente all’inizio dell’azione. Ma questa funzione è realizzata pienamente mediante la revocabilità non occorrendo che il creditore perda la sua posizione fondata sul diritto di prelazione, non oggetto di revoca, dal momento che come espressamente affermato dalle S.U. “solo all’esito della ripartizione dell’attivo potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni degli altri creditori”. Infine, anche se la L. Fall., art. 70, comma 2, non precisa quale grado debba essere dato al credito del terzo (creditore) revocato in sede di successiva insinuazione al passivo, si ritiene, alla luce di un’interpretazione sistematica, che a quest’ultimo possa essere riconosciuta la stessa causa di prelazione di cui godeva in precedenza e che la norma debba essere interpretata conformemente alla ratio dell’azione cui accede ovvero quale strumento di ripristino della par condicio alterata consentendo al creditore munito di causa di prelazione di realizzare quest’ultima ma solo all’interno del concorso.

  3. Ai quesiti posti dall’ordinanza interlocutoria devono, pertanto, essere date le seguenti risposte. In relazione al primo quesito deve essere affermato il seguente principio di diritto: “il pagamento eseguito dal debitore, successivamente fallito, nel periodo sospetto, così come determinato nella L. Fall., art. 67, comma 2, ove si accerti la scientia decoctionis del creditore, è sempre revocabile anche se effettuato in adempimento di un credito assistito da garanzia reale ed anche se l’importo versato deriva dalla vendita del bene oggetto di pegno.

  4. In relazione al secondo quesito, rigettato il terzo motivo di ricorso e dichiarata inammissibile la censura contenuta nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., dalla parte ricorrente, deve essere formulato ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, il seguente principio di diritto nell’interesse della legge: “La revoca, L. Fall., ex art. 67, del pagamento eseguito in favore del creditore pignoratizio, con il ricavato della vendita del bene oggetto del pegno, determina il diritto del creditore che ha subito la revocatoria ad insinuarsi al passivo del fallimento con il medesimo privilegio nel rispetto delle regole distributive di cui alla L. Fall., artt. 111, 111 bis, 111-ter e 111-quater”. 16. Le spese del presente giudizio, per la novità delle questioni trattate, devono essere compensate.

P.Q.M.

Rigetta il terzo motivo di ricorso. Dichiara inammissibile il motivo formulato dalla parte ricorrente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. e formula il seguente principio di diritto ex art. 363 c.p.c., comma 3, nell’interesse della legge: “La revoca, L. Fall., ex art. 67, del pagamento eseguito in favore del creditore pignoratizio, con il ricavato della vendita del bene oggetto del pegno, determina il diritto del creditore che ha subito la revocatoria ad insinuarsi al passivo del fallimento con il medesimo privilegio, nel rispetto delle regole distributive di cui alla L. Fall., artt. 111, 111 bis, 111-ter e 111-quater”. Compensa le spese processuali del presente giudizio.

 

Andrea Di Gregorio

Andrea Di Gregorio è junior associate presso Chiomenti, prestando assistenza nell’ambito del diritto bancario e finanziario ed in quello di composizione della crisi di impresa e debt restructuring. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Brescia, discutendo una tesi in Diritto Fallimentare dal titolo "I gruppi di imprese nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza" e riportando una votazione di 110/110 cum laude. Collabora con la rivista Ius in itinere da maggio 2020.

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