Il potenziale dei Big Data e l’importanza di un dominio sul nostro patrimonio informativo
Una delle maggiori sfide per le aziende al giorno d’oggi, è acquisire un vantaggio competitivo collezionando e lavorando sui dati. Aziende e Pubbliche amministrazioni sono coinvolte in questo processo, veicolandone grandi quantità. I Big data[1] altro non sono, infatti, che grande quantità di dati, i quali stanno riscontrando sempre più interesse. Nell’ambito giuridico, ad esempio, una delle principali problematiche connessa all’utilizzazione di grandi quantità di dati, è connessa alla protezione di quelli che vengono definiti dati “personali”.
In questo scenario, una delle maggiori trasformazioni realizzata negli ultimi anni nell’Unione Europea (UE) è stata la recente adozione del Regolamento Europeo 679/2016 per la protezione dei Dati Personali[2] (nella versione inglese noto come “GDPR” General Data Protection Regulation), che ha trovato piena applicazione a decorrere dal 25 maggio 2018. Questo Regolamento produce effetti in molti settori, cercando di garantire in maniera omogenea, i diritti degli individui in materia di dati.
Sorge lecito allora, domandarsi cosa siano effettivamente i dati e come i Big data acquisiscano concretamente “valore”.
In latino, datum significa letteralmente “cosa data”. Questo vocabolo esprime la descrizione elementare di un elemento o di un’entità fisica astratta, quindi, di una caratteristica. La descrizione e rilevazione della caratteristica, può essere quantitativa o qualitativa. Infatti, i dati, possono presentarsi sotto diverse forme: numeri e lettere dell’alfabeto, immagini statiche o in movimento (video), formati sonori ed altro. Tali dati possono essere rilevati e poi conservati su diversi mezzi o supporti fisici (cartaceo, magnetico, ottico) e veicolati attraverso una rete di comunicazione tra più utenti, con finalità differenti.
L’anno di nascita dei Big data, è convenzionalmente il 2010, quando viene pubblicato un paper scientifico di Google, noto come “Dremel”[3], che spiega come compiere ricerche su milioni di Gigabytes di informazioni in frazioni di un secondo.
Secondo la definizione dell’OCSE[4] poi, i Big Data includerebbero tutti quei contenuti che permettono l’identificazione di un individuo: i contenuti generati dagli utenti, (inclusi blog, foto, video), i dati comportamentali, i dati sociali, (si pensi ai contatti degli amici sui social network), dati di geolocalizzazione, dati demografici, i dati identificativi ufficiali quali nome, informazioni finanziarie, numero di conto corrente, informazioni sulla salute e così via.
La peculiarità di questi dati sta nel fatto che, rispetto al passato, non sono estrapolati statisticamente da campioni rappresentativi della popolazione, attraverso sistemi complessi, costosi e fallibili, ma da tutta la popolazione “osservata”. La loro quantità prevale sulla loro esattezza, nel senso che non si cerca più la causalità, ma si sfrutta la correlazione. Tali informazioni sono infatti composte da una serie di coordinate, ossia: la dimensione, la complessità ed il tempo[5], se ciascuna di queste variabili viene collegata al tipo di informazioni che si vogliono approfondire e alla logica del business, la stessa restituisce un grafo di conoscenza (Knowledge graph), che raccogliendo più variabili di un’informazione, è in grado di rilevare correlazioni non evidenti.
Si pensi alla possibilità di personalizzare i prezzi[6], grazie alle analisi interferenziali e predittive. I Big Data rappresentano, infatti, una risorsa preziosa per le imprese che hanno interesse ad ottenere ed utilizzare i dati, non solo per aumentare i propri processi decisionali, ma anche per comprendere meglio le preferenze dei consumatori, ed offrire così un servizio “personalizzato”[7]. Si pensi, ad Opower, una società con sede nell’area di Washington DC, la quale combina i dati sull’efficienza energetica, con i dati relativi all’utilizzo di energia di un singolo nucleo familiare e utilizza queste informazioni con lo scopo di far risparmiare corrente ai consumatori. Quest’applicazione fornisce anche un’analisi di quanta energia utilizzano i vicini, al fine di spronare la competizione.
I dati, o meglio le decisioni legate ai dati, non hanno valore senza il calcolo automatizzato, basato su logiche algoritmiche[8], cioè senza software in grado di estrapolare, gestire e processare le informazioni ivi racchiuse entro un tempo ragionevole. In effetti, i processi decisionali Big Data driven aumentano la produttività delle imprese[9] perché gli strumenti di advanced analytics, come i sistemi di machine learning[10] e di text mining, analisi semantica e reti neurali, producono profitto.
Ma la rilevanza dei Big Data, è ben riscontrabile, anche all’interno della Pubblica Amministrazione[11], come si diceva precedentemente, avendo quest’ultima a disposizione un’ingente quantità di dati. Questo dipende anche dal fatto, che gli uffici pubblici hanno necessità di disporre di informazioni strumentali all’esercizio dei propri compiti, collezionandole in banche dati che assumono un’importanza da non sottovalutare.
Nel contesto aziendale ed in quello pubblico, assume quindi rilevo, la profilazione. Questa è descritta «come qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali, consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica»[12]. Le informazioni vengono utilizzate maggiormente per scopi commerciali, perché il data mining [13] consente di perfezionare il commercio virtuale, ridurre a zero gli errori e le spese inutili, fidelizzare i clienti personalizzando i singoli prodotti e tenendo traccia del loro comportamento.
L’utilizzo delle tecnologie informatiche ha rivoluzionato la vita quotidiana[14] dei consumatori, e gli interi processi produttivi: da un lato, sul piano microeconomico, la convergenza tecnologica ha offerto al singolo un carnet di prodotti sempre più diversificati; dall’altro, sul piano macroeconomico, ha sviluppato nuovi modelli di business intorno alle inedite unità produttive di ricchezza: i dati.
La tecnologia dunque è entrata nei meccanismi di produzione, modificando i modi di progettare, realizzare e distribuire i prodotti, incidendo anche sulle aspettative lucrative. E su questo spazio, avulso dalle regole, si sono affermati pochi “Big Players”[15].
L’aggregazione di informazioni e l’accessibilità ai Big Data da parte di pochi, impattano inevitabilmente sull’ecosistema digitale, modificandone assetti ed equilibri. Chi possiede grandi quantità di dati possiede conoscenza, informazioni, ma anche denaro. La raccolta delle informazioni e la loro gestione giocano un ruolo decisivo per le imprese, al punto che i dati personali sono divenuti asset strategico[16], e attraverso forme di profilazione e definizione di algoritmi, che possono incidere sia sul mantenimento della net neutrality[17] tra operatori di rete e fornitori di contenuti, sia sulla pluralità della rappresentazione di fatti e opinioni presso gli utenti, i quali accedono alle notizie sempre di più tramite intermediari, ovvero per mezzo delle piattaforme sociali.
In un simile scenario, come si può percepire, la privacy risulta minacciata dal traffico indiscriminato dei dati, il pluralismo informativo dal potere economico dei Big[18] della Rete, che hanno accesso esclusivo[19] al patrimonio delle informazioni condensate nei dati, le libertà degli utenti limitate da profilazioni sempre più puntuali e analitiche, fonti di nuove forme di discriminazione[20] per le persone.
Tali discriminazioni, sono suscettibili di intaccare le libertà di scelta e il diritto all’autodeterminazione[21] informativa degli individui.
I dati personali, dunque, non sono più concepiti come un qualcosa di cui il titolare ha il possesso materiale o la proprietà, bensì come l’insieme delle informazioni che, non solo sono capaci di identificare una persona, ma che rappresentano l’essenza della personalità dell’individuo stesso, tanto nel suo aspetto privato, quanto in quello pubblico. Perciò è fondamentale che tale declinazione “informativa” della personalità si riconduca ai canoni tradizionali dei diritti di libertà e della dignità umana, quello che il Bundesverfassungsgericht, in una famosa sentenza[22] del 1983, definì il principio dell’autodeterminazione informativa.
Autodeterminazione informativa, che il Tribunale Costituzionale federale tedesco coniuga proprio dalle due libertà fondamentali dello sviluppo della personalità e dell’intangibilità della dignità umana, definendola come il diritto dell’interessato a decidere in prima persona sulla cessione, l’uso e in merito a qualsiasi vicenda relativa ai dati che lo riguardano.
L’importanza di un dominio sul nostro patrimonio informativo, insieme ad una maggiore consapevolezza nell’impiego dei nostri dati personali nella società digitale, risultano elementi essenziali al fine di proteggere il nucleo fondamentale delle libertà della persona, in un’epoca, come quella odierna, in cui l’utilizzo e lo scambio di informazioni, hanno raggiunto il loro picco storico. Di conseguenza, si rende necessaria una regolazione mirata, per la tutela del consumatore e per la tutela della concorrenza, ma anche alla garanzia dei diritti fondamentali.
[1] Sul punto si veda anche: E. Palazzolo, “Dicotomie informative”: Big Data analytics e privacy del lavoratore, luglio 2018, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/dicotomie-informative-big-data-analytics-e-privacy-del-lavoratore-11499; L. Berto, Big data e Antitrust: l’importanza dei dati nelle acquisizioni, il caso Facebook/WhatsApp, febbraio 2018, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/big-data-antitrust-caso-facebook-whatsapp-7970
[2] Regolamento generale sulla protezione dei dati 2016/679, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32016R0679&from=IT
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p style=”text-align: justify;”>[3] S. Melkik, A. Gurbarev, J.J. Long, G. Romer, S. Shivakumar, M. Tolton, T. Vassilakis ,Dremel: Interactive Analysis of Web-Scale Datasets, Google, 2010, disponibile qui: https://static.googleusercontent.com/media/research.google.com/it//pubs/archive/36632.pdf
[4] OCSE, Exploring the economics of personal data: a Survey of Methodologies for Mesauring Monetary Value, vedi in https://ideas.repec.org/p/oec/stiaab/220-en.html
[5] V. M. Schonberger e K. Cukier, Big Data: A Revolution That Will Transform How We Live, Work, and Think, Houghton Mifflin Harcourt, New York, 2013, pp. 3 e 199.
[6] M. Maggiolino, Big data e prezzi personalizzati, in “Concorrenza e mercato”, fasc. 1, 1 gennaio 2016, p. 95.
[7] M. Maggiolino, Big data e prezzi personalizzati, in “Concorrenza e mercato”, fasc. 1, 1 gennaio 2016, p. 3.
[8] V. M. Schonberger e K. Cukier , Big Data: A Revolution That Will Transform How We Live, Work, and Think, Houghton Mifflin Harcourt, New York, 2013, p. 56. Disponibile qui: https://static.googleusercontent.com/media/research.google.com/it//pubs/archive/36632.pdf
Meglio nota come algorithmic economy. Si dovrebbe considerare il rapporto tra investire tempo e denaro nello sviluppo degli algoritmi, e investire le stesse risorse nell’ampliamento della raccolta di testo.
[9] R. Feldamm, M. Hammer e K. Somers, Pushing manufacturing productivity to the max, McKensey Quarterly, 2017.
[10]Il Machine learning è un apprendimento automatico che consente in tempo reale di estrarre numerosi dettagli.
[11] G. Carullo, Big Data e pubblica amministrazione nell’era delle banche dati, Concorrenza e mercato, fasc.1, 1 2016, p. 181.
[12] Articolo 4 punto 4) del Regolamento Europeo 679/2016.
[13] M. Hildebrandt, Profiling and the rule of law, in Identity in the Information Society, 1, 1, 2008. Disponibile qui: https://link.springer.com/article/10.1007/s12394-008-0003-1
[14] Si pensi alle conversazioni con gli amici su applicazioni come whatsapp o agli spostamenti registrati dallo smartphone. Secondo Martin Hilbert, ricercatore dell’Università della California, nel 2000 il 25% di tutta l’informazione prodotta nel mondo era registrata su supporto digitale, nel 2013 il 98%.
[15] S. Zuboff, Big other: serveilance capitalism and the prospects of an information civilization, in Journal of Information Technology, 2015.
[16] J.Rose; A. Lawrance e E. baltassis, Brinding the trust gap in personal data, Boston Consulting Group, 2018, p 3 a 5. Disponibile qui: http://image-src.bcg.com/Images/BCG-Bridging-the-Trust-Gap-in-Personal-Data-Mar-2018_tcm9-186201.pdf
[17] F. Dell’Aversana, Le libertà economiche in Internet: competition, net neutrality e copyright, Aracne, Roma, 2014, p. 296 ss.
[18] Quali Facebook, Google, Apple, Amazon etc.
[19] M. Orefice, Big Data: Regole e concorrenza, in Politica del diritto, 4/2016, p. 730 ss.
[20] L’articolo 5, comma 7 della Dichiarazione dei Diritti in Internet, approvata dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi a Internet e pubblicata il 28 luglio 2015, vieta espressamente di trattare i dati per finalità anche indirettamente discriminatorie.
[21] Articolo 6 della Dichiarazione dei Diritti in Internet « 1. Ogni persona ha diritto di accedere ai propri dati, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. Ogni persona ha diritto di conoscere le modalità tecniche di trattamento dei dati che la riguardano. 2. La raccolta e la conservazione dei dati devono essere limitate al tempo necessario, rispettando in ogni caso i principi di finalità e di proporzionalità e il diritto all’autodeterminazione della persona interessata ».
[22] Sentenza del 15.12.1983 della Corte Costituzionale tedesca.
Laureanda in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, con Tesi in Diritto dell’Unione europea (“Big Data: Privacy, intelligenza artificiale e nuove tecnologie nell’era digitale e dell’analitica. Le sfide normative per l’Europa alla luce del GDPR”).
Collaboratore nell’area IP & IT. Il mio interesse si concentra sui temi relativi alla Privacy e al “LegalTech”.