martedì, Marzo 19, 2024
Labourdì

Il rapporto di impiego privatizzato: la dirigenza pubblica

Sommario: 1. Introduzione; 2. Evoluzione storica; 3. La dirigenza pubblica; 4. Tappe evolutive della disciplina dirigenziale

 

  1. Introduzione

Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, ha avuto una sua evoluzione nel tempo, oscillando tra una concezione privatistica ed una pubblicistica[1].

Invero, fino al XIX secolo, a prevalere era la concezione privatistica, in luogo della quale le controversie in tal ambito, rientravano nella giurisdizione del Giudice ordinario in quanto, il rapporto giuridico instaurato tra i dipendenti delle PA e le pubbliche amministrazioni era concepito alla stregua di un rapporto di tipo civilistico.

Tale concezione è stata messa in crisi sul finire del XIX secolo[2] in conseguenza di alcune importati circostanze: proprio per evitare eventuali ingerenze della politica nell’amministrazione, era necessario attribuire alcune garanzie ai dipendenti pubblici i quali, essendo titolari ovvero partecipando all’esercizio di funzioni pubbliche, necessitavano di un rapporto più tendente ad un regime pubblicistico piuttosto che privatistico.

Una prima vera disciplina si ebbe in epoca Giolittiana con l’approvazione del Testo Unico n.693 del 1908 poi perfezionato con la riforma De Stefani approvata con r.d. 2960/23 e r.d. 2395/1923 sino a trovare un’ampia parificazione tra lavoro pubblico e privato con il Testo Unico dpr 10 gennaio 1957 n.3 in vigore sino agli anni ’90 del XX secolo.

È interessante rilevare come, in realtà, nonostante la volontà di colmare il divario tra lavoro pubblico e privato, il rapporto di lavoro alle dipendenze della PA si ergeva sempre ad un livello superiore in ragione, soprattutto, del fatto che originava in luogo di un atto unilaterale della pubblica amministrazione (c.d. atto di nomina) quale espressione dell’esercizio di un potere pubblico. Il rapporto giuridico era disciplinato da leggi e regolamenti e le relative controversie devolute al Giudice Amministrativo.

La Costituzione, in parte, riflette questa concezione prefigurando il lavoro alle dipendenze della PA con caratteri di specialità rispetto all’impiego privato. Chiari sono i riferimenti normativi: l’art 98 cost.. per esempio, esplicita la funzione neutrale del pubblico dipendente al servizio della Nazione non assoggettabile in alcun modo agli interessi della politica. I dipendenti pubblici vengono, poi, visti come espressivi garanti del buon andamento, dell’imparzialità dell’agere amministrativo (art. 97 cost).

Tuttavia, in epoca successiva alla Costituzione, a causa dell’affermarsi, anche nel pubblico impiego, della pretesa ad un riconoscimento più pieno dei diritti sindacali nonché all’introduzione della contrattazione collettiva (è stato, infatti, istituito, per la parte pubblica, l’ARAN, un organismo tecnico avente la rappresentanza negoziale in sede di negoziazione di contratti collettivi nazionali) e all’esigenza di una più incisiva flessibilità nella gestione degli apparati pubblici, la concezione pubblicistica è entrata in crisi.

  1. Evoluzione storica

Ciò ha generato un lungo processo di riforma che è sfociato nella privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione.

Cinque[3] sono le fasi più incisive che dimostrano questo passaggio:

1)Con il d. lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993 avviene il definitivo superamento della natura soggettivamente pubblica del rapporto di lavoro e, conseguentemente, la differenziazione tra organizzazione amministrativa strettamente intesa (soggetta al regime pubblicistico) e regolamentazione e gestione dei rapporti di lavoro personale (soggetta, invece, alla regolamentazione civilistica per gli aspetti generali, e alla contrattazione collettiva per la negoziazione con le organizzazioni sindacali);

2) Il fulcro del processo di privatizzazione, su cui ci si fermerà più avanti, è quello relativo alla dirigenza pubblica. La stessa, per effetto del d.lgs. n.29 del 3 febbraio 1993 era stata divisa in due fasce: dirigenti sottordinati (contrattualizzazione del rapporto d’impiego) e dirigenti generali. Proprio a favore di questi ultimi è intervenuto il d. lgs 31 marzo 1998, n.80 che ha devoluto al Giudice Ordinario il contenzioso relativo alla dirigenza generale di categoria, sino a quel momento soggetta al Giudice Amministrativo.

Da qui in poi, si è manifestata l’esigenza di coordinamento tra le diverse disposizioni legislative che ha, dunque, portato al d.lgs. n. 165 del 2001 in combinato disposto con la l.15 luglio 2002, n. 145 e alla conseguente assimilazione, pressoché completa, del pubblico impiego al lavoro privato.

3) Ulteriore importane nodo di svolta si è avuto con la c.d. Riforma Brunetta. Invero, il d.lgs. 27 ottobre 2009, n.150 ha concluso il procedimento di attuazione della delega per la riforma del lavoro pubblico, approvata con l. 4 marzo 2009, n. 15. Con la seguente riforma si è voluto dare una migliore organizzazione al lavoro, una diversificazione degli ambiti riservati alla legge e alla contrattazione collettiva, nonché il riconoscimento di meriti e demeriti con conseguente incentivo della qualità della prestazione lavorativa e, infine, si è puntato sulla selettività e conscorsualità nelle progressioni di carriera.

Non affatto da trascurare è stata, sicuramente, l’introduzione del sistema di valutazione delle performance e, proprio a tal riguardo, è stata istituita la Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche, poi diventata Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (ANAC) per effetto della l. 30 ottobre 2013 n. 125. Importate anche l’intervento relativo al contrasto all’assenteismo con conseguente previsione di sanzioni specifiche per false attestazioni di presenze o per mendaci certificati medici ma anche l’abolizione dei collegi arbitrali di impugnazione e il divieto di reintroduzione per via contrattuale; i contratti collettivi possono, invece, prevedere procedure di conciliazione non obbligatoria.

4) L’ambizioso progetto di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione è sfociato nella l.n.124 del 2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” che però ha subito forti critiche[4] da parte della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 25 novembre 2016, n.251 ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni di legge, ritenute lesive delle prerogative regionali. In discussione, infatti, sono state messe alcune norme che limitavano il coinvolgimento delle regioni ad un semplice parere non vincolante della Conferenza Stato-Regioni, piuttosto che ad una vera e propria intesa.

Ad ogni modo, in attuazione della delega di cui alla legge suddetta, è stato importante il d.lgs. 20 giugno 2016, n. 116 relativo al licenziamento disciplinare. In materia è stato penalizzato più aspramente il pubblico dipendente in caso di attestazione falsa da parte sua circa la presenza in servizio. La punizione irrogata in tal caso è la sospensione cautelare immediata senza stipendio entro quarantotto ore e, se confermata, il licenziamento del dipendente entro trenta giorni.

5) Ultimo punto fondamentale da toccare brevemente è quello relativo all’ intervento del d.lgs. 25 maggio 2017, n.75 in luogo del quale si è cercato di intervenire più incisivamente circa la condizione dei precari, è stata prevista, infatti, la possibilità di assumere a tempo indeterminato coloro i quali risultano in possesso dei requisiti indicati nel decreto, quali il superamento di un concorso a tempo determinato, l’aver maturato, negli ultimi otto anni, almeno tre anni di anzianità di servizio presso una pubblica amministrazione. Ancora, per valorizzare il personale interno, è stata prevista la possibilità di progressioni interne di carriera attraverso procedure selettive nel triennio 2018-2020 su un 20% di posti disponibili; sono state riformate le modalità di reclutamento e l’introduzione della logica dei fabbisogni con la previsione di un piano triennale allo scopo di ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire maggiormente gli obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e servizi ai cittadini.

Assolutamente valorizzata la conoscenza della lingua inglese nei concorsi pubblici ed il titolo di dottore di ricerca per specifiche posizioni.

Importanti interventi sul fronte del licenziamento disciplinare: è stato unificato il procedimento e la competenza in capo all’ufficio per il procedimento disciplinare. Per garantire maggiore certezza è stato fissato il termine perentorio di 120 giorni per la conclusione del suddetto procedimento. Introdotte anche nuove disposizioni in termini di licenziamento disciplinare, quali la valutazione negativa delle performance per tre anni consecutivi o lo scarso rendimento legato alla reiterata violazione degli obblighi per i quali è stato già sanzionato e, con riguardo ai dirigenti, la mancata attivazione o definizione di procedimenti disciplinari commessi con dolo o colpa.

Molto importante, la previsione, già con la l. n.124 del 2015, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, qualora richiesto, della possibilità di avvalersi del cd. Lavoro agile o smart working.

Metodologia che, per effetto del COVID-19, è stata maggiormente implementata. Sul punto è opportuno rappresentare[5] che la circolare n.1/2020 ha espresso l’importanza per le Pubbliche Amministrazioni della possibilità di ricorrere a strumenti anche informatici per incentivare l’utilizzo di modalità flessibili di svolgimento a distanza della prestazione lavorativa, nonché del ricorso, in via prioritaria, al lavoro agile; l’utilizzo di “cloud” per agevolare l’accesso condiviso a dati, informazioni e documenti; il ricorso a strumenti per la partecipazione da remoto a riunioni e incontri di lavoro (sistemi di videoconferenza e call conference); l’attivazione di un sistema bilanciato di reportistica interna ai fini dell’ottimizzazione della produttività anche in un’ottica di progressiva integrazione con il sistema di misurazione e valutazione della performance.

Alla luce dei predetti riferimenti normativi, ben si comprende come la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego non fa che segnare l’abbandono dell’idea di “specialità” che da sempre aleggiava sul rapporto tra impiegato ed amministrazione. Il diritto privato del lavoro diventa la disciplina generale applicabile all’impiego con le pubbliche amministrazioni. A tal scopo, necessaria è stata la devoluzione al giudice ordinario delle controversie di lavoro pubblico, ferma comunque la circostanza per cui, non l’intero ambito del lavoro alle dipendenze della PA è stato privatizzato: sottratte alla privatizzazione, le categorie indicate dall’art. 3 del d.lgs. n.165 del 2001 (avvocato e procuratori dello Stato, magistrati ordinari, professori e ricercatori ordinari…) che, di fatto, restano in regime di diritto pubblico.

 

  1. La dirigenza pubblica

La disciplina del rapporto di lavoro dirigenziale si basa sulla distinzione tra l’instaurazione del rapporto di lavoro e il conferimento dell’incarico di direzione. È bene considerare che, mentre nel privato tale distinzione non sussiste, nel pubblico è fondamentale in quanto il dirigente accede al ruolo attraverso un procedimento selettivo ma l’assunzione alle dipendenze della PA, non comporta necessariamente lo svolgimento di compiti dirigenziali.

Circa il conferimento dell’incarico e la revoca dello stesso, si sono sviluppate due tesi una di stampo pubblicistico, l’altra di tipo privatistico.

La prima tesi- pubblicistica– parte dall’assunto per cui gli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali altro non sarebbero se non provvedimenti amministrativi che, per logica conseguenza, sono soggetti alla giurisdizione del giudice amministrativo. Ciò in luogo dell’interpretazione dell’art. 19 d.lgs. n.165 del 2001 che qualifica questi atti come “provvedimenti”, per cui il conferimento dell’incarico sarebbe espressione di un potere autoritativo da parte della PA, al di fuori del contratto, e che trova una collocazione nell’ambito dell’organizzazione amministrativa.

La giurisdizione del giudice ordinario, invece, sarebbe qualificabile esclusivamente quando il rapporto di lavoro con il dirigente si è già costituito[6], il momento antecedente è soggetto alla giurisdizione del giudice amministrativo il quale ha anche giurisdizione in termini di revoca dell’incarico essendo tale atto avente natura pubblicistica e ponendosi come atto amministrativo o normativo rientrante dell’attività di macro- organizzazione della PA a fronte della quale possono emergere esclusivamente interessi legittimi.

Secondo la tesi privatistica (prevalente in giurisprudenza)[7], invece, gli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali sono atti negoziali tipici del datore di lavoro per cui la giurisdizione circa le controversie relative al conferimento da parte della PA degli incarichi dirigenziali, non possono che essere del giudice ordinario in applicazione dell’art. 63 co.1, d.lgs. n.165 del 2001, il quale eserciterà un sindacato sull’atto relativo ai vizi della patologia negoziale ed in conformità ai principi di buona fede, correttezza e parità di trattamento. Più nello specifico, gli atti di conferimento sono atti interni di organizzazione, aventi natura privata; la procedura di conferimento dell’incarico non può essere assimilata ad una procedura concorsuale, atteso che l’amministrazione si limita esclusivamente a valutare i curricula. Invece, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie relative al conferimento di incarichi dirigenziali nel caso in cui si vadano a contestare direttamente gli atti di macro-organizzazione attraverso i quali vengono definite le linee guida di organizzazione degli uffici e dei modi di conferimento della titolarità degli stessi[8].

Per quanto riguarda la revoca, invece, secondo questa tesi rientra tra gli atti di gestione del rapporto di lavoro, pertanto ha natura di diritto privato, producendo i suoi effetti sul contratto di incarico.

  1. Tappe evolutive della disciplina dirigenziale

Come nell’incipit brevemente accennato e, per meglio comprendere l’importanza degli interventi in materia, è bene sottolineare che la dirigenza pubblica ha subito forti interventi riformatori: oltre alla citata distinzione della dirigenza in due fasce, è interessante considerare come la riforma Bassani abbia esteso anche ai dirigenti generali l’applicabilità della disciplina civilistica prima solo prevista per i dirigenti sottordinati. Da ciò sono derivate innovative forme di valutazione dell’operato dirigenziale quali, ad esempio, la verifica dei risultati conseguiti e degli obiettivi raggiunti.

La legge Frattini, invece, ha ripubblicizzato lo status di dirigente pubblico ed è intervenuta nell’ambito del conferimento degli incarichi dirigenziali con la previsione per cui gli incarichi dirigenziali vengono conferiti con un “provvedimento” (nel quale vengono individuati: l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alla priorità ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nonché la durata dell’incarico) al quale, così come indicato dall’art. 19 del T.U. n.165 del 2001, “accede un contratto individuale” (limitato alla disciplina del trattamento economico).

Per quanto concerne, invece, la durata degli incarichi è stato sospeso qualunque limite alla durata massima ed è stato stabilito un termine massimo di 3 anni per gli incarichi di livello dirigenziale generale e di 5 anni per gli altri.

Di essenziale rilievo, tuttavia, è la riforma Brunetta, introdotta con d.lgs. n.150/2009 che ha da un lato conferito maggiore responsabilità ai dirigenti e dall’altro ha ne ha ampliato le prerogative con l’introduzione di meccanismi di controllo della qualità e quantità del lavoro svolto dal personale affidato agli uffici. Essenzialmente si è puntato sulla valutazione meritocratica nella selezione della classe dirigente e della sua remunerazione.

A livello procedurale si è puntato sulla trasparenza e selettività concorsuale in virtù della quale l’amministrazione è tenuta a pubblicare il numero esatto dei posti dirigenziali disponibili rendendo nota di quelli che saranno i criteri di scelta.

Altro punto di rilievo è il cd spoils system, il sistema che determina la cessazione degli incarichi dirigenziali in corso di svolgimento in concomitanza con il succedersi di una nuova compagni governativa. Il limite fissato  è di 90 giorni dal voto di fiducia al governo venendo meno la decadenza automatica dei detti incarichi come previsto dal d.lgs. 165 del 2001.

Sempre andando ad incidere sulla disciplina dirigenziale, di assoluto rilievo è stata le legge anticorruzione n.190 del 2012 la quale ha delegato il Governo a disciplinare i casi di non conferibilità e incompatibilità degli incarichi dirigenziali. Si è voluto regolare la preclusione, seppur temporaneamente, del conferimento di incarichi dirigenziali a chi abbia svolto attività in soggetti privati regolati o finanziati dall’ente pubblico o abbia riportato condanne per reati contro la PA, e la previsione di incompatibilità tra l’incarico dirigenziale e le altre cariche o attività in potenziale conflitto.

Ultimo punto essenziale da trattare è il riferimento alla legge n. 124 del 2017 cd legge Madia, la quale ha conferito deleghe al Governo al fine di adottare una riforma tesa ad incidere profondamente sulla materia della dirigenza pubblica.

Le principali novità sono relative alla creazione di ruoli unificanti e coordinati con l’introduzione dei ruoli di dirigenti statali, dirigenti regionali (inclusa la dirigenza delle camere di commercio e la dirigenza del servizio sanitario nazionale, eccettuata la dirigenza medica veterinaria e sanitaria) e i dirigenti locali, in cui confluirebbero anche gli attuali segretari comunali provinciali. La finalità della riforma sarebbe quella di superare il perimetro della singola amministrazione e creare “un più ampio mercato della dirigenza, che coincide con il territorio nazionale, nell’ambito del quale selezionare il dirigente cui si intende attribuire l’incarico”.

Il secondo aspetto su cui è intervenuta la legge è stato relativo all’eliminazione della distinzione dei dirigenti in due fasce, ciò al fine di consentire l’incarico dirigenziale a chiunque abbia tale qualifica, senza differenza alcuna connessa all’inquadramento nella prima o nella seconda fascia.

L’innovazione si ha proprio con riguardo alla creazione di apposite Commissioni per la dirigenza statale, regionale e locale composte da sette membri di cui cinque di diritto indicati dalla legge e due selezionati, incarichi tutti della durata di quattro anni con la possibilità di un unico solo rinnovo in presenza di una valutazione positiva.

[1] M.Fratini, Manuale sistematico di diritto amministrativo, edizione 2020

[2] M. Clarich, Manuale, edizione 2013

[3] R. Garofoli, Compendio superiore di diritto amministrativo, edizione 2019

[4] Avv. D. Ferraro, Riforma della Pa: Consulta dichiara la parziale illegittimità, novembre 2016, disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2016/11/28/riforma-della-pa-consulta-dichiara-la-parziale-illegittimita

[5] R. Schiavone, Coronavirus: smart working “a regime” nella PA, marzo 2020, disponibile qui: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/pubblico-impiego/quotidiano/2020/03/05/coronavirus-smart-working-regime-pa

[6] Tar Lazio, Roma, sez. III, 17 dicembre 2001, n.11405

[7] Cass. Civ., s.u., 23 settembre 2013, n.21671; Cass. Civ., SS.UU., 23 aprile 2012, n.6330, Cass. Civ. 7 luglio 2005, n.14252

[8] Cass. Civ., SS.UU., 27 febbraio 2017, n.4881

Francesca Panacciulli

Francesca Panacciulli nasce a San Severo il 17.09.1995. Attualmente è un Funzionario Addetto all'Ufficio Per il Processo presso la Corte d'Appello di Bari. Da ottobre 2022 è abilitata all'esercizio della professione forense. Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari, in data 15.07.2019, con votazione di 110, con tesi in diritto tributario dal titolo: "Armonizzazione Iva, tra aliquote ridotte ed elusione del tributo". La tesi è stata svolta in cotutela con l’Universidad de Valladolid (Spagna), nell’ambito del progetto “Global Thesis”, un premio di studio finanziato dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Dopo la laurea ha partecipato alla Summer School in “Circular Economy and Enviromental Taxation” sponsorizzata dalla medesima Università, per approfondire le tematiche legate al diritto tributario. In contemporanea, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari che le ha permesso di acquisire maggiori esperienze su più fronti, trattando non solo il diritto tributario ma anche di diritto amministrativo. Per accrescere l’ interesse nella disciplina suddetta, da marzo 2021 a maggio 2021 ha frequentato un corso di alta formazione in “Diritto e innovazione nella organizzazione e gestione degli enti locali” presso l’Università di Firenze. A partire dal mese di gennaio 2021 collabora con la rivista "Ius in itinere" per l'area tematica di Diritto Amministrativo.

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