Il Sale and Purchase Agreement: un contratto alieno
1.Analisi strutturale del fenomeno
Il fenomeno, non nuovo, sta assumendo in questi anni un’intensità sempre maggiore: le parti concludono un contratto pensato e scritto sulla base di un modello diverso dal diritto italiano, e cioè un modello di common law, pur indicando come legge applicabile il nostro diritto interno[1].
Questo accade, per esempio, quando un soggetto non italiano stipula un contratto in Italia con un soggetto italiano che ha la forza contrattuale sufficiente per imporre come legge applicabile il diritto italiano.
Per queste e altre ragioni circolano all’interno del nostro paese contratti che di recente sono stati chiamati come “ contratti alieni”, dove il termine “ alieni” ha come calco “ alius”, e quindi non solo “ straniero”, ma anche “ extraterrestre”[2].
Sicuramente tra i contratti alieni troviamo contratti atipici ex 1322 cod. civ. (come il leasing, il factoring e via dicendo). Ma il fenomeno, a ora esaminato, è molto più complesso e ampio, poiché, tra essi, troviamo contratti che possiamo ricondurre a tipi per i quali il nostro diritto detta una disciplina particolare: ad esempio, il Sale and purchase agreement, che ha come oggetto la cessione di partecipazioni sociali qualificate, può essere ricondotto alla vendita[3] .
Ciò non significa, però, che il giurista italiano debba accettare “ un’adozione cieca dei modelli contrattuali alieni”.
Al contrario, il giurista italiano dovrà intavolare un confronto critico, alla luce del nostro diritto, con tali modelli.
Ogni qual volta ci si imbatta nei cd. “contratti alieni” si evidenziano, subito, dei problemi di struttura.
Abituati al contratto come accordo tra due parti e, soprattutto, abituati alla sequenza trattativa / contratto preliminare / contratto definitivo ci imbattiamo, con qualche sorpresa e disagio, in sequenze come quelle che caratterizzano la vendita di partecipazioni sociali qualificate: letter of intent, due diligence, sale and purchase agreement, closing[4] .
Sequenze che fanno sorgere, in relazione al diritto italiano applicabile, tutta una serie di quesiti se non inediti, sicuramente nuovi nella prospettiva.
La letter of intent vincola le parti? Lo svolgimento della due diligence comporta se non conoscenza almeno conoscibilità, con conseguenze sulle garanzie? Verificatosi il closing, è possibile ottenere una pronuncia ex art. 2932 cod. civ?[5].
2.Flussi giuridici, compatibilità tra ordinamenti, contratti internazionali e lex mercatoria
Il contratto di acquisizione sta inducendo autorevole dottrina[6] a far risaltare come non esistano motivazioni che costringano i giuristi italiani a ricorrere né a termini né a clausole proprie della common law.
Infatti, è evidente come i contratti si rivelino imitazioni di modelli stranieri[7] qualora manchino i requisiti affinché il contratto possa essere disciplinato da una legge straniera, ovvero perché le parti possano esercitare la facoltà di scelta della legge regolatrice.
Questo non creerebbe dei problemi se non si corresse il rischio che la scelta della legge italiana nonché la semplice trasposizione di clausole anglosassoni possano esporre il contratto a delle declaratorie di nullità, per evidente contrasto con norme imperative o materiali del nostro ordinamento[8].
È, comunque, ormai palese la chiara influenza degli schemi di sale and purchase agreement propri della tradizione anglosassone[9].
A oggi, la dottrina ricorre alla nozione di «circolazione e mutazione di modelli giuridici»[10] per indicare il fenomeno di percezione da parte di un ordinamento di dati dell’esperienza giuridica propri di un altro; tale flusso comporta che poi la circolazione possa essere o respinto o accettata.
Per quanto riguarda il contratto di acquisizione, non si può ancora affermare che tale flusso sia stato rifiutato dal nostro ordinamento[11], sebbene la scelta di accettarlo e farlo proprio richieda un approccio molto critico.
Possiamo cosi affermare che i contratti di Sale and Purchase Agreement non possono dirsi atipici, in quanto corrispondono al modello italiano della compravendita; tuttavia essi, per scelta delle parti in causa, ricalcano modelli anglosassoni e contengono una clausola riferita alla legge italiana.
E, quindi, sono numerose le incertezze e le difficoltà a cui ci si espone, qualora non si tenga conto delle varie peculiarità in gioco, sia dell’ordinamento da cui perviene il modello contrattuale né dell’ordinamento di recepimento.
A parere di autorevole dottrina[12], non è da mettere in programma la preparazione di una disciplina legale italiana dei contratti alieni, ma il tentativo di contrastare un recepimento acritico.
Non si pongono grosse problematiche in merito alle modalità di conduzione delle trattative nonché delle indagini per quanto riguardo la target, sebbene sia lecito chiedersi quali natura e vincolatività possano avere sia la lettera d’intenti che la fase di due diligence[13].
Per quanto concerne il contenuto del contratto in esame, si dovrà compiere una valutazione di compatibilità delle clausole recepite dalla prassi di modelli contrattuali stranieri con principi e norme inderogabili del nostro ordinamento.
Tale attività di verifica andrebbe, però, compiuta durante la redazione del contratto stesso, pena il rischio di invalidità delle clausole.
Se, invece, la valutazione fosse determinata a posteriori, si parlerebbe di una applicazione di criteri già esistenti e ricollegati ai contratti internazionali.
Perciò, anche quando ricorrano le condizioni esposte nella Convenzione di Roma del 1980 e i contraenti scelgano la legge che verrà applicata, la clausola de lege utenda non esime le parti dalla predisposizione di clausole contrattuali non in contrasto con le norme di applicazione necessaria o norme materiali dell’ordinamento che regolerà il contratto[14].
I problemi di valutazione della validità di prassi anglosassoni “traslate” nel nostro ordinamento si pongono con riferimento a: struttura del testo, clausole di limitazione della responsabilità, clausole di interpretazione etc.
Possiamo, quindi, affermare che il nostro diritto interno non ferma i singoli contratti “alieni” ma mette in discussione le loro singole clausole.
3.Rapporti con il diritto italiano
Una volta interpretato il “contratto alieno”, dobbiamo valutarne la validità alla luce del nostro diritto, ossia il diritto italiano.
Quali sono le norme che troviamo a tutela dei nostri confini?.
Sacco, per esempio, ha creato un ampia gamma di norme costituzionali che proteggono, in particolar modo, l’autonomia contrattuale[15].
E la giurisprudenza maggioritaria ha avuto modo di dare rilevanza a norme costituzionali in materia di contratto, anche tramite la nozione di ordine pubblico, che già nel 1966 Rescigno indicava come il mezzo attraverso il quale dare efficacia ai diritti fondamentali nei rapporti privati[16].
Più probabile, secondo Giorgio De Nova[17], è un significativo interesse per le cd. norme “materiali”, la cui portata, secondo la celebre definizione di Kohler[18], non va ristretta alla singola fattispecie, ma, poiché prendono di mira un risultato economico, sono idonee a fermare al confine anche i contratti alieni.
In conclusione, possiamo affermare che la barriera, posta dal nostro diritto interno, si è dimostrata assai debole: i contratti alieni non solo sono stati accettati ma, soprattutto, riconosciuti dal nostro legislatore.
Possiamo quindi sottolineare che i contratti validi nella loro patria d’origine sono validi anche nella veste di contratti “ alieni”[19].
Più efficiente appare la barriera del diritto italiano in relazione alle singole clausole.
In chiusura dei contratti alieni, si è soliti trovare un inventario di clausole finali, prive di contenuto economico, dal contenuto più vario, tanto da essere elencate come “miscellaneous provisions”. Un primo interrogativo si pone: se tali clausole non siano clausole di stile, e quindi inefficaci.
Clausole di stile poiché si limitano a rappresentare l’espressione di una prassi stilistica e non si ricollegano a una precisa volontà delle parti.
Per capire al meglio questa formula giurisprudenziale, possiamo affermare che una clausola può essere presente in un contratto, ma non essere riferibile alla volontà delle parti, poiché è stata inserita d’iniziativa di un soggetto diverso dalle parti stesse, e cioè da coloro che hanno redatto il contratto nell’interesse dei contraenti, e dunque clausole che le parti né hanno discusso, né hanno considerato al momento della sottoscrizione.
Si può dire che risulta essere un fenomeno marginale per i contratti autoctoni, e limitato ai casi in cui i notai predispongono un atto ricorrendo alle formule previste nella prassi notarile. Fenomeno più ricorrente, invece, in relazione ai contratti alieni, in cui la tecnica delle boiler plate clauses regna incontrastata[20].
Inoltre, il contratto “alieno” è sovente sfacciato, contiene delle clausole che non prendono in considerazione le norme imperative del diritto italiano dando cosi adito a dei possibili scontri.
Si incontrano, quindi, clausole che limitano in ogni caso la responsabilità dell’appaltatore ad una percentuale del corrispettivo previsto da contratto: occorre ricordare, in tal caso, il limite della colpa grave ex 1229 cod.civ[21].
Concludendo, possiamo ormai notare che la diffusione in Italia di contratti “alieni”, redatti sulla base della prassi angloamericana, ma assoggettati al diritto italiano, pone in evidenza alcuni dati: il diritto dispositivo perde ogni interesse, poiché i contratti alieni si pongono come contratti “ completi”; si pone cosi il problema della derogabilità di norme ispirate al principio di buona fede, ribadendo che il diritto italiano non ferma i singoli contratti alieni (ormai accettati e riconosciuti) ma pone in discussione le singole clausole, anche sotto il profilo dell’essere clausole di stile.
[1] DE NOVA G., Il Contratto dal contratto atipico al contratto alieno, Cedam , Milano, 2011, p. 31.
[2] DE NOVA G., I contratti atipici e i contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma? In Atti del Convegno di Treviso 23- 25 marzo 2006 fasc. 5/2006, in corso di pubblicazione sulla Rivista di diritto civile, 2006.
[3] DE NOVA G., Il Contratto, op. cit., p. 33.
[4] Sull’incerto significato del termine closing vedi LUPOI M., Sistemi giuridici comparati (traccia di un corso), E.S.I., 2009, p. 69.
[5] DE NOVA G., Il Contratto, op. cit., p. 34.
[6] DE NOVA G., The Law which governs this Agreement is the Law of the Republic of Italy : il contratto alieno, in Riv. Dir. Priv., 2007, p 11-12.
[7] LUPOI M., Sistemi giuridici Comparati, op. cit., p. 69.
[8] DE NOVA G., The Law which governs this Agreements is the Law of the Republic of Italy: il contratto alieno, in Riv. dir. Priv., 2007, p. 11-12.
[9] MORELLO U., Contratti atipici e ruolo della prassi: un esame del diritto in azione, con particolare riferimento ai contratti associativi atipici e alle vendite di partecipazioni di controllo, in Accordi tra imprese e acquisizioni, Prassi, codificazione, normativa speciale, a cura di Collegio notarile di Trento, Milano, 1994, p. 3-66; SABATO F., Cessione di azienda e cessione di pacchetti di riferimento: appunti per una riflessione sulla prassi contrattuale, in Impresa e tecniche di documentazione giuridica, Roma, 1990, p. 629- 642; BRECCIA U., Prospettive del diritto dei contratti, in Riv. Dir.priv., 2001, p. 177.
[10] SACCO R., Circolazione e mutazione di modelli giuridici, in Digesto IV ,p. 365- 370; BIN M., La circolazione internazionale dei modelli contrattuali, in Contr. Impr., 1993, p. 475 ss.
[11] MONTALENTI P., La compravendita di partecipazioni azionarie, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, Milano, 1994, p 767.
[12] DE NOVA G., I contratti atipici e i contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma?, in Riv. Dir. Civ., 2006, p. 348.
[13] UBERTAZZI T. M., Il procedimento di acquisizione di imprese, Padova, 2008, p. 175 ss.
[14] BORTOLOTTI F., Manuale di diritto commerciale internazionale Vol. Primo Diritto dei contratti internazionali, Padova, 2001, p. 241 ss.
[15] SACCO R., in SACCO e DE NOVA, Il contratto, UTET, 2004, vol. I.
[16] DE NOVA G., Il contratto, op. cit., p. 39; RESCIGNO P., In pari causa turpitudinis, in Riv. Dir. civ., 1996, I, p. 33.
[17] DE NOVA G., ibid.
[18] KOHLER J., Studien über Mentalreservation und Simulation, in Jherings Jahrbucher, 1876.
[19] DE NOVA G.,ibid., p. 40.
[20] DE NOVA G., ibid.
[21] DRAETTA U., Il diritto dei contratti internazionali. Le patologie dei contratti , Cedam , 1988, p. 53 ss; DE NOVA G., ibid., p. 41.