La dottrina della guerra preventiva e il carattere naturale della legittima difesa (parte I)
Art. 51 Carta dell’ONU
“Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”
La possibile reazione in legittima difesa è funzionalmente legata alla sussistenza di un attacco armato; in particolare, la nozione di attacco armato è stata oggetto, nel tempo, di varie interpretazioni tendenti ad allargare il novero delle possibili manifestazioni dell’uso della forza giustificate dall’ art. 51 Carta ONU.
La legittima difesa dunque, in ragione della sua funzione di unica valvola di sfogo del sistema, è stata invocata dagli Stati in pressoché tutte le situazioni nelle quali essi hanno sostenuto che la loro azione non rientrasse nell’ambito del divieto dell’uso della forza.
D’altra parte, l’idea che l’esercizio della legittima difesa dovesse essere vincolata all’esistenza di un attacco armato, nonché tener conto della preminente autorità del Consiglio di Sicurezza, è confermata anche dalla stessa storia dell’art 51.
Inizialmente le proposte di Dumbarton Oaks non prevedevano espressamente l’istituto della legittima difesa. Le grandi potenze, infatti, ritenevano che il diritto di legittima difesa fosse già inerente alla sovranità dello Stato e che le risposte alle minacce alla pace o agli atti di aggressione dovessero essere gestite principalmente nell’ambito del sistema di sicurezza
collettivo. La debolezza di tale impostazione, tuttavia, fu resa subito evidente dall’esame delle modalità delle procedure di voto in seno al Consiglio: l’azione dell’Organizzazione, infatti, risultò sin dal principio limitata dal possibile esercizio del potere di veto da parte dei membri permanenti. Inoltre, avendo sottoposto all’autorità del Consiglio anche le azioni
delle Organizzazioni regionali, molti Stati si convinsero della necessità di inserire una valvola di sfogo per ovviare a possibili paralisi del sistema.
Ciò spiega come, in realtà, l’art. 51 sia stato frutto di una non facile mediazione tra le posizioni dei vari Stati Membri e spiega anche perché la norma in questione sia ancora oggi oggetto di interpretazioni divergenti.
Un primo aspetto problematico dell’interpretazione di tale norma è rappresentato dalla qualificazione della legittima difesa come diritto naturale. In particolare, la dottrina angloamericana ha affermato che con tale espressione l’art. 51 intenderebbe riconoscere che la materia sia regolata dal diritto consuetudinario preesistente alla Carta (1) . La dottrina in questione, dunque, pone l’accento sul carattere “naturale” del diritto di legittima difesa per ampliare il campo di applicazione della stessa.
Di segno opposto invece è la posizione della Corte Internazionale di Giustizia che si è occupata della questione nel caso Nicaragua. Essa, infatti, pur confermando che l’espressione “naturale” rinvii al diritto consuetudinario preesistente alla stessa conclude affermando che in realtà lo stesso contenuto del diritto consuetudinario in materia di legittima difesa è stato a sua volta modificato ed influenzato dalla Carta. In sostanza dunque, la Corte pur confermando che il termine “naturale” rinvii al diritto consuetudinari preesistente, ne fornisce un’interpretazione tale da evitare che lo stesso possa essere utilizzato per estendere la portata del lecito ricorso alla forza in legittima difesa.
La dottrina statunitense, da sempre meno ancorata alla Carta rispetto a quella europea, partendo proprio dal carattere “naturale” della legittima difesa, ha individuato il presupposto da porre a fondamento della cd. legittima difesa preventiva.
Il fulcro della nuova strategia di sicurezza è costituito dalla possibilità di ricorrere alla forza contro altri Stati dal momento in cui questi possano potenzialmente apportare un pericolo alla pace ed alla sicurezza nazionale. Il documento si inserisce in un periodo storico, quello post 11 settembre, in cui il problema degli attacchi terroristici era visto con particolare sensibilità dall’opinione pubblica mondiale.
Con esso, gli USA, oltre a tranquillizzare l’opinione pubblica nazionale, manifestarono un netto allontanamento rispetto alla disciplina dell’uso della forza così come disciplinata nella Carta. Secondo il documento infatti, gli USA potrebbero reagire in legittima difesa in presenza di uno di questi due requisiti: una politica di sostegno a gruppi terroristici da parte di uno
Stato oppure una politica tesa all’acquisizione di armi di distruzione di massa, suscettibili di essere impiegate in attacchi terroristici.
Anche se la dottrina non esclude la possibilità di poter agire in legittima difesa in presenza di una sola di queste condizioni, in realtà è soprattutto la loro combinazione che giustifica l’azione preventiva.
(1) WALDOCK M, (1952), The regulation of the use of force by individual States in international law, Hague Academy of
International Law, Paris.
Nato a napoli nel 1991, vive a Melito di Napoli. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso la Federico II di Napoli nel luglio 2016 con tesi in diritto internazionale. Attualmente oltre a frequentare la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, svolge il tirocinio forense presso lo Studio Legale Mancini, specializzato in diritto penale.
Ha collaborato con diverse testate editoriali, principalmente con articoli di cronaca locale e politica.
Ama il calcio, anche dilettantistico e la scrittura.