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La figura dell’agente provocatore

La figura dell'agente provocatore
La figura dell’agente provocatore

L’agente provocatore da sempre è figura controversa all’interno dell’ordinamento giuridico e del codice penale. Agli albori della stesura del Codice Rocco tale figura veniva inquadrata come istigazione qualificata volta a ricomprendere tutte quelle situazioni in cui: un soggetto induce altri a commettere reati avvalendosi di forme di coazione morale e psichica; tale definizione è stata superata poco dopo in quanto si è ritenuto che non fosse completa mancando dell’elemento materiale in relazione alle attività di coazione.

L’agente non sarebbe solo colui che induce altri a commettere un fatto, ma potrebbe essere egli stesso parte dell’organizzazione criminale partecipando attivamente alle attività da quest’ultima poste in essere, in tal modo però si ricorrerebbe alla classificazione di infiltrato. Per infiltrato si deve intendere un agente di polizia o collaboratore delle forze dell’ordine che infiltrandosi nell’organizzazione criminale rende credibile la sua copertura volta a fini d’indagine.

La differenza sostanziale con l’agente provocatore risiede nel fatto che il primo, non stimola condotte criminose o alla commissione di reati, ma la sua sembra essere una condotta di osservazione e contenimento, in questo modo, il suo agire sarà compatibile con le norme di diritto interno ed internazionale[1].

Tornando all’ agente provocatore, la dottrina era ed è tutt’ora non unanime: parte di questa riconduce la condotta dell’agente agli estremi dell’art. 110 c.p. quindi come concorso nel reato; altra parte invece, ritiene che l’atteggiamento del provocatore non sia volta al compimento o alla compartecipazione al reato stesso ma unicamente ad volto ad accertare il reato ai fini di giustizia. Tale materia è stata oggetto di modifica prima nel 2006 e poi nel 2010, prevedendo che ai fini della punibilità dell’agente dovrà verificarsi il grado di incidenza della sua condotta posto che l’istigazione è punibile ove l’agente abbia commesso ex se il reato.

Come ogni reato che si rispetti si ricerca l’elemento oggettivo nonché quello soggettivo; in riferimento al primo, la dottrina e la giurisprudenza dominante prevedono si potrebbe avere provocazione vera e propria e al contrario un intervento solo sopravvenuto, facendo si che la condotta dell’agente in realtà non incida su quella del reo; a queste ipotesi si aggiunge quella in cui la fattispecie non riguardi i reati in contratto come la truffa, ma al comportamento dell’agente stesso che influisce sul comportamento di una delle parti. In questa ipotesi, la dottrina minoritaria, ritiene che la condotta sia irrilevante come tentativo a norma dell’art. 56 c.p.; quella invece prevalente ritiene che trova attuazione piena il suddetto articolo mediante un ricorso al giudizio controfattuale basato sul meccanismo della prognosi postuma a base parziale.

Nei reati a concorso necessario, qualora la qualifica del soggetto agente non incida sugli atti posti in essere, si configurerà l’ipotesi di reato impossibile e come tale non punibile a norma dell’art. 49 c.p.; qualora invece dovesse aversi ipotesi di reato contratto, come la vendita di armi o la cessione di stupefacenti, in quel caso sarebbe difficile negare la colpevolezza dell’agente provocatore che però, potrebbe essere passibile di circostanze attenuanti o comunque non sarebbe punibile in assenza dell’elemento soggettivo del delitto consumato in quanto questo, si pone come obiettivo il mancato realizzarsi di attività di tipo criminoso.

Parte della dottrina sembra propendere per la sua punibilità in conformità del disposto dell’art. 110 c.p. esistendo in capo all’agente provocatore il dolo, l’intenzione di porre in essere quella determinata condotta criminosa, quindi egli sarebbe un vero e proprio concorrente nel reato. Se si partisse dal presupposto, avallato dalla Corte di Cassazione, secondo cui la condotta dell’agente in conformità a quanto disposto dall’art. 51 c.p. dovrebbe essere solo di controllo, osservazione, contenimento della condotta criminosa del provocato, si finirà per considerare come illecita qualsiasi tipo di condotta che integri l’estremo di provocazione o istigazione del provocato e poi reo in funzione della commissione di un delitto. La condotta dell’agente provocatore secondo la Corte Europea, dovrebbe consistere in una mera istigazione non determinante ai fini del reato.

Per ciò che concerne invece il provocato, si può affermare che la Corte Europea sostiene che qualora il reato non sarebbe stato compiuto senza provocazione da parte dell’agente, allora si configura l’art. 49 c.p. e quindi la fattispecie di reato impossibile con impossibilità appunto di punire il reo per la condotta assunta; se invece il reato fosse stato eseguito e voluto dal provocato, a prescindere dalla provocazione subita, allora questo risponderà secondo quanto previsto dal codice penale in relazione al fatto.

Un caso consueto quanto recente è quello evidenziato da una sentenza del 2011[2] avente ad oggetto un agente di polizia il quale cela la propria qualifica di ufficiale ed entra in contatto con un traffico criminale. L’obiettivo è quello di raccogliere prove utile e di far cogliere in flagranza i suoi interlocutori; egli per realizzare ciò svolge attività che, per la sua componente di “adesione fattiva” al comportamento criminoso, va ben oltre una ordinaria “indagine” su fatti commessi o in corso di realizzazione. Questo caso, è proprio l’emblema della fattispecie in cui l’agente, lungi dall’operare da semplice “infiltrato”, dà un contributo da considerarsi a tutti gli effetti concorsuale (art. 110 c.p.). Nella fattispecie su riportata però la punibilità dell’agente, anche se riconosciuta dalla giurisprudenza ritenente che non si possa applicare una scriminante putativa[3], non è presa in considerazione, essendo imputati unicamente i soggetti provocati. Il poliziotto agisce in questo caso al di fuori delle procedure stabilite dall’art. 97 d.p.r. 390/90 per le operazioni “sotto copertura”; egli ha intenzione di svolgere attività interlocutorie con la banda criminale, ma una volta fissato l’incontro questi gli offrivano alcune partire di droga che già detenevano, permettendo all’agente di far intervenire i colleghi al fine di arrestare i detenenti in flagranza di reato.

La Corte ha negato in questo caso qualsiasi tipo di provocazione da parte dell’agente sostenendo che il contributo offerto dall’agente, non aveva determinato in alcun modo la commissione di una fattispecie criminosa che senza il suo intervento non sarebbe stata realizzata e sostenendo la punibilità, per detenzione di sostanza stupefacenti, degli unici soggetti con cui l’agente era entrato in contatto.

Di recente, uno dei membri del partito Cinquestelle, si è dichiarato propenso ad inserire una figura nuova, attinente alla già esistente figura dell’agente provocatore, quale quella di agente corruttore il quale dovrebbe provare corrompere il parlamentare e qualora quest’ultimo cedesse si avrebbero i presupposti per poterlo indagare ed eventualmente arrestare per corruzione.

Rimane di dubbia qualificazione la punibilità o meno dell’agente provocatore; è dubbio appunto se esso possa rispondere in concorso di reato con il reo a norma dell’art. 110 c.p. o possa godere delle scriminanti o della non punibilità, per risolvere o almeno tentare di risolvere la problematica nel 2010 sono state tipizzate le ipotesi di intervento dell’agente provocatore come operatore sotto copertura in relazione ad alcuni tipi di reati.

[1] CEDU, 21 febbraio 2008, Pyrgiotakis c. Grecia; id, Banikovas c. Russia, 4 novembre 2010

[2] Cassazione penale, Sez. III, del 07 aprile 2011

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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