giovedì, Aprile 18, 2024
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La gestione delle crisi delle banche prima e dopo la Direttiva BRRD

  • IGli intermediari bancari e finanziari, al pari delle altre imprese, possono entrare in crisi. Per evitare che il dissesto di un singolo istituto abbia ripercussioni verso altri istituti di credito, minacciando la stabilità dell’intero sistema finanziario, sono state adottate -a livello internazionale ed europeo- diverse modalità di risoluzione delle predette crisi.

Un impulso importante si è avuto con la direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche e delle imprese di investimento (c.d. direttiva BRRD)[1], nonché con la direttiva relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (c.d. DGSD)[2] che hanno definito un quadro armonizzato di regole per la gestione degli istituti in deafult.

Prima di analizzare le linee di azione e gli strumenti adottati, occorre trattare le modalità d’intervento esistenti nel sistema vigente prima della normativa europea.

Ed, infatti, prima dell’entrata in vigore della direttiva BRRD, due erano le procedure messe in atto per la gestione delle crisi degli intermediari bancari e finanziari:

  • l’amministrazione straordinaria;
  • la liquidazione coatta amministrativa.

L’amministrazione straordinaria prevedeva la destituzione degli esponenti aziendali dalle loro cariche e il subentro di quelli straordinari.

Tale procedura poteva concludersi in tre modi:

  1. con la restituzione dell’amministrazione ordinaria agli organi rimossi in precedenza;
  2. con l’acquisizione dell’istituto da parte di altri intermediari;
  3. con la messa in liquidazione della banca[3].

La liquidazione coatta amministrativa, invece, era ed è tutt’ora una procedura concorsuale, confinalità liquidative, che determina,in presenza di crisi irreversibili,l’espulsione dell’intermediario insolvente dal mercato. Essa trova applicazione per determinate categorie di imprese,aventi in comune il fatto di esercitare un’attività di rilevanza pubblicistica: imprese bancarie, assicurative, di intermediazione finanziaria, enti pubblici, ecc.

Dal momento che il fine primario della procedurade quo è la tutela di un interesse pubblico, la liquidazione coatta amministrativa -a differenza del fallimento– è attribuita ad un’autorità amministrativa, cui è affidato il potere di emettere il provvedimento di liquidazione e di svolgere funzioni di vigilanza sull’intera procedura.

Queste erano le modalità di gestione delle crisi nel quadro antecedente la direttiva BRRD, oggetto di un radicale ripensamento dopo la crisi finanziaria del 2007/2008.

Pertanto, nel 2014, l’Unione Europea ha emanato la nota direttiva BRRD che ha ridefinito il quadro di regole per la gestione delle crisi bancarie.

Due sono le principali linee di azione adottate a livello europeo, aventi l’obiettivo di ridurre al minimo l’intervento da parte dello Stato[4].

La prima misura consiste nel fare ricorso al burdensharinge al bail-in che si ispirano ad un principio di condivisione degli oneri tra i privati, ovvero tra gli stessi azionisti, obbligazionisti e risparmiatori potenzialmente coinvolti nelle crisi bancarie. Più in dettaglio, prevedono che, prima di una ricapitalizzazione da parte dello Stato, le perdite di un istituto di credito in crisi debbano essere assorbite non solo dagli azionisti attraverso il capitale sociale, ma anche dai titolari di strumenti finanziari subordinati, mediante la conversione delle obbligazioni in azioni o per mezzo del loro azzeramento.

La seconda, invece, prevede la predisposizione di piani di risanamento e di risoluzione, nel caso in cui la crisi fosse irreversibile.

Il quadro normativo delineato a livello europeo prevede, tuttavia, oltre alla risoluzione, la possibilità di gestire una crisi ricorrendo ad una procedura nazionale che, per il nostro paese, è la liquidazione coatta amministrativa.

In ogni caso un intermediario può essere sottoposto a risoluzione quando si verificano congiuntamente le seguenti condizioni:

  • la banca è in dissesto o a rischio di dissesto (ad esempio, quando, a causa di perdite, l’intermediario abbia azzerato o ridotto in modo significativo il proprio capitale);
  • non si ritiene che misure alternative di natura privata quali l’acquisizione da parte di altri intermediari degli aumenti di capitale;
  • l’intervento di risoluzione è nell’interesse pubblico.

Sottoporre una banca a risoluzione significa avviare un processo di ristrutturazione avente il fine di evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento), a ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti. L’alternativa alla risoluzione, come detto, è la liquidazione. In particolare, in Italia, continuerà ad essere applicata la liquidazione coatta amministrativa quale procedura speciale prevista per le banche e gli altri intermediari finanziari, in alternativa al fallimento applicabile, invece, alle imprese di diritto comune.

Proprio quest’ultima soluzione è stata disposta nel 2017 per Veneto Banca s.p.a. e per Banca Popolare di Vicenza s.p.a.

Per queste banche, la BCE ha accertato il dissesto o il rischio di dissesto e, poiché non ricorrevano i presupposti per avviare una procedura di risoluzione, il MEF -dietro proposta della Banca d’Italia, in qualità di Autorità nazionale di risoluzione[5]-ha sottoposto le predette banche a liquidazione coatta amministrativa, che comporta, come detto in precedenza, l’uscita dal mercato dell’intermediario, nonché il trasferimento delle attività e delle passività ad un’acquirente, in questo caso ad Intesa Sanpaolo, intermediario selezionato sulla base di una procedura aperta, concorrenziale e non discriminatoria, in conformità con le disposizioni nazionali e sulla base delle valutazioni di compatibilità con le norme in materia di aiuti di Stato[6].

[1]La direttiva UE/2014/59 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento è stata recepita in Italia con il D.lgs. 180/2015 e il D.lgs. 181/2015.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02014L0059-20171228&from=BG

[2]La direttiva UE/2014/49 è stata recepita in Italia con il D.lgs. 30/2016.

[3] Per maggiori approfondimenti v., “La gestione delle crisi delle banche” in Banca d’Italia funzioni e obiettivi, pag. 75.

[4] Il c.d. bail-out. Per un maggior approfondimento sulla differenza tra ilbail-out e il bail-in v., TESSA. M., “Bail-in e Bail-out: le differenze” inWall Street Italia (2017), in cui si legge <<In pratica, con l’adozione dell’ultima normativa europea si passa dunque da un meccanismo di risanamento esterno (bail out) –che prevedeva un intervento diretto da parte dello Stato nel piano di salvataggio delle banche attraverso i soldi di tutti i contribuenti– ad uno strumento interno (bailin)– che vede il gli investitori delle banche stesse pagare di propria tasca per il fallimento dell’istituto>>.

[5] V., D.L. 99/2017, come convertito dalla L.121/2017.

[6] Sull’intera vicenda delle Banche Venete si rinvia alla Relazione sulla gestione e sulle attività della Banca d’Italia sul 2017 e si veda “Banca Borsa Titoli di Credito” in De Jure del 2018, pag 577.

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