mercoledì, Aprile 24, 2024
Di Robusta Costituzione

La non rieleggibilità del Capo dello Stato a tutela dell’equilibrio costituzionale: l’insegnamento del Presidente Sergio Mattarella

La non rieleggibilità del Capo dello Stato a tutela dell’equilibrio costituzionale: l’insegnamento del Presidente Sergio Mattarella[1]

La domanda è se si possa insegnare non la democrazia ma l’adesione alla democrazia: se si possa insegnare non che cosa è la democrazia ma ad essere democratici, cioè ad assumere nella propria condotta la democrazia come ideale, come virtù da onorare e tradurre in pratica. Più in generale e in breve, si tratta di sapere se gli ideali, le virtù, e in particolare la virtù politica, si possano insegnare oppure no” [2].

Tra poche settimane scade il mandato del Presidente Sergio Mattarella; il Capo dello Stato, in più circostanze[3], ha veicolato sotto diverse forme la volontà di escludere un secondo mandato, offrendo il più nobile degli insegnamenti: non soltanto ricordando a tutti l’importanza della temporalità delle cariche in un ordinamento democratico, ma anche, e forse soprattutto, offrendo l’esempio.

 

  1. Il Presidente della Repubblica nell’ordinamento italiano

Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale e, nel farlo, svolge sia la funzione di garanzia dell’ordinamento democratico, sia la funzione di coesione nella direzione dell’“armonico funzionamento dei poteri che compongono l’assetto istituzionale della Repubblica”[4]. L’istituto del Presidente della Repubblica è introdotto nella Carta costituzionale attraverso l’art. 87, che ne prescrive la “qualità[5] di Capo dello Stato e la funzione di rappresentanza dell’unità nazionale; tuttavia, il quadro complessivo delle norme costituzionali che lo riguardano ben descrivono tutte le sfaccettature di una “poliedrica funzionalità” [6].

La collocazione nel titolo VI -fra le “Garanzie costituzionali” – fa sì che quest’organo assuma la funzione di “Custode della Costituzione”. La carica del Presidente della Repubblica, quale organo di garanzia, è debitrice del pensiero schmittiano, ma da esso se ne discosta profondamente. Per Carl Schmitt[7], il Capo dello Stato è la sintesi delle forze politiche, per questo al di sopra delle parti, ma questa costruzione difettava sin dalla pietra angolare: il Capo dello Stato era eletto direttamente dal popolo; una legittimazione così forte che, unita alla facoltà di sospendere la Costituzione durante lo stato d’eccezione (ex art. 48 co. 2 della Costituzione di Weimar del 1919), pose fine alla Repubblica[8].

I Costituenti della Repubblica italiana, pur inserendolo accanto alla Corte costituzionale, hanno predisposto diversi meccanismi volti a non conferire all’istituto presidenziale un prestigio politico indipendente rispetto al Parlamento. Da questo discende l’art. 83 della nostra Costituzione, che prevede l’elezione del Presidente della Repubblica ad opera del Parlamento in seduta comune, in composizione allargata ai delegati delle Regioni e non dal popolo, proprio perché in quest’ultimo caso il presidente assumerebbe un prestigio politico svincolato dal Parlamento[9].

La collocazione nel Titolo II della parte seconda sull’Ordinamento della Repubblica (tra il titolo I dedicato al Parlamento ed il titolo III dedicato al Governo) ben descrive, invece, il ruolo di “anello di congiunzione” che assume il Capo dello Stato nella forma di governo parlamentare.

I poteri presidenziali sono estremamente ampi: pur presentando un nucleo centrale, si irradiano in ogni ramo dell’ordinamento, senza mai presentare il carattere dall’assolutezza. Le funzioni del Presidente della Repubblica intersecano ogni potere senza mai sovvertire il principio cardine della separazione dei poteri che contraddistingue l’ordinamento democratico di cui, anzi, ne è il garante. Tuttavia, la neutralità ed il ruolo di garante non devono indurre a considerare il ruolo del Capo dello Stato come una funzione passiva ed isolata all’interno dell’ordinamento: dalle parole di Franco Pierandrei emerge la  “funzione di coordinamento politico attivo” [10] del Presidente della Repubblica nei confronti degli altri organi dello Stato. Una funzione la cui importanza è maggiore nei momenti di crisi, tant’è che in tali casi svolge il ruolo di “reggitore dello Stato” (nella celebre definizione di Carlo Esposito)[11].

Quest’ultima definizione rievoca epoche passate, in cui la funzione del Capo dello Stato veniva svolta dal monarca: non bisogna dimenticare, infatti, che l’esistenza di un organo di vertice dello Stato, distinto dal governo, è un “residuo storico” tipico delle monarchie costituzionali ottocentesche [12]: la borghesia doveva far fronte a due esigenze contraddittorie, l’una consistente nel  garantire la concorrenza politica, l’altra consistente nel garantire la stabilità e l’unità dello Stato “impedendo che ogni crisi di governo di trasformasse in una crisi di Stato”[13].

Questa funzione è rimasta ed è stata depurata da ogni riferimento alla monarchia, per adattarla all’ordinamento a democrazia pluralista e, in particolare, alla forma di governo parlamentare. L’estrinsecazione della funzione di coordinamento politico attivo è connessa al “comportamento” delle forze politiche. Essa sarà tanto maggiore nei momenti di fragilità del sistema partitico[14] e, al contrario, si restringerà nei momenti in cui i partiti politici manifestano la loro forza e la loro capacità di indirizzamento politico. Si è detto che il ricorrere alla forza unificatrice del Capo dello Stato, volta a ricomporre il lacerante potere divisivo dei partiti, emerge quale “extrema ratio”, quale “strumento istituzionale di riserva[15]. Tale funzione riparatrice degli squilibri politici pericolosi per lo Stato, esclusivamente nei momenti di crisi, ben si estrinseca nella “qualità” di Capo dello Stato forgiata in un ordinamento a democrazia pluralista: esso è un organo di vertice che rappresenta l’unità della Repubblica, e di questa ne è simbolo. La parola greca, σύμβολον, deriva da σύν “insieme” e βάλλω “porre”, il significato è, quindi, più propriamente, quello di “mettere insieme” delle parti che altrimenti resterebbero separate (d’altro canto i partiti altro non sono che “partizioni” del popolo).

La modulazione dell’intensità dei poteri del Presidente della Repubblica deriva dall’elasticità con la quale sono intessuti i poteri presidenziali nell’ordito costituzionale. Il Presidente della Repubblica si muove, dunque, con fluidità nell’ordinamento, spesso traghettando, come un vascello, le forze contrapposte verso una ricomposizione unitaria dell’ordinario svolgimento della vita costituzionale. Questa fluidità emerge da un’attenta lettura della Costituzione, tanto da rendere spesso l’interpretazione dell’istituto del Presidente della Repubblica “difficile e sfuggente” [16], perchè intessuta a maglie larghe nella Costituzione, in modo da conferirle uno spazio di manovra. Come egregiamente ha scritto Pietro Faraguna, “la Costituzione ha costruito una rete di ponti tra gli organi costituzionali, in virtù della quale il Capo dello Stato può spaziare nell’intera estensione dell’ordinamento senza mai toccare l’acqua[17].

Ed è proprio questa elasticità (definita “fisarmonica presidenziale”)[18] che nel tempo ha visto modellare la funzione della figura presidenziale sia dall’interno che dall’esterno. Dall’interno, perché il carattere monocratico dell’organo ha consentito a ciascun Presidente di interpretare questo ruolo e cucirlo sulla propria personalità[19]; dall’esterno perché si è adattata ai mutamenti che lo stesso ordinamento costituzionale ha subìto.

 

  1. Il “correttivo presidenziale” e l’evoluzione della carica del Presidente della Repubblica

Quali mutamenti ha subìto l’ordinamento costituzionale? Ed in che modo si riflettono nella carica del Presidente della Repubblica?

Per rispondere a queste domande occorre preliminarmente specificare che la carica del Presidente della Repubblica, nell’ordinamento italiano, è strettamente connessa alla forma di governo parlamentare[20].

I Costituenti, per ribadire una netta separazione con il ventennio fascista, vollero far nascere la Repubblica su solide radici: da qui la scelta della forma di governo parlamentare[21]. Chiara e limpida era la volontà di porre il Parlamento, rappresentativo della sovranità popolare, al centro della Repubblica; di contro, il ruolo del Capo dello Stato, quale organo monocratico, aveva principalmente la funzione di rappresentare l’unità (per questo “rievocava”, mutata mutandis, la figura del monarca[22], pur discostandosene radicalmente).

Ma il legame tra il Parlamento ed il Presidente della Repubblica non è un legame di dipendenza: tutt’altro. L’istituto del Presidente della Repubblica si distacca dal Parlamento sia in itinere, attraverso l’elezione a scrutinio segreto e dalla previsione di maggioranze qualificate; sia al termine della carica attraverso la previsione del semestre bianco, istituito al fine di non permettere al Capo dello Stato di influenzare il Parlamento nella nomina del suo successore. Ciascun tassello costituzionale è, quindi, estremamente importante nella tessitura di pesi e contrappesi delle declinazioni del potere, volutamente inseriti nell’ordito costituzionale al fine di comporre un delicato equilibrio e che per questo, se modificati, rischierebbero di creare veri e propri vacat nell’ordinamento costituzionale, difficilmente risanabili.

Agli occhi dei lungimiranti Costituenti non è sfuggito, tuttavia, la debolezza della forma di governo parlamentare: consapevoli di ciò, costruirono la Presidenza della Repubblica non soltanto come il simbolo della continuità statuale, ma come coordinamento politico attivo, meccanismo definito come “correttivo presidenziale”[23] della forma di governo parlamentare.

Si è visto il forte legame tra il Presidente della Repubblica ed il sistema politico; occorre ora indagare su come questa carica abbia subìto una trasformazione e se questa sia dovuto proprio ad un mutamento della forza dei partiti. Durante la c.d. Prima Repubblica, infatti, la funzione del Presidente venne concepita come una garanzia notarile, di correttezza formale del gioco dei partiti nell’ordinamento democratico[24]. Con la transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, questa carica ha subìto, seppur non per propria volontà, una mutazione: l’intermediazione presidenziale nella politica attiva si è fatta sempre più ingerente: ingerenza spesso criticata ma a cui si è fatto -e si fa- ricorso continuamente, al fine di ristabilire l’ordine costituzionale.

Cosa è avvenuto in questi anni? Il passaggio al sistema maggioritario ed il crollo del precedente sistema dei partiti[25] ha fatto sì che i Presidenti Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi fossero i primi ad assumere un ruolo attivo e di protagonista[26]. Se durante la Prima Repubblica la forza dei partiti politici ha sempre impedito ogni protagonismo politico dei Presidenti (è il c.d. periodo di “partiti forti ed istituzioni deboli”), durante la Seconda Repubblica i partiti hanno perso notevolmente la loro forza perché non più espressione del “logos collettivo come espressione di identità[27], ma gruppi adesi intorno alla personalità di un leader. Proprio ciò ha reso necessario che i Presidenti assumessero le redini del sistema politico, ricucendo continuamente le maglie costituzionali[28].

Questa trasformazione del ruolo del Presidente della Repubblica, in un’ottica di un’accresciuta intermediazione presidenziale nella politica attiva, è stata ricondotta, da parte della dottrina, all’inesistenza, nel nostro ordinamento, di adeguati meccanismi di c.d. “razionalizzazione della forma di governo parlamentare”; meccanismi che inducono una maggiore responsabilizzazione dei partiti[29]. Se, difatti, la crisi dei partiti novecenteschi ha comportato degli squilibri non soltanto in Italia, nel sistema italiano quest’evento epocale non è stato controbilanciato dalla succitata responsabilizzazione. In Germania, ad esempio, è presente l’istituto della sfiducia costruttiva e l’obbligo di scioglimento nei casi di mancata elezione del nuovo Cancelliere[30]; mancando questi strumenti è stata la Presidenza della Repubblica, in Italia, ad aver sopperito a questo vulnus, attuando, di volta in volta, un ricomponimento costituzionale. Sul punto, si pensi a quante volte, negli ultimi anni, la composizione del governo è avvenuta attraverso una responsabilizzazione dei partiti “indotta” dal Presidente della Repubblica (sono i c.d. Governi di “unità nazionale”, “di responsabilità”, ecc.).

Questa mutazione a lungo andare potrebbe comportare una modifica della stessa forma di governo parlamentare, tant’è che in dottrina si è parlato di “torsioni presidenzialiste”[31], fino a coniare anche la provocatoria locuzione “Repubblica del Presidente[32].

 

 

  1. La non rieleggibilità del Presidente della Repubblica: l’importanza della temporaneità delle cariche democratiche

 

Il Presidente Sergio Mattarella, nel discorso tenuto presso la Sapienza-Università di Roma, fa presente che la limitazione stessa del potere avviene e dall’articolazione delle funzioni fra organismi diversi (pesi e contrappesi del potere), e dalla temporaneità delle cariche dello Stato e, non ultimo, dal senso della responsabilità.

La non rieleggibilità del Presidente della Repubblica, seppur non espressamente presente in Costituzione, è stata considerata come una consuetudine sino alla rielezione del Presidente Giorgio Napolitano. La discussione sull’inserimento o meno della non rieleggibilità in Costituzione fu oggetto di discussione in Assemblea costituente, che terminò con la decisione di non includere alcun divieto esplicito. La dottrina maggioritaria è sempre stata concorde nel considerare la non rielezione come “l’alternativa che meglio si conforma al modello costituzionale del Presidente della Repubblica”[33]; d’altronde, tutte le cariche democratiche sono tali in quanto elettive ed hanno una temporaneità definita ex ante: in particolare, quella del Presidente della Repubblica è tra le più lunghe del nostro sistema costituzionale, superata soltanto da quella dei giudici della Corte costituzionale (9 anni), e che, se paragonata alla durata – oramai pressoché annuale- del Governo, è davvero un’eternità. Se si pensa, inoltre, all’elasticità e alla cospicua concentrazione di poteri che detiene, nonché al fatto che questi poteri vengono concentrati in un’unica persona, si comprende come, seppure non espressamente previsto dalla Costituzione, la rieleggibilità sia stata considerata quantomeno inopportuna[34].

La scelta di 7 anni (ex art. 85 Cost.) non è casuale: 7 anni è il compromesso tra le esigenze derivanti dal necessario rispetto del principio democratico della temporalità delle cariche e l’opposta esigenza di stabilità. Giuseppe Ugo Rescigno ci spiega come queste due esigenze siano state trovate dai Costituenti nel settennato, essendo stati guidati dal “criterio di una durata superiore a quella delle Camere, ma non troppo più lunga di queste”[35]. La durata settennale fu giudicata sufficientemente lunga per garantire la continuità dello Stato, ma non così lunga da portare degli squilibri di potere. Ma vi è di più: la durata settennale del Capo dello Stato, seppur la più comune nelle odierne costituzioni[36], è presente già in un progetto di Costituzione elaborato da Carlo Alberto Biggini[37] nel 1943, introdotta di pugno dallo stesso Benito Mussolini[38]. Egli non solo prolungò fino a sette anni (dai 5 previsti dal Biggini) la durata della carica del Capo dello Stato, ma introdusse anche il correttivo della rieleggibilità per una sola volta[39].

L’istituto della Presidenza della Repubblica è una rielaborazione, in chiave assolutamente democratica, della figura del Capo dello Stato già presente in passato, e ciò che più contraddistingue la democraticità dell’istituto è proprio la previsione della temporaneità e dell’eleggibilità.

Ad una lettura olistica della Carta costituzionale, se le regole procedurali dell’elezione sono volte ad evitare un’istaurazione di un rapporto politico tra il Capo dello Stato ed il Parlamento, la non rieleggibilità consisterebbe nella più naturale interpretazione della Costituzione, che vuole, in tal modo, conferire una garanzia ulteriore della neutralità del Capo dello Stato[40].

Con riferimento allo stato d’emergenza, si è più volte fatto riferimento all’importanza della temporalità, ed anche qui la temporaneità emerge in tutta la sua forza: è la temporaneità a fornire l’equilibrio necessario nelle istituzioni democratiche.

La democrazia differisce dagli altri regimi ab imis dalla legittimazione popolare (che avviene attraverso l’elezione) e, in limine, proprio dalla temporaneità delle cariche. La temporaneità, agli albori della democrazia ateniese, consentiva la rotazione delle cariche ed oggi continua ad essere la colonna portante dell’architettura democratica da momento in cui interrompe il flusso di potere.

Tra i Presidenti che chiesero la non rieleggibilità troviamo Antonio Segni e Giovanni Leone, non casualmente richiamati dal Presidente Sergio Mattarella. In particolare, si può sottolineare come sempre la proposta della non rieleggibilità sia stata accompagnata anche dalla proposta dell’abolizione del semestre bianco. Quest’ultimo, considerato come una “limitazione del potere del presidente della Repubblica [..] pericolosissima[41] perché, privando il Capo dello Stato dell’arma dello scioglimento delle Camere per gli ultimi sei mesi della durata del suo mandato, apporterebbe uno squilibrio al sistema. Uno squilibrio che il Presidente Mattarella ha sentito ancor più fortemente in un momento così delicato per la storia della Repubblica, caratterizzato dalla concomitante proclamazione dello stato d’emergenza e dalla crisi di governo.

In particolare, Antonio Segni propose queste modifiche inviando, il 18 settembre del 1963, un messaggio al Parlamento[42] contenente diverse proposte di c.d. “perfezionamento” della Costituzione, ma tale messaggio rimase fuori dai lavori parlamentari e la volontà di apportare modifiche alla Costituzione proposta dal Capo dello Stato, in quanto organo di garanzia, venne considerata poco opportuna[43].

 

  1. La rieleggibilità del Capo dello Stato: Tamquam e sepulcro dell’equilibrio costituzionale?

Stante la trasformazione che la carica ha subìto, il secondo mandato, come sembrerebbe emergere dal patrum uestroque antiquos mores sumere del Capo dello Stato, sarebbe costituzionalmente preoccupante perché significherebbe non bilanciare i poteri del Presidente della Repubblica -a maggior ragione durante lo stato d’emergenza- con l’unico importante limite: la temporaneità.

L’unica rielezione del Presidente della Repubblica è avvenuta con il doppio mandato del Presidente Giorgio Napolitano, definito da Gino Scaccia[44]spiegabile in ragione dell’emergenza, dell’eccezionalità della situazione politica, economica e sociale[45] dell’epoca.

Commentando, sempre nel 2013, tale (ri)elezione, Gino Scaccia non si esime, però, dal commentare: “Quando, però, con il tempo, si saranno disperse nell’oblio le ragioni di opportunità contingente che hanno portato a derogare alla regola consuetudinaria della non rinnovabilità del mandato presidenziale, resterà il valore di un evento che ha fatto venire meno un elemento di equilibrio diacronico nel rapporto capo dello Stato – Governo”[46] . Sul punto, l’insegnamento del Presidente Sergio Mattarella è ancor più lodevole: proprio durante il funzionamento non fisiologico dell’ordinamento -lo stato d’emergenza- egli ribadisce l’importanza dell’equilibrio e del rispetto del funzionamento ordinario dell’ordinamento costituzionale, e lo fa partendo da se stesso, con una lodevole assunzione di responsabilità.

Il Presidente Mattarella sembra dire, tra le righe, che anche le consuetudini costituzionali fanno parte della Costituzione materiale, e che questa deve essere rispettata sempre: ancor più in un momento così difficile per la storia delle democrazie occidentali.

Ciò assume ancora più significato qualora si rifletta sulla sede ove si è tenuta tale lectio magistralis: l’Università degli studi “Sapienza” dove il Presidente ha studiato ed ove è tornato, da Presidente e contemporaneamente da umile studente, a darci un illustre insegnamento, formando una ringkomposition allo stesso tempo istituzionale e personale.

Abbiamo aperto il contributo con la domanda di Gustavo Zagrebelsky, “se si possa insegnare non che cosa è democrazia ma ad essere democratici, cioè ad assumere nella propria condotta la democrazia ideale, come virtù da onorare e tradurre in pratica”. L’insegnamento del Presidente Sergio Mattarella sembra possa essere racchiuso proprio da quelle parole che si uniscono naturalmente alla figura del Presidente della Repubblica: equilibrio, misura, temporaneità del potere, responsabilità.

Grazie, Presidente.

 

 

 

[1] Rinnovo il mio ringraziamento, questa volta per il reperimento di una preziosa fonte utilizzata nella bibliografia, al Cav. Avv. Eros Fioroni.

[2]G. Zagrebelsky, Imparare la democrazia, Introduzione di Eugenio Scalfari, La Biblioteca di Repubblica Idee, Mondadori, Verona, 2005, p. 44.

[3] Il Presidente Sergio Mattarella durante il 2021 ha ribadito più volte la volontà di non essere rieletto per un secondo mandato; in particolare, a febbraio del 2021, in occasione dei 130 anni della nascita del quarto Presidente della Repubblica Antonio Segni, aveva sottolineato la proposta di Segni di introdurre nella Costituzione il principio della “non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica”. Mattarella: “Anche Leone chiese la non rieleggibilità del Presidente” – la Repubblica( u. c. 12/12/2021).

[4]Sentenza Corte cost., n. 1/2013, § 8.2. del “Considerato in diritto”: “il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale non soltanto nel senso dell’unità territoriale dello Stato, ma anche, e soprattutto, nel senso della coesione e dell’armonico funzionamento dei poteri, politici e di garanzia, che compongono l’assetto costituzionale della Repubblica”.

[5] G. U. Rescigno, Corso di diritto pubblico, XIII ed., Zanichelli, Bologna, 2010, p. 427 ss. L’Autore specifica come l’attribuzione della “qualità” di Capo dello Stato, non aggiunga nulla alla figura del Presidente della Repubblica e come, contrariamente ad un pregiudizio comune, sia possibile concepire uno Stato senza capo (p. 429). non sia necessaria.

[6]La “poliedrica funzionalità” è espressione di A. Morrone: A. Morrone, Il Presidente della Repubblica in trasformazione, in Rivista AIC, n. 2/2013, disponibile qui (u. c. 12/12/2021) M Rivista AIC – Il Presidente della Repubblica in trasformazione.

[7] C. Schmitt, Il custode della Costituzione, Collana Civiltà del diritto, Giuffrè, Milano, 1981.

[8] Questa non era, tuttavia, l’unico tallone d’Achille dell’elaborazione schmittiana, ma non si può in questo contesto procedere ad un’accurata ricostruzione. Quel che si vuole sottolineare è come l’ordinamento italiano abbia fatto ricorso ad un sistema “ibrido” prevedendo come garanzie costituzionali sia il Presidente della Repubblica sia la Corte costituzionale (per quest’ultima, seguendo quindi il modello kelseniano di giustizia costituzionale).

[9] G.U. Rescigno, op. cit., p. 2010.

[10] F. Pierandrei, Corte costituzionale (ad vocem), in Enciclopedia del Diritto, X, Milano, 1962, p. 874 ss.; spec. p. 896. L’autore specifica come invece la Corte costituzionale ha un “compito di coordinamento giuridico, di carattere giurisdizionale”.

[11] C. Esposito, Capo dello Stato, in Enc. Dir. VI, Milano, 1960, spec. p. 224 ss.

[12] G. U. Rescigno, op.cit., 2010.

[13] G. U. Rescigno, ibid.

[14] Sul punto, A. Barbera, Costituzione della Repubblica italiana, in Enc. Dir., Annali, VII, 263 ss., spec. p. 313, ha specificato che “il ruolo del Capo dello Stato si allarga e si restringe in ragione del comportamento degli altri due poteri costituzionali, il Parlamento e il Governo, vale a dire, aggiungiamo, in ragione della forza o della fragilità del sistema partitico”.

[15] G. U. Rescigno, op. cit., 2010, p. 430.

[16] L. Paladin, Il Presidente della Repubblica, in Enc. Dir., XXXV, Giuffrè editore, Milano, 1986, p. 236; allo stesso modo si veda: R. Nania, Presidente della Repubblica e assetto politico costituzionale: a proposito di un libro sul tema, in Osservatorio Costituzionale AIC, Dicembre 2014, disponibile qui (u. c. 12/12/2021): 12.2014 Nania_.pdf (osservatorioaic.it). Queste caratteristiche non la rendono comunque “evanescente”. Fu Meuccio Ruini a specificare la non evanescenza della più alta carica dello Stato: “Il presidente della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre costituzioni. Mentre il Primo Ministro è il capo della maggioranza e dell’esecutivo, il Presidente della Repubblica ha funzioni diverse, che si prestano meno ad una definizione giuridica di poteri. Egli rappresenta e impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra delle mutevoli maggioranze”. (Si sottolinea, però, come Meuccio Ruini fosse, in realtà, in Assemblea Costituente tra i fautori del sistema presidenziale.

[17] P. Faraguna, Ai confini della Costituzione, Principi supremi e identità costituzionale, Franco Angeli. Milano, 2015, p. 115.

[18] La definizione, o meglio l’uso dell’immagine della “fisarmonica” è da attribuirsi a Giuliano Amato, così come esplicitato da G. Pasquino, La fisarmonica del Presidente, in La rivista dei libri, 1992, n. 3, p. 8 ss.

[19] Difatti, la carica del Presidente della Repubblica, a causa del suo carattere monocratico, è fortemente condizionata anche dalla personalità che la interpreta; non a caso un orientamento dottrinale interpreta la figura del capo dello Stato ricomprendendo, oltre a quanto espressamente definito in Costituzione, anche l’interpretazione che di questa carica è stata data, nel tempo, dai diversi Capi dello Stato. Sul punto: V. Lippolis, Il Presidente della Repubblica, in Rivista AIC, n. 3/2018, Il Presidente della Repubblica, in Rivista AIC, n. 3/2018, disponibile qui ( u.c. 12/12/2021) Rivista AIC – IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.

[20] M. Giannetto, Forma di governo e presidente della Repubblica nel progetto di Costituzione dell’Assemblea costituente, in S. Cassese, G. Galasso, A. Melloni (a cura di), I Presidenti della Repubblica, Il capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia italiana, vol. II, Il Mulino, Bologna, 2018, pp. 1021- 1033.

[21]G. Galasso, Il presidente e la storia della Repubblica, in S. Cassese, G. Galasso, A. Melloni, (a cura di) I presidenti della Repubblica, Il capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia italiana, vol. I, op. cit., p. 1-32.

[22] M. Giannetto, Forma di governo e presidente della Repubblica nel progetto di Costituzione dell’Assemblea costituente, op. cit., 2018, p. p. 1022 ss.

[23] V. Lippolis, Il Presidente della Repubblica, op.cit..,2018, p. 3.

[24] E. Bindi, M. Perini, Il Capo dello Stato: notaio o sovrano? Torino, 2015, p. 74 ss.

[25]L’inizio della c.d. Seconda Repubblica si fa coincidere con il crollo dei partiti novecenteschi. La crisi di rappresentanza, unita all’avvento del c.d. “partito personale” hanno fatto crollare drasticamente la forza dei partiti. Il partito personale è stato inaugurato, in Italia, da “Forza Italia” (leader Silvio Berlusconi), si veda M. Calise, Il partito personale, Editori Laterza, Roma- Bari, nuova ed. 2010. Più in generale, sulla crisi di rappresentanza dei partiti, si veda: G. Pasquino, Partiti, società civile, istituzioni e il caso italiano, in Stato e mercato, il Mulino, 1983, pp. 169-205, spec. p. 179, disponibile su .

[26] V. Lippolis, G.M. Salerno, La repubblica del Presidente, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 24. In realtà, il c.d. “allargamento istituzionalizzato dei poteri” (L. Elia) è iniziato con le Presidenza Gronchi e Perini e durante la prima parte della Presidenza Cossiga: costoro fecero un uso sempre più accentuato del potere di esternazione “quale risorsa di legittimazione popolare per rendere pubblici e comprensibili obiettivi e passaggi istituzionali” (M. Giannetto, op. cit., 2018, p. 1022 e 1029).

[27] In particolare, nel partito c.d. personale “al posto del logos collettivo come principio di identità, c’è l’irruzione dell’io”: M. Calise, La democrazia del LEADER, Editori Laterza, Roma- Bari, 2016, p. 4.

[28] V. Lippolis, G.M. Salerno, ibid.

[29] R. Nania, op. cit., 2014, p. 7.

[30] R. Nania, ibid.

[31] V. Lippolis, Il Presidente della Repubblica, op. cit., 2018.  Sulla scelta della forma di governo parlamentare a scapito della forma di governo presidenziale mi sia consentito rimandare ad un mio precedente contributo su questa rivista, F. Cerquozzi, Ricondurre la Crisi di governo nelle maglie costituzionali: analisi giuridica della pars destruens e della pars costruens, Ius in Itinere, 6/09/2019, disponibile qui: Ricondurre la Crisi di governo nelle maglie costituzionali: analisi giuridica della pars destruens e della pars construens – Ius in itinere

[32] V. Lippolis, G.M. Salerno, op. cit. p 10: “Si può dire in un gioco di parole che l’inadeguatezza e il fallimento della politica dei partiti ha talmente rafforzato la figura del presidente della Repubblica da dare vita ad una Repubblica del Presidente”.

[33]L. Paladin, Presidente della Repubblica (voce) in Enc. Dir., Milano, 1985, p. 183.

[34] G. Scaccia, La storica rielezione di Napolitano e gli equilibri della forma di governo, in Rivista AIC, n. 2/2013, p. 1, disponibile qui: (u.c. 12/12/2021) Microsoft Word – Q1_2013_Scaccia.doc (rivistaaic.it): “È infatti consigliabile evitare che l’organo personale al quale la Costituzione assicura il mandato più lungo possa detenere una quota tanto rilevante di poteri – di influenza, mediazione, regolazione – per un periodo approssimativamente corrispondente a tre legislature”.

[35] G. U. Rescigno, op. cit., 2010, p. 433.

[36] S. Mura, Antonio Segni, in S. Cassese, G. Galasso, A. Melloni, (a cura di) I Presidenti della Repubblica, vol. I, 2018, p. 195-220, spec. p. 216.

[37] R. Bonini, La Repubblica Sociale Italiana e la socializzazione delle imprese, G. Giappichelli Editore, Torino, 1993, p. 156.

[38] R. Bonini, ibid.

[39] R. Bonini, ibid.

[40] G. Scaccia, op. cit., 2013.

[41] Giuseppe Maranini, in risposta al Presidente Antonio Segni, che gli chiedeva di riflettere sulle “eventuali rettifiche marginali della Costituzione” (S. Mura, op. cit., 2018, p. 215- 216).

[42] Era la prima volta che il Presidente della Repubblica indirizzasse alle camere una serie di proposte di modifica della Costituzione, proposte che, si sottolinea, erano stata vagliate da diversi autorevoli giuristi. Sul punto, si veda S. Mura, op. cit., p. 215.

[43] S. Mura, ibid.

[44] G. Scaccia, op. cit., 2013, p. 4.

[45] G. Scaccia, ibid.

[46] G. Scaccia, ibid.

Fonte immagine: https://www.flickr.com/  Visita de Estado del Presidente de la República Italiana, … | Flickr

Flaviana Cerquozzi

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università La Sapienza di Roma nel 2023, con una tesi in diritto costituzionale, dal titolo   "La teoria dei controlimiti: la tutela della democrazia sostanziale ad extra", relatore Prof. Gaetano Azzariti, correlatore Prof. Alessandro Somma. E' specializzata in giustizia costituzionale presso l'Università di Pisa, autrice di numerosi articoli divulgativi e scientifici di Diritto Costituzionale. Attualmente svolge la pratica forense presso il Foro di Roma ed è Responsabile diritto costituzionale presso questa rivista. Da luglio 2023 cura la rubrica "DI ROBUSTA COSTITUZIONE" presso Ius in Itinere, che di seguito viene illustrata:

"La nuova rubrica di Ius in Itinere nasce dall’esigenza di riservarsi un momento di critica riflessione sui principi fondativi della nostra convivenza.
Lungi dall'essere "carta morta", gli insegnamenti costituzionali sono sempre vivi: la loro continua divulgazione ed attualizzazione -che questo spazio promuove- ne "irrobustirà" la necessaria conoscenza".
flaviana.cerquozzi@iusinitinere.it

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