giovedì, Aprile 25, 2024
Litigation & Arbitration

La sorte delle dichiarazioni rese dall’imputato: la disciplina normativa del divieto di testimonianza.

Spesso accade che la polizia giudiziaria si rivolga alla persona sottoposta alle indagini al fine di ottenere informazioni circa una notitia criminis ad essa pervenuta e, ancora più spesso accade che l’indagato, in preda ad uno stato di stress, renda delle dichiarazioni pregiudizievoli nei suoi confronti.

Ebbene, se si attribuisse pieno valore a tali affermazioni, l’indagato si sarebbe, per così dire, rovinato con le sue stesse mani.

Può il sistema processuale penale correre questo rischio?

La risposta deve essere, certamente, negativa. Proprio a tal fine è stata introdotta la disciplina normativa prevista dagli articoli 62 e 63 del codice di procedura penale.

L’art. 62 c.p.p. 1 comma recita: “Le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza”.

Dunque la norma include nel suo ambito di applicazione qualsiasi tipo di dichiarazione resa, sia quella sollecitata, sia quella fornita di propria iniziativa.

Inoltre, chiaramente, la norma si rivolge a coloro a carico dei quali, per effetto delle dichiarazioni rese, emergano indizi di reità e di coloro che sin dall’inizio dovevano essere ascoltati in qualità di persona sottoposta alle indagini o di imputato ma che non hanno subito tale trattamento in virtù di un erroneo comportamento dei soggetti interroganti.

Rientrano nella sfera di applicazione dell’art. 62 c.p.p. anche le dichiarazioni rese nel corso del procedimento alla polizia giudiziaria e alle altre persone abilitate a riceverle, spesso in assenza del difensore.

A tal proposito una interpretazione estensiva è stata adottata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 237 del 13 maggio del 1993.

La Corte ha dichiarato che il divieto di testimonianza deve estendersi anche ad ogni altra persona che abbia ricevuto le dichiarazioni spontanee o sollecitate, necessariamente in sede processuale e, dunque, in occasione di un atto del procedimento. Pertanto, sono escluse le cosiddette “res gestae”, ovvero le affermazioni rese prima o al di fuori del procedimento.

Il divieto è piuttosto rigido e ha una natura oggettiva, motivo per cui si ritiene che debba trovare applicazione anche nei confronti di chi riferisca ciò che ha appreso da altri in merito al contenuto delle dichiarazioni dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini.

Cosa accade nel caso in cui ci si trova dinanzi ad una chiara inosservanza del divieto?

Il sistema processuale non può certo rimanere inerme, per cui ha previsto la regola della inutilizzabilità della dichiarazione resa ex art. 191 comma 1 c.p.p.

Non dobbiamo dimenticare, infine, il contributo fornito dalla direttiva europea n. 93 del 2011 in materia di lotta all’abuso e allo sfruttamento dei minori: è stato, così, introdotto un secondo comma all’art. 62 c.p.p. in cui si contempla l’eventualità che l’imputato si sottoponga al un programma di prevenzione della recidiva per i reati in materia sessuale a danno dei minori, prima che sopravvenga una sentenza irrevocabile. Ebbene l’art. 62 secondo comma ha dettato la regola della inutilizzabilità anche per le dichiarazioni rese nel corso di tali programmi terapeutici.

La disciplina dell’art. 62 è però completata da quella dell’art. 63 c.p.p., relativa alle cosiddette dichiarazioni indizianti.

Tale norma va a dare attuazione ad un principio di carattere generale, espresso dall’art.198 comma 2 c.p.p., in base al quale nessuno è obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale.

Per quanto riguarda i confini della norma, possiamo evidenziare come questa si riferisca anche alle sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria ex art. 351 c.p.p., al contrario, non si applica alle dichiarazioni rese al giudice civile o al curatore fallimentare.

La norma si applica, dunque, nei confronti di chi ha già commesso un reato al momento della dichiarazione, sebbene questo sia ignoto alla autorità procedente.

Tre sono i fondamentali obblighi a carico di tale autorità, una volta delineatisi gli indizi di reità a carico del dichiarante.

In primo luogo è doveroso interrompere l’esame, al fine di fornire al dichiarante il tempo necessario a dotarsi di un difensore.

In secondo luogo, mutata la vesta processuale del soggetto che ha reso le dichiarazioni, questo dovrà essere avvertito che potranno essere svolte delle indagini nei suoi confronti.

Desta qualche perplessità, invece, l’assenza di qualsiasi riferimento all’obbligo di avvertire l’indiziato che le “sue dichiarazioni potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti”.

Tale regola è prevista dal solo art. 64 c.p.p. in merito all’interrogatorio, per cui l’indiziato non sarà avvisato degli effetti pregiudizievoli che potranno derivare dalle ulteriori dichiarazioni rese prima dell’interrogatorio o dalle sommarie informazioni.

Infine, abbiamo il terzo obbligo, ovvero quello di invitare il dichiarante a dotarsi di un difensore.

Evidenziamo una evidente disparità di trattamento: nel caso in cui ci si trovi dinanzi ad una comune notizia di reato, infatti, l’invito a nominare un difensore si avrà solo al momento della informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p., da inviarsi a partire dal primo atto per cui è prevista l’assistenza del difensore.

Tuttavia la particolarità della regola descritta dall’art. 63 c.p.p. si ritrova in tale inciso, contenuto nel primo comma: “Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese.”

Ebbene qual è l’elemento su cui dobbiamo soffermarci?

La peculiarità è data dal fatto che ci troviamo dinanzi ad una inutilizzabilità relativa e non assoluta come quella dell’art. 62.

La ratio sottesa è quella di salvaguardare la libertà di autodeterminazione di chi, se avesse avuto consapevolezza del proprio status, avrebbe potuto esercitare il diritto al silenzio.

Tale limite soggettivo viene meno, però, nel secondo comma dell’art. 63 c.p.p., che adotta la regola della inutilizzabilità assoluta stabilendo: “Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate”.

Anche in questo caso, infatti, ci troviamo dinanzi ad una omissione della autorità procedente, che ha disatteso, erroneamente, l’applicazione delle regole in materia.

In tal modo si garantisce l’inutilizzabilità anche nei confronti di coloro che sono rimasti coinvolti dalle dichiarazioni indizianti, proprio al fine di sanzionare quei comportamenti diretti ad ottenere delle dichiarazioni accusatorie nei confronti di terzi.

Infine, vale la pena ricordare che, a giudizio delle Sezioni Unite della Cassazione, l’accertamento della qualità soggettiva del dichiarante spetta solo ed esclusivamente al giudice di merito e dovrà essere effettuato sulla base di requisiti sostanziali, indipendentemente, quindi, da indici formali quali l’iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato.

 

 

 

Claudia Ercolini

Claudia Ercolini, ha ventiquattro anni ed è laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti. Il suo obiettivo è accedere alla magistratura, la considera la carriera più adatta alla sua personalità, al suo istinto costante di ricercare meticolosamente le ragioni alla base di ogni problema. Svolge il tirocinio presso la Procura generale della corte di appello. Ha partecipato al progetto Erasmus in Portogallo dove ha sostenuto gli esami in lingua portoghese e ha proceduto alla scrittura della tesi. Ha deciso di fare questa esperienza all’estero per arricchirsi e scoprire come viene affrontato lo studio del diritto al di fuori dell’Italia. Ha conseguito il livello B2 di lingua inglese presso il British Council e il livello A2 di lingua portoghese. La sua tesi di laurea è relativa ad una recente legge di procedura penale: il proscioglimento del dibattimento per tenuità del fatto. Con questa tesi ha coronato quello che rappresenta il suo sogno sin da bambina: si è iscritta, infatti, a giurisprudenza proprio per la sua passione per il diritto penale, per il suo forte carattere umanistico e perché da sempre si interroga sul connesso concetto di giustizia. E ‘ membro della associazione ELSA che le ha permesso di partecipare alla “moot competition” relativa al diritto internazionale. Ha già partecipato alla stesura di articoli di giornale relativi al diritto penale e alla procedura penale. Le è sempre piaciuto scrivere, anche semplici pensieri e riflessioni, conciliare dunque la scrittura con la materia che maggiormente la fa sentire viva, rappresenta per lei una grandissima soddisfazione. Chiunque la volesse contattare la sua mail è: claudia.ercolini@virgilio.it

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