martedì, Dicembre 10, 2024
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Land grabbing: uno sguardo sulla disciplina europea

Il presente articolo rappresenta il secondo contributo dedicato a tre aspetti peculiari del land grabbing: mentre nel primo[1] si è avuto modo di scandagliare la disciplina internazionale volta a regolamentare – direttamente o indirettamente – il fenomeno, avendo cura di evidenziarne punti di forza e di debolezza, in questa sede, invece, seguendo il medesimo approccio critico, si analizzeranno le iniziative dell’Unione Europea volte sia a regolare gli investimenti dei Paesi membri in nazioni estere sia a impedire approcci invasivi da parte di soggetti extra – UE interessati all’acquisto o affitto di terreni coltivabili.

D’altra parte, la situazione europea in merito alle terre coltivabili, senza tener conto del land grabbing, genera di per sé alcune preoccupazioni: come sottolineato in un Report del 2013[2], infatti, circa il 3% dei proprietari di terreni agricoli detiene oltre il 50% della superficie coltivabile in Europa. Inoltre, contrariamente a quanto si pensi, quanto accade nel Vecchio Continente sul fronte del land grabbing rappresenta un’evidente conferma della trasversalità del fenomeno; come si vedrà a breve, infatti, i medesimi Stati svolgono contemporaneamente il ruolo di Paesi investitori e ‘target’.

Gli atti normativi adottati nonché l’atteggiamento tenuto dalle istituzioni europee, di conseguenza, hanno risentito di tale duplice ruolo degli Stati membri.

La (non) regolamentazione degli investimenti agricoli ‘in uscita’

Al momento in cui si scrive non esiste ancora un singolo atto normativo dell’Unione Europea riguardante gli investimenti nell’acquisto o affitto di terre coltivabili da parte di nazioni europee in paesi terzi. La destinazione di ingenti somme per interventi nel continente africano o in America Latina è del tutto svincolata da controlli o restrizioni a livello europeo: l’UE non è legittimata da decisioni, direttive, regolamenti o norme di diritto primario ad intervenire sul punto.

Eppure un quadro normativo – anche minimale – sul tema sarebbe opportuno.

Gli ultimi dati disponibili[3], oltre a mostrare un incremento generale del land grabbing, infatti, collocano Regno Unito e Spagna tra i dieci paesi con più accordi conclusi ed investimenti realizzati, con circa dodici milioni di ettari acquistati o affittati. Le iniziative dei Paesi UE, inoltre, sono la dimostrazione plastica che l’idea del land grabbing funzionale alla coltivazione per il sostentamento umano non riflette, ad oggi, la prassi operativa del fenomeno.

Osservando i dati disponibili, infatti, si conferma che, pur essendo vero che il 78% delle terre oggetto di land grab sono usate per agricoltura intensiva, ¾ delle coltivazioni sono riservate alla produzione di biocarburanti, come l’etanolo, mentre il restante 22% è impiegato a fini industriali, turistici o per l’estrazione mineraria[4]. Ciò consente, dunque, di ritenere applicabile agli investimenti europei quantomeno i regolamenti e/o le direttive in materia di produzione di carburanti da piante e, in generale, la produzione energetica tramite fonti rinnovabili.

Tra gli atti più rilevanti sul punto spicca, di conseguenza, la direttiva 1513/2015 – anche conosciuta come “direttiva sulla qualità dei carburanti” – con la quale sono state emendate due precedenti direttive[5] e sono state fornite alcune linee guida sulle coltivazioni di piante per la produzione di carburanti meno inquinanti. La dottrina più accorta[6] ha evidenziato, peraltro, come la direttiva stessa riconosca che tali investimenti “are mostly expected to take place outside the Union[7] e, inoltre, che dovrebbe essere “assicurata una relazione sostenibile tra la produzione di biocarburanti e la protezione dell’ambiente[8].

Tuttavia, anche volendo trarre da tale documento il maggior numero di indicazioni possibili, l’approccio seguito dall’UE sugli acquisti o affitti di terreni agricoli da parte di Stati membri, società o assicurazioni aventi sede in un Paesi dell’Unione Europea è stato marginale e limitato.

L’attenzione verso gli investimenti ‘in entrata’ e il ruolo dell’acquis comunitario

Ben più fecondo ed interessante è stato, invece, il dibattito attorno ai fenomeni di land grabbing “in entrata” rispetto al quale le istituzioni europee sono – tuttora – alla ricerca di un difficile bilanciamento tra la libertà di investimento e di circolazione e la protezione dei cittadini, dell’economia di mercato e dei piccoli proprietari terrieri. Già nel 2015, infatti, il Comitato economico e sociale europeo aveva “ravvisa[to] un grave pericolo nell’elevata concentrazione dei terreni — anche in alcune parti dell’Unione europea — nelle mani di grandi investitori non agricoli e di grandi aziende agricole”[9].

È, però, in una comunicazione della Commissione Europea del 2017[10] che l’accaparramento dei terreni coltivabili viene confrontato con i principi cardine dell’ordinamento europeo. Dopo aver precisato che gli acquisti o affitti di terreni compiuti da investitori intra – UE usufruiscono della libera circolazione dei capitali nonché della libertà di stabilimento, l’indagine, infatti, viene incentrata sulla centralità dell’acquis comunitario nel ramo agricolo.

La modesta rilevanza pratica del land grabbing in Europa – concentrato, come visto poc’anzi, principalmente nelle nazioni dell’Est europeo – viene giudicato un riflesso positivo dell’acquis comunitario. Come è noto, infatti, nel momento in cui una nazione entra nell’Unione Europea, essa deve adeguarsi ad una lunga serie di diritti, obiettivi ed obblighi giuridici (regolamenti, direttive e decisioni).

Nel periodo transitorio successivo all’entrata nell’Unione di Paesi come Ungheria, Romania o Polonia, dunque, sono stata adottate nuove leggi fondiarie e regimi restrittivi della concorrenza per evitare una concentrazione dei terreni in capo ad investitori esteri dovuta a prezzi irrisori dei fondi agricoli. È evidente, però, come, terminato tale lasso di tempo, trovino spazio una serie di caratteri ontologici e storici irrinunciabili per l’Unione Europea (basti pensare alla libera circolazione dei capitali).

A conclusione della comunicazione n. 2017/C350/05, perciò, la Commissione delinea una nutrita serie di suggerimenti, rivolti agli Stati membri, per bilanciare gli investimenti esteri sui terreni con i diritti delle popolazioni locali[11].

Ora, sebbene alcuni punti necessitino di una cornice normativa adeguata (come, ad esempio, nella previsione di eventuali diritti di prelazione sui terreni da riservare alle popolazioni locali), per molti aspetti sarebbe possibile raggiungere un soddisfacente livello di intesa che conduca ad una direttiva o, eventualmente, ad un regolamento volto a prevenire un land grabbing selvaggio ed a regolamentarlo.

Tale volontà, tuttavia, dovrebbe essere incanalata verso un prodotto legislativo di qualità e non affrettato poiché, come visto in precedenza, stante il quadro normativo e di principi attuale, non paiono esserci seri rischi di un accaparramento paragonabile a quello africano o sud – americano. Simile ragionamento, invece, non sembra valere per il land grabbing ‘in uscita’: la piena libertà degli Stati membri di investire senza curarsi dei risvolti ambientali, sociali ed umani cozza con la centralità che tali temi hanno in seno alle istituzioni europee, nei trattati e, infine, nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

[1] https://www.iusinitinere.it/land-grabbing-una-panoramica-sul-diritto-internazionale-21593

[2] Si tratta del Report “Land concentration, land grabbing and people’s struggles in Europe” realizzato dal Transnational Institute (TNI), liberamente consultabile qui: https://www.tni.org/files/download/land_in_europe-jun2013.pdf

[3] Portale Land Matrix, ultima data disponibile: 28/05/2019

[4] H. MANN – C. SMALLER, Foreign land purchases for agriculture: what impact on sustainable development?, in UN Department of Economic and Social Affairs Publications, 2010, p. 2

[5] Precisamente le direttive nn. 70/1998 riguardante la qualità dei carburanti più usati nei veicoli (benzina e diesel) e 28/2009 sulla promozione dell’uso di energie da fonti rinnovabili.

[6] P. ACCONCI, Biofuel production through sustainable investments from the standpoint of the European Union, in Rivista di Diritto Internazionale, Fasc. 4/2017, p. 1040 ss.

[7] V. Punto 12 della Direttiva n. 1513/2015

[8] P. ACCONCI, Ult. Op. cit., p. 1057

[9] Parere del 21 Gennaio 2015 su “L’accaparramento di terreni: un campanello d’allarme per l’Europa e una minaccia per l’agricoltura familiare” Punto 1.4 delle Conclusioni.

[10] “Comunicazione interpretativa della Commissione sull’acquisizione di terreni agricoli e il diritto dell’Unione Europea” n. 2017/C350/05 del 18 ottobre 2017.

[11] Come la subordinazione delle grandi acquisizioni ad autorizzazioni amministrative, la previsione di diritti di prelazione o di privilegi ad hoc per i coltivatori locali, un controllo stringente sui prezzi corrisposti in caso di cessione di terreni agricoli, la previsione di obblighi di residenza o di coltivazione, l’introduzione di massimali alle acquisizioni, il divieto di vendita alle persone giuridiche.

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