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L’evoluzione del diritto alla riservatezza: il contesto italiano

Avere uno o più profili social oggi è “normale”, soprattutto per i giovani, ma allo stesso tempo ciò che non è normale è la quantità di dati che diffondiamo, coscientemente o meno, nel web. Ultimamente, spesso, si parla di diritto alla riservatezza, ma per comprendere effettivamente la sua importanza si deve pensare alle azioni che, quotidianamente, compiamo sui social network attraverso la condivisione di notizie e foto.[1] Apple, dopo gli ultimi aggiornamenti del sistema iOS, ha introdotto una apposita icona denominata “Privacy”, che consente all’utente di essere avvertito ogniqualvolta si condividono informazioni personali con Apple.[2]

Oggi i dati personali e il loro utilizzo costituiscono un vero e proprio mercato con forti risvolti economici dato che un’impresa può avere interesse a conoscere i dati dei clienti per poter indirizzare offerte mirate. Fin dall’inizio vi è stata una interconnessione, da una parte, tra la materia della protezione dei dati e il loro trattamento e, dall’altra, l’economia. Non sempre però l’economia è quella legale, perché vi può essere il caso in cui i dati potrebbero essere venduti sul “darkweb”[3] a pochi dollari come sembra che stia avvenendo, in seguito all’ultimo attacco hacker che ha colpito Facebook a settembre 2018, nonostante la società di Menlo Park sia intervenuta per smentire questa notizia tramite Guy Rosen, vicepresident product management di Facebook che ha ribadito la collaborazione di Facebook con l’FBI.[4]

E’ ormai chiaro che gli utenti, i cittadini, rilasciano i loro dati personali, nel momento in cui effettuano l’iscrizione ad un social network, acconsentendo così al loro trattamento. Ma il trattamento è sempre corretto e a norma di legge? Purtroppo come abbiamo già avuto modo di vedere e constatare non è così.

I nostri dati viaggiano da una parte all’altra del mondo, vengono salvati su server immensi con capacità di memoria quasi infinita, possono essere utilizzati per pubblicità mirate, per conoscere i gusti e le abitudini di chi ha lasciato i propri dati eppure esiste, o perlomeno dovrebbe esistere, un diritto, quello che la giurisprudenza e la dottrina prima e il diritto poi hanno riconosciuto come il diritto alla riservatezza. Negli ultimi anni, si è visto come la parola “riservatezza” venga sempre più utilizzata e in particolar modo oggi la protezione dei dati personali è fondamentale per chi utilizza il web e i servizi ad esso connessi. Questo diritto è stato introdotto quando la società ha iniziato a sentire la necessità di tutelare la vita privata e familiare.

Furono Warren e Brandeis, per primi, nel 1890, a scrivere un’opera intitolata “Right to Privacy”, da allora cambiò il modo di concepire la privacy e la riservatezza. La privacy, nella sua accezione originaria, consisteva in un “right to be let alone”.[5] Del resto da allora è cambiato il mondo, è cambiato il modo di concepire la vita privata, hanno fatto il loro dirompente ingresso le nuove tecnologie che hanno rivoluzionato la vita di milioni di persone facendo così emergere la necessità di adeguare l’ordinamento a questo nuovo modo di concepire la società. In origine il diritto alla riservatezza aveva come scopo la tutela della diffusione di informazioni di soggetti da parte di terzi, oggi, invece, nella società dell’informazione, sono milioni i dati che vengono elaborati e che richiederebbero, quindi, una forma di protezione.

In ambito europeo, a partire dagli anni Settanta, la Corte di Giustizia ha emesso sentenze relative alla tutela della persona garantendo così la tutela anche a livello comunitario. Il legislatore europeo con la Direttiva 95/46/CE ha introdotto un’espressa disciplina per questi temi recepiti poi nel 2000 con l’entrata in vigore della Carta di Nizza nella quale si riconosce espressamente, all’articolo 8, il diritto alla protezione dei dati personali.[6]

Al contrario, il diritto alla riservatezza si afferma, nel nostro ordinamento, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso; prosegue poi durante gli anni Ottanta fino a poco più di un decennio fa quando fu approvata la Legge 31 dicembre 1996 n. 675 confluita poi nel Codice Privacy a sua volta modificato dal Decreto Legislativo n. 101/2018. È stata la Corte di Cassazione a fornire un contributo notevole in materia di diritto alla riservatezza: con la sentenza n. 2129 del 1975 (Caso Soraya), la Suprema Corte è giunta alla definizione del diritto alla riservatezza affermando che la riservatezza protegge “certe manifestazioni della vita di relazione, a tutte quelle vicende, cioè il cui carattere intimo è dato dal fatto che si svolgono in un domicilio ideale”.[7] Il caso è stato considerato un “leading case” che ha fatto sì che nell’ordinamento italiano trovasse regolamentazione questa materia. Nel 1998 la Suprema Corte è stata chiamata a decidere un nuovo caso sempre in materia di diritto alla riservatezza affermando l’esistenza di “un vero e proprio diritto alla riservatezza anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria”.[8]

Nel nostro ordinamento devono essere prese in considerazione le disposizioni costituzionali degli articoli 15 e 21, pur non essendoci nella Carta esplicita menzione del diritto alla riservatezza. Si fa riferimento al comma 1 dell’articolo 15[9] quando, l’evoluzione tecnologica ha reso necessaria l’individuazione di principi in materia di nuove tecnologie e si fa ugualmente riferimento a questo articolo quando si deve affrontare il tema della riservatezza e della segretezza delle comunicazioni. Si menziona l’articolo 21 come tutela della libertà di pensiero e di parola.

A tal proposito l’Unione Europea ha ritenuto necessario dover intervenire per regolamentare questi nuovi aspetti e frontiere del diritto attraverso l’introduzione di numerose direttive comunitarie. Il diritto alla riservatezza deve garantire la libertà, ma anche la dignità della persona; tuttavia deve essere inteso come una limitazione del “potere informatico” che insieme ai suoi mezzi e strumenti deve essere assoggettato ad una forma di controllo.[10] Il riconoscimento di questo diritto porta con sé la disposizione del comma 2 dell’articolo 3 della Costituzione relativo al principio di eguaglianza sostanziale e allo stesso tempo trova, negli articoli 15 e 21 della Carta Costituzionale, una adeguata protezione.

Questo articolo è stato introdotto dai padri costituenti per superare quanto contenuto nello Statuto Albertino che invece non contemplava il diritto alla riservatezza.  Altro elemento di novità, rispetto allo Statuto, è l’ampliamento della visione “ad ogni forma di comunicazione” quindi non solo il semplice riferimento alla corrispondenza. È a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso che in Italia si sviluppa una discussione riguardo il diritto alla riservatezza e la Privacy, in ritardo rispetto ad altri Stati europei come la Francia o extraeuropei come gli Stati Uniti. Un diritto che avrebbe dovuto tutelare le persone da una pubblicazione di dati e informazioni relativi alla propria vita privata senza il loro espresso consenso.

La prima sentenza in materia risale al 1953 quando il Tribunale di Roma si è trovato a giudicare un caso riguardante la libertà di espressione artistica ed ha statuito che il diritto alla riservatezza si concreta nel “divieto di qualsiasi ingerenza estranea nella sfera della vita privata della persona e di qualsiasi indiscrezione da parte di terzi, su quei fatti o comportamenti personali che, non pubblici per loro natura, non sono destinati alla pubblicità delle persone che essi riguardano[11]. Il successivo intervento, nel 1956 della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4487 riguardo il medesimo caso non consentì di delineare chiaramente i tratti di questo diritto. Altri interventi giurisprudenziali negli anni Sessanta non hanno consentito di prefigurare in maniera lineare l’esistenza del diritto alla riservatezza.

La disposizione dell’articolo 15 si distingue dal contenuto dell’articolo 21 della Costituzione perché nel primo si tutela la riservatezza della comunicazione, invece, nella disposizione dell’articolo 21 si garantisce la libertà di parola. Il diritto alla riservatezza è un diritto fondamentale e precisamente un diritto della personalità. La Corte Costituzionale nel 1993 con la sentenza n. 81 ha affermato che “la riservatezza è tale da ricomprendere non solo la segretezza del contenuto, ma anche quella relativa all’identità dei soggetti e ai riferimenti di tempo e di luogo della comunicazione stessa”.

Con il giudizio della Consulta emerge chiaramente che l’obiettivo è che estranei non vengano a conoscenza del contenuto di una conversazione e che la volontà di uno degli interlocutori di comunicare all’altro un determinato fatto resti riservata. A poco più di venticinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, nel 1973 la Corte Costituzionale con la sentenza n. 34 ha statuito che nella disposizione costituzionale dell’articolo 15 “trovano protezione due distinti interessi: quello inerente alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’articolo 2 della Carta Costituzionale, e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale”.[12]

Dopo aver analizzato l’articolo 15 della Carta Costituzionale deve essere preso in considerazione l’articolo 21 della medesima riguardante la libertà di parola e di stampa ove i padri costituenti hanno introdotto una disciplina più articolata e anche in questo caso ritorna, con alcune similitudini con l’articolo 15, la locuzione “ogni altro mezzo diffusione”. L’inserimento di questo precetto costituzionale ha rappresentato il cambio di rotta rispetto al passato ventennio fascista in cui giornali e radio erano controllati dal regime e dalla propaganda fascista.

Come ben sappiamo l’avvento di Internet e del web hanno rivoluzionato la società e il modo di rapportarsi tra esseri umani. Tuttavia i risultati e gli effetti dell’uso delle nuove tecnologie necessitano di una regolamentazione. Spetta, quindi, al legislatore introdurre norme in materia. Come detto in precedenza, l’Italia, in ritardo rispetto al resto d’Europa, si è avviata lungo il percorso che ha portato all’introduzione delle leggi sulla regolamentazione del diritto alla riservatezza e sulla protezione dei dati personali sulla scorta del percorso intrapreso dall’Unione Europea.

Si sta parlando di un diritto che ha come obiettivo la garanzia della libertà e della dignità della persona, tuttavia dovrebbe essere inteso come una limitazione del “potere informatico”[13] che deve essere assoggettato ad una forma di controllo.[14] Il nuovo Regolamento Europeo per la protezione dei dati personali (GDPR) affronta il tema riguardante la riservatezza sotto diversi aspetti: dal diritto all’oblio e alla cancellazione, disciplinati all’articolo 17, al rafforzamento – in termini negativi – del ruolo del responsabile del trattamento dei dati (articolo 28 GDPR) che è la “persona fisica o giuridica o l’autorità pubblica, il servizio o l’organismo che tratta dati personali per conto del titolare[15] e che è tenuta a rispettare una serie di obblighi previsti dal Regolamento stesso pena l’irrogazione di sanzioni pecuniarie.

Gli interventi della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, la legge n. 675 del 1996 ed i successivi interventi apportati dal Codice Privacy del 2003 e dal GDPR, hanno dimostrato quanto sia necessaria una corretta regolamentazione del diritto alla riservatezza. Sempre più spesso, infatti, si finisce per perdere (consapevolmente o meno) o rinunciare al controllo del proprio “Io digitale”, ignorando l’importanza e il ruolo che i dati personali hanno assunto nella società dell’informazione 2.0 e, in particolare, nel World Wide Web che sembra assomigliare sempre più ad una vera e propria “giungla” di dati.

 

[1] A. Dini, Apple rispetta davvero la privacy? Dal cloud alle foto, cosa succede ai nostri dati, 27 aprile 2018, Il Sole 24 Ore, qui disponibile: https://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2018-04-18/apple-rispetta-davvero-privacy-cloud-foto-che-cosa-succede-nostri-dati-182119.shtml?uuid=AEK7YnaE

[2] A. Nepori, “Apple introduce l’icona Privacy per rendere più trasparente la raccolta dei dati personali, 23 marzo 2018, La Stampa, qui disponibile:

[3] Redazione Corriere Comunicazioni, Attacco hacker a Facebook, dati in vendita sul dark web a 3 dollari, 8 ottobre2018, Corriere Comunicazioni, qui disponibile: https://www.corrierecomunicazioni.it/privacy/attacco-hacker-a-facebook-dati-in-vendita-sul-dark-web-a-3-dollari/

[4] B. Ruffilli, “Da 50 milioni a 29: Facebook ridimensiona l’attacco hacker di due settimane fa”, 12 ottobre 2018, La Stampa, qui disponibile:

[5] S. D. Warren, L. D. Brandeis, The Right to Privacy in Harward Law Review, IV, 1890, qui disponibile: http://faculty.uml.edu/sgallagher/Brandeisprivacy.htm

[6] Articolo 8 Carta di Nizza: “1.   Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.2.   Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.3.  Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente.”, qui disponibile: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12012P/TXT&from=IT

[7] Corte di Cassazione, sentenza n. 2129 del 1975

[8] Corte di Cassazione Civile, Sezione III, n. 5658 del 1998 in Il Foro Italiano, Vol. 121, n. 9, Settembre 1998

[9] Articolo 15, comma 1, Costituzione: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”, qui disponibile: https://www.senato.it/1025?sezione=120&articolo_numero_articolo=15

[10] M. Iaselli, I principi informatori del Codice Privacy tra teoria e pratica, eBook, qui disponibile: http://www.micheleiaselli.it/e-bookprivacy.pdf

[11] Tribunale di Roma, 14 settembre 1953 in Foro Italiano, Vol 77 n.4, 1954

[12] Corte Costituzionale, sentenza n. 34 del 1973, qui disponibile: http://www.giurcost.org/decisioni/1973/0034s-73.html

[13] Vedi supra nota 10

[14] Vedi supra nota 9

[15] Articolo 4 paragrafo 8 GDPR, ha riproposto la definizione che era contenuta nell’articolo 2 Direttiva 95/46/CE, qui disponibile: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32016R0679&from=IT  

Giulia Cavallari

Nata a Bologna nel 1992. Dopo aver conseguito la maturità classica prosegue gli studi presso l'Università di Bologna iscrivendosi alla Facoltà di Giurisprudenza. Laureata con una tesi in Diritto di Internet dal titolo "Il Regolamento generale sulla protezione dei dati e il consenso dei minori al trattamento dei dati personali" sotto la guida della Professoressa Finocchiaro. Nel novembre 2017 ha relazionato all'Internet Governance Forum- IGF Youth. E' in questo periodo che si avvicina e appassiona al diritto di internet e all'informatica giuridica sentendo la necessità di approfondire gli studi in materia.  Gli interessi principali spaziano dalla protezione dei dati personali alla cybersecurity e all'ambito delle nuove tecnologie al ruolo che il diritto di internet ha assunto e assumerà nei prossimi anni.

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