lunedì, Ottobre 14, 2024
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Liberalità indirette: l’oggetto della collazione

Le donazioni indirette, anche dette liberalità indirette, rinvengono, al pari della donazione di cui all’art. 769 c.c., la loro causa ultima nell’intento liberale[1], laddove all’effetto negativo dell’impoverimento del patrimonio del donante si annoda l’effetto positivo, caratterizzato dall’interesse non patrimoniale che sorregge l’attribuzione. In particolare, la peculiarità che caratterizza le liberalità indirette risiede nella circostanza che la donazione non si realizza attraverso il contratto tipico e formale di cui all’art. 769 c.c., ma con un negozio altro che, insieme all’effetto diretto che gli è proprio, produce anche quello dell’arricchimento del donatario a cui non consegue la realizzazione di alcun interesse, nemmeno di ordine indiretto e mediato[2], per il dante causa.

L’importanza dell’inquadramento dogmatico delle liberalità indirette risiede nel fatto che la disciplina giuridica del negozio indiretto resta quella del negozio tipico adottato, anche se lo stesso si presenta strumentale al raggiungimento di scopi ulteriori. Si badi, poi, che alla luce dei più recenti approdi ermeneutici in tema di causa in concreto[3], lo scopo liberale non si pone più all’esterno del negozio (o del contratto), qualificandosi come mero motivo, ma penetra nello schema causale, piegandolo all’interesse effettivo perseguito dai contraenti[4].

Bisogna, quindi, distinguere le norme relative alla forma e quelle relative alla sostanza[5]. Di talché, se da un lato, dovranno trovare applicazione le norme dettate dal Legislatore per il negozio indiretto specificatamente utilizzato[6], dall’altro, non possono non trovare applicazione le norme di carattere sostanziale dettate per la donazione[7].  In questo senso, infatti, gli artt. 809 e 737 c.c., che, non solo, attribuiscono cittadinanza giuridica alle donazioni indirette nel nostro ordinamento,  ma in più sottopongono le stesse alla medesima disciplina dettata dal Legislatore in tema di revocazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli e in tema di azione di riduzione e collazione.

Tanto premesso, molteplici sono le ipotesi applicative delle donazioni indirette. In particolare e preliminarmente, pare interessante dare atto di quell’impostazione ermeneutica per cui nel novero “degli atti diversi” di cui all’art. 809 c.c. rientrano non solo gli atti giuridici, ma anche i comportamenti materiali. A tal proposito si pensi all’edificazione di una costruzione su suolo altrui, effettuata da un soggetto a proprie spese, con operatività del principio dell’accessione ex art. 934 c.c., o, ancora, al caso di chi avendo posseduto per un tempo sufficiente ad usucapire, rinuncia ad agire in giudizio, così indirettamente beneficiando il soggetto che avrebbe subito gli effetti dell’altrui possesso ad usucapionem.

Tuttavia, tale impostazione risulta avversata dalla dottrina e giurisprudenza dominante, anche e soprattutto perché riconoscendo quali liberalità indirette anche comportamenti materiali risulterebbe impraticabile fare applicazione delle norme dettate dal codice in tema di azione di riduzione e collazione, che hanno pacificamente riguardo ad atti giuridici e non comportamenti materiali. In più, si sottolinea come, in realtà, il vero diritto del costruttore sarebbe l’indennità, per cui una liberalità indiretta potrebbe cogliersi nella rinuncia alla stessa e non anche nel mero fatto materiale, e, ancora, si obietta che in relazione all’usucapione mancherebbe proprio il nesso causale tra la perdita del diritto e l’acquisto o la liberazione, posto che, com’è noto, l’usucapione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario e non già derivativo.

Pertanto, le liberalità non donative trovano sicuro ambito di applicazione con riferimento ai negozi giuridici.

Da quanto detto emerge, peraltro, l’inestricabile intreccio tra atti di liberalità e diritto successorio, posto che non pare (e non è) ipotizzabile l’analisi del plesso normativo dettato in tema di donazioni senza analizzare congiuntamente le norme sulle successioni,  soprattutto con riguardo agli strumenti accordati dal Legislatore per la tutela dei legittimari. In particolare, all’interprete s’impone una verificare preliminare che inerisce l’oggetto della donazione.

Difatti, per quel che qui maggiormente interessa, non può sfuggire che l’art. 737 c.c., attraverso la locuzione “direttamente o indirettamente”, assoggetta a collazione anche le liberalità non donative. In particolare, la collazione – figura peculiarissima della divisione ereditaria – si colloca nel momento della formazione delle porzioni ereditarie e, di conseguenza, nella fase di scioglimento della comunione (incidentale) ereditaria ed è l’atto attraverso il quale determinati soggetti, quali coeredi e donatari[8], conferiscono all’eredità le liberalità che hanno ricevuto in vita dal de cuius, sempre che non siano stati, dallo stesso, espressamente dispensati. Non può sottacersi, infatti, che le donazioni sono state concepite dal Legislatore, in tempi risalenti, come un “anticipo di successione”,la locuzione, ancorché atecnica, vale però a sottolineare come, in chiave sostanziale, la donazione opera come concessione anticipata di parte del proprio patrimonio a chi, presumibilmente, ma non necessariamente, potrà divenire erede.

Ecco, quindi, che sotto il profilo applicativo l’indagine circa l’oggetto della liberalità non può che riverberarsi in punto di beni oggetto della collazione.

Pare, dunque, doveroso analizzare talune fattispecie problematiche, posta l’assoluta eterogeneità degli atti attraverso cui le liberalità non donative possono realizzarsi[9]. In particolare, oggetto di attenzione sarà l’assicurazione sulla vita in favore di un terzo, il c.d. negotium mixtum cum donationee l’intestazione di beni in nome altrui. Quanto all’assicurazione sulla vita in favore di un terzo, ad oggi, la Giurisprudenza pare pacificamente orientata nel ricondurre tale istituto allo schema del contratto in favore di terzo, ex art 1411 c.c., idoneo, laddove dovesse emergere l’intento liberale, a realizzare una donazione indiretta. In particolare, osservando attentamente il tenore degli artt. 741 c.c. e 1923, co. 2, c.c., si sottolinea come oggetto di liberalità non sarà l’indennità versata dall’assicuratore, ma, il premio pagato dal contraente, costituendo ciò che è effettivamente uscito dal patrimonio del donante per conseguire l’intento liberale. Difatti, non può sottacersi come criterio ermeneutico elettivo di riferimento, ai fini e per gli effetti della corretta determinazione dell’oggetto della liberalità,  sia stato, per lungo tempo, quello che valorizzava le sostanze effettivamente uscite dal patrimonio del disponente.

E, difatti, su questa scia si è mossa la Giurisprudenza in merito al c.d. negotium mixtum cum donatione, laddove una prestazione è notevolmente inferiore rispetto al valore della controprestazione (si pensi alla vendita ad un prezzo minore rispetto all’effettivo valore della cosa venduta). Oggetto di collazione, allora, sarà la differenza tra il maggior valore economico della cosa ed il prezzo effettivamente pattuito. Tuttavia, bisognerà ricercare l’effettiva volontà del del de cuius: se l’ascendente venditore abbia realmente inteso donare al compratore il denaro da questi risparmiato, oggetto della liberalità indiretta e, quindi, della collazione sarà la relativa somma di denaro; viceversa, se abbia inteso vendere 2/3 del bene a titolo oneroso e la restante parte a titolo gratuito, sarà quest’ultima porzione a dover essere conferita. Infine, per quanto concerne l’intestazione di beni in nome altrui[10]bisogna distinguere il caso in cui oggetto di liberalità, sub specie diretta, è il denaro, seppur  prodromico all’acquisto dell’immobile, per cui oggetto della collazione sarà il denaro stesso, sorgendo in capo al donatario un obbligo di valuta, exart. 751 c.c., regolato dal principio nominalistico ex art. 1277 c.c., dal caso in cui oggetto di liberalità indiretta sia l’immobile. Ciò, in particolare, si verifica allorquando l’acquirente del bene è il donatario e il donante paga il prezzo, eventualmente costituendosi parte del contratto. In questo caso[11], come pure sottolineato dalla Giurisprudenza di legittimità, l’oggetto della liberalità indiretta non s’immedesima in ciò che è effettivamente fuoriuscito dal patrimonio del donante ma in ciò di cui quest’ultimo ha inteso beneficiare il donatario e che questi ha conseguito: l’immobile. Il donatario, allora, sarà tenuto a collazionare il cespite immobiliare o, in alternativa, una somma corrispondente al suo valore di mercato al momento dell’apertura della successione, ex artt. 746 e 747 c.c..

[1]C.d. causa donandi.

[2]Si veda per la differenza tra atti di liberalità e gratuità, F. GAZZONI, “Manuale di diritto privato”, XVIII ed., Edizioni Scientifiche italiane.

[3]V., Cass., III Sez., Sent. 08/05/2006 n. 1049.

[4]Così, Cass., Sent. n. 1764/2015; Cass., Sent. n. 56/2014.

[5]A ciò si aggiunga che le donazioni indirette vanno necessariamente distinte dalla c.d. donazione dissimulata che, quale simulazione relativa oggettiva, risulta, appunto, celata dal contratto simulato e che, ai fini della sua validità, dovrà necessariamente presentare i requisiti formali e sostanziali dettati in tema di donazione, ex art. 415 c.c., viceversa, nella donazione indiretta il negozio/ contratto utilizzato è uno ed effettivo, non rilevando in alcun modo il fenomeno dell’apparentia iuris.

[6]In questo senso, pertanto, non troverà applicazione la norma di cui all’art. 782 c.c. in tema di forma della donazione.

[7]A riguardo, basti rammentare la norma di cui all’art. 771 c.c. che prescrive la nullità delle donazioni che abbiano ad oggetto beni futuri, sia oggettivamente che soggettivamente considerati.

[8]Si badi, per amor di completezza, che e lo status di coerede e quello di donatario devono cumulativamente essere posseduti dal soggetto tenuto alla collazione, ex art. 737c.c.

[9]Al fine di restringere il campo pare utile sottolineare che la Corte di Cassazione ha affermato che i titoli di credito non possono essere “piegati” ai fini della realizzazione di liberalità indirette, in questi casi, infatti, la liberalità non può che essere diretta e, quindi, realizzarsi attraverso il contratto tipico e formale di cui all’art. 769 c.c. V. Cass., Sent. n. 26746/2008; Ex multis, Cass., S.U., Sent. n. 18725/2017.

[10]Per una completa esamina sul punto si veda, V. D’ANGELO, “L’intestazione di immobile sotto nome altrui”, in www.Iusinitinere.it.

[11]V., Cass., Sent. n. 56/2014.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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