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L’informativa interdittiva antimafia alla luce della Sentenza n. 6754/2020 del Consiglio di Stato

a cura di Giulia Caporali

 

Sommario: 1. La vicenda – 2. Cos’è l’informativa interdittiva antimafia – 2.1. Ambito di applicazione – 3. La ratio dell’interdittiva e la differenza con la comunicazione antimafia – 4. Presupposti e solido quadro indiziario -5. Il criterio della probabilità cruciale – 6. Conclusioni

 

  1. La vicenda

La sentenza oggetto di questa analisi riguarda l’intricata e delicata materia delle informative interdittive antimafia e dei presupposti che ne permettono l’adozione. Il Ministero dell’Interno impugna la sentenza del TAR per la Calabria, sezione distaccata di Reggio Calabria, concernente un’informativa interdittiva antimafia, chiedendone l’annullamento, previa sospensiva. Il provvedimento interdittivo era stato emesso dalla Prefettura di Reggio Calabria nei confronti di una società a responsabilità limitata semplificata che eroga servizi di onoranze funebri sul territorio di Reggio Calabria. Detta società è amministrata da un’unica socia e rappresentante legale, la quale risulta incensurata. L’informativa antimafia ad oggetto è sostenuta da un quadro indiziario che converge sul coinvolgimento all’interno della società di soggetti contigui ad associazioni mafiose, suffragato dal grado di parentela con l’unica socia. In particolare, dagli accertamenti effettuati dagli organi di polizia è emerso che l’attuale unica amministratrice risultava già dipendente e amministratrice di “OMISSIS” cancellata dal registro delle imprese l’11 febbraio 2015, impresa dedita fin dagli anni Ottanta al commercio di casse funebri, inoltre, è stata anch’essa “segnalata” nel 1994 e nel 2005, oltre che essere stata vittima di danneggiamenti a seguito dell’esplosione di ordigni ai danni dell’esercizio di cui era titolare. La ricorrente in prime cure ha sollevato l’illegittimità dell’informazione antimafia per eccesso di potere, travisamento dei fatti, carenza di motivazione ed istruttoria, in quanto il provvedimento sarebbe fondato esclusivamente sul controindicato rapporto di parentela della socia amministratrice con soggetti pregiudicati[1]. Con un secondo motivo è stata dedotta – sempre in primo grado – l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione delle garanzie del contraddittorio, per l’incostituzionalità dell’art. 93, commi 4 e 7, del D. Lgs. n. 159 del 2011 in riferimento agli articoli 3, 24, 111 Cost. e 6 della CEDU, letto congiuntamente all’art.117, 1 comma, Cost. Il TAR per la Calabria, sezione distaccata di Reggio Calabria, ha inoltre osservato come non risulta che siano state indagate e/o verificate le condizioni attuali e concrete dalle quali desumere o escludere con la necessaria attendibilità la sussistenza dei rischi di infiltrazione mafiosa. Sulla base di queste argomentazioni il primo giudice ha annullato il provvedimento prefettizio inibitorio dell’attività economica.

Avverso la pronuncia di primo grado ha proposto appello il Ministero dell’Interno, chiedendone l’annullamento, previa sospensiva. Il Presidente della III Sezione del Consiglio di Stato ha dapprima respinto l’istanza cautelare, e, a seguito dell’udienza pubblica del 1° ottobre 2020, ha trattenuto la causa in decisione. Con Sentenza 6754/2020 la III sezione del Consiglio di Stato ha dichiarato l’appello proposto dal Ministero dell’Interno infondato.

  1. Cos’è l’informativa interdittiva antimafia

L’articolo 84 del D. Lgs. 159/2011 descrive l’informazione antimafia come “attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Il provvedimento interdittivo è adottato dal Prefetto a carico di imprese o società, ma anche con riguardo a soggetti che intrattengono rapporti con la pubblica Amministrazione. L’informazione viene emessa sulla base di una serie di elementi che si collocano ad un livello inferiore e precauzionale rispetto a quello necessario per l’applicazione di una misura di prevenzione (art. 84, comma 4; art. 91, comma 6 del D.Lgs. n. 159/2011) e non a caso le si attribuisce la funzione di “frontiera avanzata” nella lotta contro le mafie. Essa implica l’impossibilità per il soggetto colpito: “di stipulare contratti con la pubblica Amministrazione o di ricevere autorizzazioni, concessioni ed erogazioni”. “Eventuali contratti già stipulati sono risolti per recesso. Autorizzazioni e concessioni sono revocate” ai sensi dell’art. 94, D.  Lgs. n. 159/2011. L’informativa antimafia, così come descritta nella normativa sopra richiamata, costituisce uno strumento incisivo per la lotta alla criminalità organizzata ed alle contaminazioni, dirette o indirette, di tali organizzazioni all’interno del tessuto economico e sociale del nostro Paese. Essa può essere qualificata, almeno formalmente, come provvedimento a carattere amministrativo che esprime una manifestazione di giudizio – la presenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa – rimessa alla valutazione del Prefetto che incide riduttivamente sui diritti soggettivi dei destinatari[2]. Questo provvedimento permette alla pubblica Amministrazione, ed agli enti ad essa equiparati, di proteggersi e tutelarsi efficacemente dalla stipula di contatti con operatori economici collegati al sistema mafioso, è infatti interesse della pubblica Amministrazione poter verificare “affidabilità” e “moralità” delle imprese con le quali stipula rapporti contrattuali. L’informativa interdittiva antimafia ha natura cautelare e preventiva, comportando infatti un giudizio a carattere prognostico in capo alla Prefettura, circa la possibilità di un’infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa[3].

            2.1.  L’ambito di applicazione

L’articolo 83 del D. Lgs. 259/2011 prevede un obbligo per le pubbliche Amministrazioni di verificare l’assenza del potenziale pericolo di infiltrazione mafiosa per i contratti di importo superiore a 150mila euro e per alcune tipologie di lavori, considerate “come maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa” anche se formalmente risultanti al di sotto di questa soglia[4].  La pubblica Amministrazione ha l’obbligo di conformarsi all’esito degli accertamenti compiuti dalla Prefettura, poiché le complessive finalità della disciplina delle informazioni antimafia, sono atte ad evitare radicalmente l’erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso, e per questo motivo la disposizione mal tollera che ciò possa avvenire solo entro determinati limiti quantitativi[5]. Per i rapporti c.d. “sotto soglia”, possono dunque essere espletate in ogni caso le acquisizioni delle informazioni antimafia, sia quando si dia attuazione ad un “protocollo di legalità”, sia quando questo non sia stato concluso. Infatti, potendosi sempre accertare se l’impresa meriti la “fiducia” delle Istituzioni, si può attivare il procedimento volto alla verifica della sussistenza o meno del tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata, con il conseguente esercizio dei poteri della Prefettura. Risulta in egual modo legittimo il provvedimento emesso in attesa della verifica da parte della Prefettura della minaccia di infiltrazione mafiosa dalla pubblica Amministrazione, concernente la sospensione delle erogazioni e dei finanziamenti. Le società sono tenute ad esibire tutti i dati e le informazioni che possono risultare atti al compimento delle verifiche antimafia. L’art. 92 del D. Lgs. 159/2011, dettando i termini per il rilascio delle informazioni, ai commi 2 e 3 dispone quanto segue;

  • Comma 2: “Quando dalla consultazione della banca dati nazionale unica emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, il Prefetto dispone le necessarie verifiche e rilascia l’informazione antimafia interdittiva entro 30 giorni dalla data della consultazione. Quando le verifiche disposte siano di particolare complessità, il Prefetto ne dà comunicazione senza ritardo all’Amministrazione interessata, e fornisce le informazioni acquisite nei successivi 45 giorni. Il Prefetto procede con le stesse modalità quando la consultazione della banca dati nazionale unica è eseguita per un soggetto che risulti non censito.
  • Comma 3: I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 (ad esempio, le pubbliche amministrazioni), revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

Sul punto risulta interessante evidenziare che presso ogni Prefettura è istituito l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa e operanti nei settori esposti maggiormente a rischio (c.d. White List), elenco che è stato previsto dalla Legge n. 190/2012. Il Codice Antimafia (D. Lgs. 159/2011) prevede che le stazioni appaltanti, le quali hanno intenzione di concludere un contratto con imprese che hanno fatto domanda ma che non risultano iscritte nella c.d. White List devono obbligatoriamente informare la Prefettura. Nel caso in cui l’impresa richiedente non possegga i requisiti per iscriversi nella White List i soggetti appaltanti possono annullare le aggiudicazioni, operare il recesso dal contratto e revocare ogni autorizzazione[6].

  1. La ratio dell’interdittiva e la differenza con la comunicazione antimafia

L’informazione interdittiva antimafia è emanata dal Prefetto con il fine di tutelare l’ordine pubblico, la libera concorrenza e il buon andamento della pubblica Amministrazione, impedendo possibili infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno del tessuto economico nazionale. L’effetto è quello di escludere l’impresa colpita dall’interdittiva dall’opportunità di concludere rapporti contrattuali con l’Amministrazione. Il Consiglio di Stato ha in più pronunce riconosciuto al provvedimento interdittivo natura anticipatoria, preventiva e cautelare, escludendone però la funzione sanzionatoria. La giurisprudenza sul punto ha precisato che il Prefetto, nell’adottare l’interdittiva, ha il dovere di tener conto dell’emissione o del sopravvenire di un provvedimento giurisdizionale (tipizzato dal legislatore) sintomatico dell’infiltrazione mafiosa nel substrato organizzativo dell’impresa a fronte dei c.d. delitti spia, disciplinati all’art. 84, comma 4, lett. a) del D. Lgs. n. 159/2011, ma deve anche compiere un autonomo apprezzamento circa gli elementi sintomatici dell’influenza operata sul territorio dalla mafia. Il Prefetto, titolare di un ampio ed esteso potere discrezionale nella valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa, deve seguire un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che implica una prognosi sostenuta da un affidabile grado di verosimiglianza, basata su indizi gravi, precisi e concordanti, esaminati e vagliati dal Prefetto in modo unitario e non atomistico, così da far ritenere “più probabile che non”[7] il pericolo di ingerenza della criminalità organizzata. È interessante notare come, mentre nel procedimento penale vige il più rigoroso principio alla base della pronuncia di condanna per il quale: “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio” (ai sensi del comma 1 dell’art. 533 c.p.p.), in questa fattispecie trova invece applicazione il principio del “più probabile che non”[8].

La comunicazione antimafia si distingue dall’informativa interdittiva antimafia in quanto si sostanzia in un certificato, un documento che viene rilasciato dalla Prefettura a seguito di controlli che hanno lo scopo di verificare la sussistenza o meno di cause di decadenza, di sospensione e di divieto ai sensi dell’art. 67 del D. Lgs. 159/2011, le quali derivano dall’adozione di misure di prevenzione o da sentenze di condanna[9]. La comunicazione antimafia è obbligatoria per le seguenti attività d’impresa:

  • Rilascio di licenze;
  • Autorizzazioni di polizia di competenza del Comune;
  • Autorizzazioni al commercio;
  • Iscrizione in albo per stazioni appaltanti, fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica Amministrazione;
  • Attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;
  • Contratti di appalto di opere e lavori pubblici di importo superiore ad € 150.000,00 ma inferiore a 5.000.000,00 € (iva esclusa);
  • Contratti di fornitura di beni e servizi di importo superiore a € 150.000,00 ma inferiore a 200.000,00 € (iva esclusa);
  • Per le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali si applica la direttiva 2004/17/CE (come modificata dal Regolamento UE n. 1251/2011):
  • Opere e lavori pubblici di importo inferiore a € 5.000.000,00;
  • Forniture e servizi: inferiore a € 400.000,00.

Il Prefetto territorialmente competente, dunque, ha il solo compito di verificare, consultando la banca nazionale unica, di cui all’art. 96 del Codice antimafia[10], la sussistenza o meno a carico dei soggetti sottoposti a verifica, individuati dall’art. 95 del già menzionato Codice, di una delle misure di prevenzione personale emesse dal Tribunale, che attestano il cristallizzarsi di un livello abbastanza elevato di condizionamento mafioso. In caso di esito positivo, il Prefetto rilascia la comunicazione antimafia che oltre ad avere un’efficacia interdittiva rispetto a tutte le iscrizioni e ai provvedimenti autorizzatori, concessori o abilitativi per lo svolgimento dell’attività d’impresa, comunque denominati, nonché a tutte le attività soggette a SCIA e a silenzio assenso , comporta, altresì, il divieto di concludere contratti con la Pubblica Amministrazione, aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture (art. 84, commi 1 e 2 del d. lgs. n. 159/2011).

  1. Presupposti e solido quadro indiziario

Nella vicenda ad oggetto della Sentenza resa dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato, 2 novembre 2020, n. 6754, la Sezione ha respinto l’appello proposto dal Ministero dell’Interno poiché il provvedimento interdittivo risultava carente, sul piano istruttorio, in ordine alla mancanza, nella società colpita dall’interdittiva, di una regìa collettiva riconducibile sostanzialmente alla determinante influenza di soggetti vicini alla criminalità organizzata. Tale situazione risulta evidente da un provvedimento, adottato dal giudice della sorveglianza in data antecedente l’informazione antimafia, e di tale provvedimento l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto, dovendo decidere sulla base di un compendio istruttorio il più possibile accurato e aggiornato. Ed invero, sebbene tale ordinanza sia frutto di un giudizio autonomo e parallelo, attenendo al mantenimento della misura di sicurezza e funzionale alla sanzione penale, la stessa non può essere ignorata dal Prefetto. ​​​​​​​

Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere in ogni caso gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi derivante da un ragionamento deduttivo che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame. Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio[11].

E’ interessante notare come il Collegio della Terza Sezione del Consiglio di Stato abbia ribadito che il sistema della prevenzione amministrativa antimafia non ha lo scopo di realizzare e non può realizzare, in uno Stato di diritto democratico, un diritto della paura, perché deve necessariamente ossequiare l’irrinunciabile principio di legalità[12], non solo in senso formale ma anche sostanziale, pertanto il giudice amministrativo, chiamato a sindacare sul regolare esercizio del potere prefettizio nel combattere e prevenire l’infiltrazione mafiosa, deve farsi responsabile difensore delle irrinunciabili condizioni di tassatività sostanziale e di tassatività processuale di questo potere ai fini di una tutela giurisdizionale piena ed effettiva di diritti aventi rango costituzionale, come quello della libera iniziativa economica privata (tutelata dall’art. 41 Cost.), nel necessario, e ovvio, bilanciamento con l’altrettanto irrinunciabile, vitale, interesse dello Stato a contrastare la perniciosità della malavita.

  1. Il criterio della probabilità cruciale

La verifica della legittimità dell’informativa prescrive che il ragionevole rischio di tentativi di infiltrazioni mafiose all’interno dell’attività imprenditoriale esercitata dalla singola impresa sia stato accertato in base alla regola della c.d. “probabilità cruciale”. Questo criterio è connotato per la “minore forza dimostrativa dell’inferenza logica”: da questa affermazione deriva che “l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità”[13]. Per questo motivo, i Giudici di Palazzo Spada hanno provveduto a smentire le critiche levatesi rispetto alla possibile indeterminatezza dei presupposti normativi che autorizzano l’emissione delle misure di prevenzione personali e in particolare dello strumento dell’informativa, apparsa, specie a seguito della recente pronuncia della Corte EDU, nel caso De Tommaso c. Italia[14]. Ciò premesso, considerando che il D. Lgs. n. 159/2011 presuppone “concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata” ai sensi dell’art. 91 co. 6, per procedere all’adozione delle misure interdittive ante delictum occorre che il Prefetto abbia valutato attraverso una visione di insieme gli elementi comparsi nel corso del procedimento, apprezzabili soltanto ove considerati nel loro relativo legame sistematico. Al contrario, l’impianto motivazionale dell’informativa interdittiva antimafia potrebbe apparire carente e, per ciò solo, distruttibile, laddove l’autorità si limitasse, per dirla con le parole del Collegio della Terza Sezione del Consiglio di Stato, ad una “visione parcellizzata” di ciascun singolo elemento che, poiché avulso dal suo contesto fattuale ed esaminato in maniera isolata, perderebbe qualunque valore indiziario[15].

  1. Conclusioni

L’obiettivo fondamentale di questa breve analisi si risolve nella ricerca del bilanciamento tra due contrapposti valori costituzionali[16] e la capacità del nostro ordinamento di studiare e mettere in pratica efficaci soluzioni di contrasto alla criminalità organizzata all’interno del comparto economico senza però rinnegare i presupposti dello Stato di diritto e della legalità dell’azione amministrativa[17]. Il fenomeno mafioso è indubbiamente una sfida per il nostro Paese circa la tenuta dei principi posti alla base di una democrazia liberale.  Per queste ragioni l’esigenza di repressione della malavita all’interno del tessuto economico nazionale non esclude che la discrezionalità prefettizia possa essere assoggettata ad un sindacato giurisdizionale sotto il profilo della sua logicità, prendendo oggettivamente in considerazione tutti i fatti rilevanti. In considerazione del particolare periodo storico che il nostro Paese sta affrontando, in virtù dell’emergenza epidemiologica derivante dal Covid-19, potrebbe essere auspicabile un ripensamento dei criteri necessari per l’adozione di un’informativa interdittiva antimafia poiché l’emissione di tale provvedimento sulla scorta della logica del “più probabile che non” nei confronti di una società soltanto apparentemente condizionata dall’azione mafiosa potrebbe decretarne la chiusura e l’irrimediabile arresto della sua attività incidendo in maniera negativa sugli interessi dell’imprenditore titolare e su quelli connessi ed ugualmente rilevanti dei lavoratori, riversandosi a cascata sull’intero sistema economico del Paese. L’auspicio è che si possa effettuare un risolutivo salto di qualità all’interno della legislazione antimafia di carattere preventivo, che si possano prendere le distanze dall’eccessivo “rigore destruens”, in virtù del quale appare ammissibile ed adeguato escludere dal circuito economico e dagli appalti pubblici un’impresa indiziata, in maniera meramente cautelare, per infiltrazione mafiosa, abbracciando invece un orientamento in cui lo Stato non espelle un’impresa che ha subìto tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, con detrimento anche degli interessi degli altri soggetti estranei potenzialmente coinvolti, ma al contrario si affianca ad essa, offrendole un supporto ed un contributo per poter eliminare in maniera efficace ogni possibile legame mafioso presente e futuro. Da ultimo, in presenza di situazioni di “pericolosità” quali quelle che legittimano le informative antimafia, sarebbe auspicabile che la prima alternativa fosse quella dell’adozione di misure di prevenzione patrimoniali da parte dell’amministrazione o quella del controllo giudiziario, degradando l’interdittiva al rango di ultima ratio sottoposta ad un pieno controllo del Tribunale[18].

 

Interdittiva- antimafia-presupposti-solido quadro indiziario-illegittimità

[1] In particolare, dalle acquisizioni degli organi di polizia, sono emerse a carico dei parenti dell’unica socia amministratrice diverse sentenze penali di condanna tra le quali una emessa nel 2007 dalla Corte d’Appello di Messina ad otto anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti per fatti risalenti agli anni 1994 e 1996 e diverse segnalazioni, tra l’anno 1987 e l’anno 2000, per svariati episodi criminosi mai sfociati, tuttavia, in pronunce di condanna.

[2] Cfr. F. Grimaldi, Il sistema delle certificazioni antimafia nella pubblica amministrazione. Legislazione, orientamenti giurisprudenziali, indicazioni procedurali e modulistica, Laurus Robuffo, 1997, Roma, pp. 34 e ss.

[3] Sul punto, Cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 6 aprile 2018, n. 3 https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/ucm?id=eld7idf3pf7q6iuvnswbvczkiu

[4] Cfr. art. 1, comma 53 della Legge n. 190/2012 e sent. del Tar L’Aquila 22 aprile 2017, n. 184

[5] Cfr. Consiglio di Stato, III Sez., 20 luglio 2016, n. 3300

[6] Cfr. Consiglio di Stato, III Sez., 4 luglio 2019, n. 337

[7] Sul principio del “più probabile che non” Cfr. Consiglio di stato, III Sez., 7 ottobre 2015, n. 4657 , e Consiglio di Stato, III Sez., 3 maggio 2016, n. 1743

[8] Sul punto Cfr. F. Fracchia, M. Occhiena, Il giudice amministrativo e l’interferenza logica: più probabile che non e oltre, rilevante probabilità e oltre ogni ragionevole dubbio. Paradigmi argomentativi e rilevanza dell’interesse pubblico, in Dir. dell’economia, n. 3/2018, pp. 1160 e ss.

[9] Le sentenze di condanna alla base della Comunicazione Antimafia possono anche essere non esecutive, ma confermate in grado di appello, per determinate tipologie di reato particolarmente gravi e connesse alle attività di criminalità organizzata. Le tipologie di reato per le quali è richiesta sono indicate all’art. 51, co. 3 bis, c.p.p.

[10] D. Lgs. 159/2011

[11] Sul punto, Consiglio di Stato, III Sez., 5 settembre 2019, n. 6105

[12] Il principio di legalità costituisce uno dei principi primari e fondanti del diritto amministrativo. È richiamato all’art. 1 della L. 241/90, secondo il quale: “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”.

[13] Sul punto, Consiglio di Stato, III Sez., 31 agosto 2017, n. 4483

[14] Nel caso di specie, nei confronti del ricorrente – De Tommaso- viene emessa nell’aprile 2008 la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel proprio comune di residenza ai sensi dell’allora vigente legge n. 1423/1956, avendo il Tribunale di Bari ritenuto che egli fosse abitualmente dedito a traffici delittuosi e che vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose. Nel gennaio dell’anno seguente, tuttavia, la Corte d’appello di Bari revoca la misura, ritenendo che – sulla base degli elementi acquisiti nel fascicolo – non risultasse una pericolosità attuale del ricorrente al momento dell’imposizione della misura, evidenziando in particolare come le recenti segnalazioni di polizia su cui il Tribunale aveva tra l’altro fondato il proprio convincimento si riferissero in realtà ad un omonimo.

[15] Cfr. G. Gaudiosi «Se un imprenditore conosce un mafioso è anche lui mafioso e di conseguenza lo sono anche i suoi parenti»?: la posizione del consiglio di stato sulla contiguità tra mafie e imprenditoria nel “passaggio di testimone” tra aziende e sugli effetti delle informazioni antimafia in Diritto.it https://www.diritto.it/se-un-imprenditore-conosce-un-mafioso-e-anche-lui-mafioso-e-di-conseguenza-lo-sono-anche-i-suoi-parenti-la-posizione-del-consiglio-di-stato-sulla-contiguita-tra-mafie-e-imprenditoria-nel/#_ftn1, 14 luglio 2020.

[16] Da un lato è necessario tener presente il fondamentale valore della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 della nostra Costituzione, dall’altro la libertà di iniziativa economica privata garantita dall’art. 41 della Costituzione.

[17] Principio fondamentale, enunciato dall’art. 1 della L. 241/90

[18] Cfr. G. Amarelli, Interdittive antimafia e «valori fondanti della democrazia»: il pericoloso equivoco da evitare in Giustizia Insieme https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1237-interdittive-antimafia-e-valori-fondanti-della-democrazia-il-pericoloso-equivoco-da-evitare, 17 luglio 2020.

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