venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

Il “pentito”: dissidio interiore tra onore, rispetto verso il clan e senso di giustizia

Il collaboratore di giustizia : dissidio interiore tra onore e rispetto verso il clan e senso di giustizia
Il pentito

La figura del pentito, rectius collaboratore di giustizia, è una figura assai complessa.  Con la scelta di collaborare egli cambia radicalmente il suo modus vivendi e suo malgrado stravolgerà la vita delle persone che ha intorno partendo da sua moglie/marito sino ad arrivare agli iscritti al clan di appartenenza e le loro possibili rappresaglie. Il “pentitismo” è un fenomeno rilevante per combattere quel fenomeno silenzioso e subdolo chiamato mafia, camorra, ‘ndrangheta. L’era dei grandi pentiti ha origine nel 1984 con Tommaso Buscetta che tre giorni dopo l’estradizione in Italia decise di collaborare con Giovanni Falcone e per 45 anni mise nero su bianco tutto ciò che conosceva su “cosa nostra”, dando, letteralmente, una chiave di lettura a Falcone e Borsellino risultata poi essenziale. Le leggi che hanno interessato la materia negli anni sono state la legge 15/1980, la legge 82/1991 e la legge di modifica 45/2001.: con le nuove previsioni legislative, da un lato si è voluto introdurre il principio in base al quale solo a seguito di una collaborazione tempestiva e genuina, l’interessato può conseguire l’accesso alle misure di protezione e la concessione di attenuanti; dall’altro si è operato sul versante dei benefici penitenziari, conseguibili solo dopo aver espiato una parte “significativa” di pena. Le novità possono essere riassunte in cinque punti:

  • l’introduzione di nuovi strumenti e procedure per garantire la genuinità delle dichiarazioni e la trasparenza nella gestione dei pentiti, uno su tutti il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione;
  • lo sganciamento del sistema premiale da quello tutorio;
  • l’accentuata diversificazione delle misure di protezione dei pentiti, a seguito di rigorosa valutazione del reale pericolo a cui sarebbero esposti;
  • la definizione di una nuova disciplina con criteri rigorosi per la concessione, la revoca e la modifica dei benefici penitenziari;
  • la regolamentazione dei presupposti per la revoca della custodia cautelare.

La legge 45/2001, ha introdotto inoltre la figura del testimone di giustizia ma, ferme restando le riduzioni di pena e l’assegno di mantenimento concesso dallo Stato, le modifiche approvate sono sostanziali. Si tratta, di un insieme articolato di istituti  connotati dalla rinuncia, assoluta o parziale, dello Stato all’esercizio effettivo della pretesa punitiva nei confronti di quei soggetti che abbiano posto in essere condotte rilevanti in senso contro-tipico rispetto al reato commesso e, in particolare, abbiano intrapreso delle forme di collaborazione con la giustizia. E’ in sostanza un diritto premiale.  Per la figura del pentito vengono delineati dei caratteri essenziali:

  • il pentito ha un tempo massimo di sei mesi per dire tutto quello che sa, il tempo inizia a decorrere dal momento in cui il pentito dichiara la sua disponibilità a collaborare;
  • il pentito non accede immediatamente ai benefici di legge ma vi accede solo dopo che le dichiarazioni vengano valutate come importanti e inedite;
  • il pentito detenuto dovrà scontare almeno un quarto della pena;
  • la protezione durerà fino al cessato pericolo a prescindere dalla fase in cui si trovi il processo.

Una breve parentesi a questo punto è d’obbligo su quello che l’ordinamento giuridico intende con testimone di giustizia e con “pentito”. Il primo è chi non ha commesso alcun crimine e la sua collaborazione nasce da diversi motivi che non siano, ad esempio, gli sconti di pena, mentre il pentito è una persona che si auto-accusa e/o anche accusa altri, di crimini e di essi si “pente” iniziando la propria collaborazione con la giustizia.

Sembra in realtà prospettarsi una forma libera per la decisione di collaborare con la giustizia e non inerente solo a reati monosoggettivi. Ai fini del riconoscimento delle utilità di cui alla normativa premiale sono stati valorizzati elementi come la confessione, l’attivazione per l’eliminazione conseguenze delittuose del reato,  la leale collaborazione nella ricostruzione dei fatti ma soprattutto l’apporto dichiarativo del collaborante deve avere i connotati dell’ utilità e della decisività in rapporto agli accertamenti dei fatti e delle responsabilità degli illeciti commessi. Diverse sono le norme del codice penale che fanno riferimento alla collaborazione o al semplice “dissociarsi” dagli altri criminali come l’art. 630 c.p. co 5. Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi”.

Con la legge 45/2001 però è stato notevolmente ristretto l’elenco dei reati per i quali può essere accettata la collaborazione oltre a quelli di cui agli artt. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione) su menzionato, 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso) e quelli commessi avvalendosi delle condizioni ex art. 416-bis c.p., ovvero allo scopo di agevolare l’attività mafiosa, art. 74 T.U. 309/90 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), 291 quater T.U. 43/73 (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri), 600 c.p. (riduzione in schiavitù), 601 c.p. (tratta e commercio di schiavi) e infine 602 c.p. (alienazione e acquisto di schiavi). Così, ad esempio, resta esclusa la possibilità per chi fornisce collaborazione circa delitti come la rapina o l’estorsione, anche aggravate, ma non caratterizzate da metodo mafioso, di fruire sia della protezione sia dei benefici, sanzionatori e penitenziari, previsti dalla nuova legge sui collaboratori di giustizia.

Ci si era anche chiesti se si fosse potuto procedere a collaborare anche successivamente ad una sentenza di condanna irrevocabile e la Cassazione più volte si è pronunciata in merito ammettendo, in linea di principio, la menzionata possibilità, che tuttavia può ricorrere soltanto nel caso vi siano ulteriori indagini e accertamenti in corso concernenti  fatti connessi ai delitti accertati nella sentenza irrevocabile e sussista comunque un collegamento tra il fatto accertato nella condanna in espiazione e quelli oggetto delle nuove dichiarazioni del collaborante.

La genuinità della collaborazione viene perseguita attraverso la previsione delle seguenti misure: l’isolamento del collaboratore fino a quando non abbia riferito tutto ciò che sa, l’obbligo di enumerare, entro il rigido termine di sei mesi: fatti, reati, circostanze, persone oggetto delle sue dichiarazioni collaborative; sono persino previste la revoca delle misure tutorie e assistenziali accordate al collaboratore “indegno” e la revisione dei processi nei quali siano state concesse riduzioni di pena conseguenti ad una falsa, incompleta o reticente collaborazione. La richiesta di modifica o di revoca può provenire dall’autorità che ha formulato la proposta o, a seconda che si tratti di soggetto sottoposto a programma o a misura di protezione, dal Servizio centrale di protezione o dal prefetto. Prima di procedere alla modifica o alla revoca, la commissione può naturalmente svolgere attività istruttoria e, in questo contesto, è auspicabile che proceda alla acquisizione del parere dell’autorità che ha proposto l’adozione delle misure nonché, a seconda dei casi, del procuratore generale presso la corte d’appello o del procuratore nazionale antimafia. La commissione dovrà  tener conto:

  • della condotta tenuta dal soggetto;
  • dell’osservanza degli impegni assunti;
  • dell’attualità e della gravità del pericolo

La revoca è automatica quando il soggetto:

  1. viola l’impegno di sottoporsi a interrogatori, a esame o ad altri atti di indagine;
  2. viola l’impegno di specificare i beni posseduti o controllati (questo obbligo non opera per il testimone);
  3. commette un delitto indicativo del suo reinserimento nel circuito criminale.

La tutela

Sotto l’aspetto della tutela, in particolare, la nuova legge individua due livelli di attenzione gradatamente crescente in rapporto all’accertamento di un concreto pericolo tale da rendere indispensabile l’adozione di misure extra. Il primo livello è quello ordinario, consistente nelle “misure speciali di sicurezza” che possono essere adottate dall’autorità di P.S.(trasferimento in comuni diversi da quello di residenza, adozioni di particolari misure tutorie) o, in caso di persone detenute, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (es. assegnazione alla sezione “ristrutturate” per collaboratori di giustizia, ubicazione in camera di sicurezza singola, etc.). Qualora il pericolo per l’incolumità del collaborante non sia adeguatamente fronteggiabile con le misure di primo livello  sopra descritte, può essere fatto ricorso, quale extrema ratio, alla predisposizione di uno  “speciale programma di protezione” (es. trasferimento in località protetta, assegnazioni economiche, cambio di generalità, etc.).

La procedura di ammissione al programma di protezione

La commissione centrale delibera su proposta del procuratore della Repubblica il cui ufficio procede per i fatti oggetto delle dichiarazioni del collaboratore, o del Capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza previo parere del procuratore della Repubblica. È stata completamente abolita la possibilità per il capo della polizia di adottare misure urgenti di protezione senza attendere l’intervento della commissione centrale; tanto i procuratori generali, quanto il procuratore nazionale antimafia, prima di fornire i pareri ad essi richiesti e, comunque, prima di esprimere le loro determinazioni in ordine alle richieste da avanzare congiuntamente ai procuratori della repubblica o ai procuratori distrettuali, debbano acquisire informazioni ed, eventualmente, atti presso gli altri procuratori che siano interessati al contenuto delle dichiarazioni collaborative. Tra i momenti essenziali vengono menzionati:

  • “La credibilità soggettiva del collaboratore di giustizia” : analizzarne la personalità, il carattere, il temperamento, la vita anteatta, le condizioni socio-economiche e familiari, i rapporti con i soggetti accusati, la genesi e le ragioni della decisione di confessare e di accusare altri di fatti la Cassazione penale Sezione III con sentenza n. 23278/2004 sostituisce il criterio della capacità giuridica di essere testimoni con il criterio della minore o maggiore credibilità della persona chiamata a testimoniare
  • “L’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni del collaboratore” : ciò è deducibile tenuto conto della relativa spontaneità e costanza (Cassazione sezione I, 25 giugno 1990, Cassazione Penale 1991, sezione II, 314), della reiterazione senza contraddizioni (Cassazione sezione II, 15 aprile 1985 in Mass. Cass. Pen. 1985/170287), della logicità (Cassazione sezione I, 29 ottobre 1990) e della molteplicità di contenuti descrittivi (Cassazione sezione I, n. 80/1992). Sarà poi sempre onere del Giudice andare a valutare la spontaneità, verosimiglianza, precisione, coerenza, completezza delle dichiarazioni rese da qualsiasi testimone assunto nel dibattimento, la concordanza delle dichiarazioni rese in tempi diversi.
  • “Attendibilità estrinseca della dichiarazione: i riscontri esterni”: non è ancora chiaro cosa si intenda per “riscontri” ed è per questo motivo che il giudice di volta in volta verrà chiamato a valutarne se esistano o meno secondo il suo prudente apprezzamento adeguati elementi di verifica della chiamata di correo.

Il falso pentitismo

Ci sono stati anche casi in cui il pentito in realtà non era un vero collaboratore di giustizia o non realmente intenzionato a rivelare quanto sapesse, il suo intento era unicamente quello di depistare le indagini e talvolta provando anche ad invalidare le collaborazioni fornite da veri pentiti. Tra questi, destò clamore il caso di Oreste Basco e Pasquale Pagano, un tempo autisti del boss latitante Michele Zagaria. Oggi sono detenuti ma sono stati ascoltati in alcuni processi come dichiaranti; il p.m. Catello Maresca li ritiene  palesemente falsi pentiti per la dubbia posizione da questi assunta durante il processo.

I collaboratori di giustizia più noti

Tra i collaboratori più conosciuti per i particolari reati compiuti e per le dichiarazioni rilevanti poi consegnate nelle mani del p.m si ricordano : Carmine Schiavone (amministratore e consigliere del clan dei casalesi) è un criminale e allo stesso tempo collaboratore di giustizia; le sue dichiarazione hanno permesso grossi sviluppi durante le indagini inerenti al versamento dei rifiuti tossici nella terra dei fuochi, Tommaso Buscetta detto il boss dei due mondi anch’egli criminale e poi pentito; le sue dichiarazioni furono essenziali per comprender la struttura di Cosa Nostra, Gaspare Mutolo anch’egli membro di cosa nostra, criminale prima collaboratore poi rilasciando dichiarazioni sempre durante il periodo del Maxi processo, Antonio Iovine uno degli esponenti più rilevanti del clan dei casalesi, pentitosi nel 2014 svela i legami del clan e le ragioni delle lotte interne; Oreste Spagnuolo, killer dell’area stagista del clan dei casalesi scelse la via del pentimento messo alle strette dalla giustizia per preservare la sua famiglia come loro molti altri hanno scelto la via del pentimento accedendo ai privilegi che la legge prevede.

La nuova legge sembra porre in essere una serie di limitazioni ad effetto di deterrenza per coloro che intendessero diventare collaboratori di giustizia solo in vista dei vantaggi previsti dalla legge: in primis viene prevista l’impossibilità che la revoca della custodia cautelare o la sua sostituzione con altra misura meno afflittiva siano disposte per il solo fatto della intervenuta collaborazione; tale possibilità per il giudice viene esplicitamente condizionata alla insussistenza di elementi da cui possa essere desunta l’attualità di collegamenti del collaboratore con la criminalità organizzata. Non è poi più consentita la detenzione extracarceraria, la fruizione dei benefici penitenziari è subordinata alla espiazione di almeno un quarto della pena inflitta al collaboratore e se si tratta di persona condannata all’ergastolo di almeno dieci anni; egli dovrà attestare formalmente, a conclusione delle sue dichiarazioni, di non essere a conoscenza di “notizie ed informazioni processualmente utilizzabili su altri fatti e situazioni” pena la revoca delle speciali misure di protezione.

La critica mossa nei confronti delle legge 45/2001 fu quella mossa da Pietro Grasso il quale sostenne che una legge così dura avrebbe disincentivato il pentito a collaborare. Negli anni si è registrata una netta diminuzione di collaboratori di giustizia.

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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