Quando un design è “nuovo”?
Il “disegno o modello” registrato rappresenta la tipica modalità di tutela giuridica del design.
Quando un design può davvero beneficiare della protezione offerta dal nostro ordinamento? Quali sono i requisiti necessari e sufficienti per la registrazione dell’ “aspetto” di un prodotto, intendendosi per tale la configurazione solo visiva (non olfattiva, uditiva, tattile etc.) che esso assume[1]?
Il primo di questi requisiti, previsto a pena di nullità della registrazione stessa (cfr. art. 43, lett. a) del Codice della Proprietà Industriale) è quello della “novità”.
La definizione data dal vecchio R.D. n. 1411 del 1940 (cosiddetta “Legge Modelli Industriali”)
La Legge Modelli, prima di essere riformata nel 2001 ed inglobata nell’attuale Codice della Proprietà Industriale, così recitava[2]: “Possono costituire oggetto di brevetto per modelli e disegni ornamentali i nuovi modelli o disegni atti a dare, a determinati prodotti industriali, uno speciale ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee, di colori o di altri elementi (art 5, comma 1). Similmente, l’articolo 2593 c.c. così si esprimeva: “Chi, in conformità della legge, ha ottenuto un brevetto per un nuovo disegno o modello destinato a dare a determinate categorie di prodotti industriali uno speciale ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee o di colori, ha il diritto esclusivo di attuare il disegno o il modello, di disporne e di far commercio dei prodotti in cui il disegno o modello è attuato.”
Come si evince ictu oculi dalla formulazione delle norme, il requisito della “novità” era già previsto dal legislatore del ’40, che tuttavia non ne dava alcuna definizione, qualora si eccettui l’integrale rinvio che l’articolo 1 della Legge Modelli faceva alla Legge Invenzioni, in via residuale e sotto condizione di compatibilità[3].
Ebbene, sino al 2001 la “novità” veniva interpretata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente[4]in senso molto ampio, ovvero come un quid novi che arricchisse il prodotto conferendogli pregio estetico, e che risultasse recessivo soltanto di fronte a connotati uguali propri di altri prodotti facenti parte del medesimo settore merceologico o di settori similari, peraltro contemporanei o appartenenti alla medesima epoca storica. Tale visione trovava il suo fondamento nel criterio della cosiddetta “novità relativa”, una novità, cioè, anche minimale, che non veniva meno né, da un lato, quando il prodotto rievocasse stili, mode o motivi del passato o propri di diverse culture, né, dall’altro, qualora fossero utilizzate, adattandole ad un determinato prodotto, forme già note in altri contesti. Il presupposto imprescindibile per non far tramontare la “novità”, in altre parole, era un semplice sforzo creativo e/o adattivo dell’autore capace di elevare l’estetica del prodotto[5].
Il panorama normativo alla luce del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 95 (attuativo della direttiva 98/71 CE)
La predetta considerazione, forse giustificata testualmente dalla scelta dell’aggettivo “determinati” (inteso come “determinate categorie di prodotti”), secondo parte della dottrina[6]non può considerarsi più valida, in quanto tradita dalla nuova formulazione della norma. Invero, se da un lato, l’odierno articolo 31 c.p.i. continua a postulare semplicemente la condizione che “l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte (…) siano nuovi(…)”, dall’altro il successivo articolo precisa che: “Un disegno o modello è nuovo se nessun disegno o modello identico è stato divulgato anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione, ovvero, qualora si rivendichi la priorità, anteriormente alla data di quest’ultima. I disegni o modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti” (art. 32 c.p.i., che riprende la definizione offerta dall’art 4 della Dir. 98/71 CE e, sia pur limitatamente ai disegni o modelli comunitari registrati, dall’art 5 del Reg. (CE) n. 6 del 2002).
Analizzando la definizione, che questa volta il legislatore ha inteso dettagliare nello specifico[7], è possibile ricavare la seguente equazione: novità = non identicità = rilevante differenza dei dettagli, dove la scriminante temporale è l’antecedente divulgazione[8]del disegno o modello.
Sembrerebbe, quindi, ormai abbandonato, ai fini del giudizio sulla “novità”, il riferimento comparativo ai prodotti della medesima classe merceologica e, parimenti, della stessa epoca o periodo storico. Difatti, la vecchia locuzione “determinati prodotti” lascia il posto a “nessun disegno o modello”, senza far trasparire differenze applicative di sorta e riducendo apparentemente l’alveo dei prodotti “nuovi”. Ma le cose, in realtà, non sembra che stiano proprio così.
Infatti, se oggi, per un verso, si può correttamente sostenere che difetti del requisito della “novità” un modellino in scala che riproduca fedelmente un’automobile realmente in commercio (finanche qualora il disegno o modello dell’autovettura riprodotta, la quale appartiene ad un diverso settore merceologico, non sia stato registrato[9]), tale esempio tuttavia non può giustificare semplicistiche generalizzazioni. Ed invero, non sarebbe corretto sostenere che il criterio della “novità relativa” abbia oggi lasciato il posto ad una “novità assoluta”, che richieda ab origineelementi estetici non ricompresi in un presunto “stato dell’estetica” proprio dei prodotti in commercio, di qualunque genere o settore[10].
L’equivoco s’innesta allorquando si cerca di tracciare una linea di continuità o, all’opposto, di discontinuità, con il meccanismo interpretativo proprio del regime normativo precedente. In verità, appare più persuasivo partire da nuove e diverse premesse, posto che l’intervento del legislatore ha rivoluzionato dalle fondamenta il sistema dei requisiti d’accesso alla tutela dei “disegni e modelli”.
La Legge modelli, come già accennato, si limitava ad un mero rinvio suppletivo e integrativo alla disciplina della Legge invenzioni (che richiedeva, e richiede tuttora, la novità assoluta per i ritrovati scientifici), e ciò costituiva un primo ostacolo per l’interprete, costretto ad individuare una presunta chiave di compatibilità tra tecnica (scientificamente lineare) ed estetica (mutevole ed eterogenea). Adesso, invece, gli unici “concetti valvola” si riducono al grado di estensione della “divulgazione” dei prodotti e della “irrilevanza” dei loro dettagli[11], in quanto il concetto di novità e la sua estensione vengono puntualmente definiti dal legislatore.
Ulteriormente, al di là della precedente definizione della privativa come “brevetto”, in luogo della attuale “registrazione”, e del riferimento ai prodotti solo “industriali”[12], non anche “artigianali”, la seconda significativa differenza rispetto alla disciplina odierna risiedeva nella sussistenza del requisito dello “speciale ornamento”, oggi definitivamente scomparso.
Proprio i due elementi differenziali suesposti avevano condotto, già negli anni ’90, una parte della dottrina (Sarti) a sostenere la tesi di una “novità” assoluta, concretantesi in una sorta di “invenzione estetica” (simile alle invenzioni tecniche protette mediante brevetto) connotante un prodotto fortemente diverso dai precedenti (indipendentemente dal fatto che quest’ultimi fossero conosciuti dal creatore e prescindendo dallo specifico settore di produzione), in quanto particolarmente pregevole: lo “speciale ornamento”, insomma, era per l’autore sinonimo di un “designinnovativo ed originale di fascia alta”, che si differenziava rispetto a qualsiasi altro designmai realizzato, e che era altresì in grado di esser percepito come tale dal consumatore medio[13].
Ebbene, essendo stati eliminati, a seguito della riforma del 2001, entrambi i presupposti giustificativi della suddetta interpretazione, è tornato in auge, sia pur nel mutato contesto normativo, l’orientamento prevalente sotto la vigenza della vecchia legge (criticato da Sarti), quello della cosiddetta “novità relativa”[14], intesa come assenza di identica divulgazione antecedente del prodotto, da valutare in maniera preventiva ed in termini rigorosamente oggettivi[15], tenendo conto del settore merceologico di riferimento e delle conoscenze diffuse tra gli operatori specializzati che operano al suo interno[16]. In più, l’emancipazione dallo “speciale ornamento”, da un lato, conferma oggi l’abbassamento della soglia di protezione dei disegni o modelli, i quali non debbono più necessariamente presentare elementi estetici pregevoli o particolarmente gradevoli propri di un design“di alta gamma”[17]; dall’altro, essa sancisce l’eliminazione della alternatività di tutela tra i disegni o modelli, il marchio di forma e la concorrenza sleale per imitazione servile (con la conseguenza che si potranno verificare molteplici ipotesi di cumulo)[18].
Infine, aderendo all’orientamento già invalso prima della riforma in tema di crowded art, anche oggi è possibile sostenere che quanto più numerose e simili sono le forme già divulgate in un determinato settore merceologico, tanto più bassa dovrà ritenersi la soglia di rilevanza dei dettagli distintivi che il nuovo prodotto deve possedere rispetto agli altri, ai fini della concessione della tutela[19].
[1]Sanna, art. 31 in Marchetti, Ubertazzi – Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Milano, 2012, Cedam, pp. 348 e 349. Si veda anche Guglielmetti, Pezzi di ricambio, interconnessioni e prodotti modulari nella nuova disciplina dei disegni e modelliinRiv. di Dir. Ind., fasc.1, parte I, 2002, pp. 6 e 7: l’autore, nel commentare il concetto di “visibilità” del componente incorporato in un prodotto complesso, di cui all’art. 5-quinquies della vecchia l.m.i. (che era stata appena riformata ex d.lgs. 95/01 in attuazione della Direttiva 98/71 CE, assumendo la stessa configurazione che oggi si rinviene nell’art. 35 c.p.i.), scriveva che non era possibile registrare quei “componenti che durante la normale utilizzazione scompaiono completamente alla vista essendo collocati all’interno del prodotto complesso” e , d’altra parte, già dal termine “aspetto” indicato nella legge (art. 5.2 l.m.i., oggi art. 31 c.p.i.), nonché dai riferimenti alle linee, ai contorni, ai colori, alla forma, alla struttura superficiale ed ai materiali “si può ricavare il principio generale secondo cui il modello riguarda sempre e soltanto l’apparenza esteriore del prodotto”. In senso contrario si veda quella dottrina tedesca menzionata da Philipp Fabbio,Disegni e modelli, Trento, 2012, p. 14, la quale ritiene opportuno tutelare, perlomeno in punto di fatto, i “disegni o modelli” tattili: tra gli altri Bulling, in Mitteilungen der deutschen Patentanwälte(mensile tedesco di proprietà intellettuale ed industriale), Carl Heymanns Verlag, 2005, pp. 170-171.
[2]R.D. 25.8.40 n. 1411, poi radicalmente modificato con d.lgs 95/01 in attuazione della Dir. 98/71 CE ed inserito nell’attuale codice della proprietà industriale con d.lgs. 30/05. V., in confronto, l’odierno art. 31 c.p.i.
[3]Infatti l’art. 1 l.m.i. (RD 1411 del 1940) statuiva: “Il regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127, sulle invenzioni industriali, oltre che a tali invenzioni, si applica anche alla materia: dei modelli di utilità; dei modelli e disegni ornamentali. Tuttavia le disposizioni del richiamato regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127, spiegano effetto nella anzidetta materia in quanto tale decreto sia applicabile, fatte salve, in ogni caso, le disposizioni degli articoli che seguono”.E proprio la Legge Invenzioni prevedeva, tra gli altri, il requisito della “novità”, intesa come un elemento che rendesse l’invenzione “non compresa nello stato della tecnica”, del quale, a sua volta, non facevano parte “le invenzioni accessibili al pubblico (…) prima della data di deposito della domanda di brevetto”(art. 14 L. Inv.). È evidente, tuttavia, che tale definizione, propria delle invenzioni tecnicamente innovative, mal si addicesse ad un ambito, quale quello dei disegni o modelli ornamentali, i cui tratti distintivi si collocano principalmente nel campo dell’estetica e non della tecnica. Questa considerazione è indicata anche da Sarti,La tutela dell’estetica del prodotto industriale, Milano, 1990, pp. 102-103,113, il quale prende atto che “le innovazioni estetiche presentino natura essenzialmente diversa da quelle tecnologiche”.
[4]In giurisprudenza, v, Cass. n. 1869 del 1965, n. 13620 del 1991, n. 2739 del 1991, n. 8773 del 1995 (sia pur con riferimento al modello d’utilità), ma anche Trib. Bologna 16.5.84, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1974, 551; Trib. Milano, 2.10.86, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1987, 2139, motiv. 294. In senso opposto v. Cass. n. 8394 del 1998 (ove la Suprema Corte ha reputato assente la “novità intrinseca” di alcuni specchietti retrovisori FIAT brevettati come modelli ornamentali). In dottrina, v. Fabiani, Disegni Modelli industriali, Padova, 1975, pp. 53-54; Greco e Vercellone, Le invenzioni e i modelli industriali, Torino, 1968, pp. 407-408; Algardi, Disegno industriale e arte applicata, Milano, 1977, p. 91.
[5]Veniva così concessa la privativa per modelli ornamentali, ad esempio, ad oggetti, soprammobili o souvenirs raffiguranti beni già esistenti in natura o creati dall’uomo: v. in questo senso App. Bologna 20.11.84, in Giur. Ann. Dir. Ind.,1984, 1816/1 (con riguardo alla creazione di fiori artificiali), Trib. Venezia 5.11.86, in Giur. Ann. Dir. Ind.,1984, 2081 (relativamente alla riproduzione di opere d’arte), Cass. n.1869 del 1965 (in tema di proteggibilità del disegno di un fiore apposto su una borsetta: la Suprema Corte accorda la tutela parlando di “novità oggettiva relativa”). Si veda anche, con esito opposto, Cass. n. 3180 del 1987, laddove, nel giudizio di contraffazione del brevetto ornamentale riferito ad una penna ad inchiostro dalla forma particolare, la Suprema Corte ha reputato insufficienti gli elementi di novità della penna del contraffattore, in quanto, si legge nei motivi, “ciò che conta è che non coincidano quegli elementi che tra loro coordinati confluiscono a dare al prodotto brevettato il suo aspetto estetico complessivo”;nel caso de quo quegli elementi erano (nonostante differenze reputate irrilevanti),sostanzialmente coincidenti, avuto riguardo anche al fatto che i due prodotti erano indirizzati alla medesima clientela, avendo “in comune la fascia più larga, quella dei consumatori medi”.In dottrina v. Bonasi Benucci, Tutela della forma nel diritto industriale (forme distintive e modelli industriali), Milano, 1963, p. 281; Di Cataldo,Art. 2593: Modelli e Disegni,in Il Codice Civile, Commentario, fondato da Piero Schlesinger, diretto da F.D.Busnelli:I brevetti per invenzione e per modello di utilità- I disegni e modelli, artt. 2584-2594, Milano, 2012, p. 298; Fabianie Spada, inRavà,Diritto industriale- Volume II: invenzioni e modelli industriali, Torino, 1988, pp. 239-241: gli autori scrivono che “la novità estrinseca non deve concretarsi in una novità oggettiva assoluta, come è, invece, per i modelli di utilità in cui vi è implicazione di problemi tecnici e quindi di distacco dallo stato della tecnica.” “Una novità assoluta non appare giustificata per forme attinenti all’aspetto esteriore del prodotto”. In senso opposto vi è la tesi di Sarti, che riprendendo anche parte della menzionata giurisprudenza (con lo scopo di confutarla), svolge un’accurata analisi sul tema, nel cap. IV (I requisiti sostanziali di brevettazione dei modelli ornamentali)de La tutela dell’estetica del prodotto industriale, Milano, 1990, p. 98 e pp. 132-139: l’autore, all’epoca dottrina minoritaria (si veda infatti l’orientamento prevalente della dottrina succitata, ed altresì Algardi,Disegno industriale e arte applicata, Milano, 1977, pp. 91 e ss., Fabiani, Disegni Modelli industriali, Padova, 1975, pp. 53-54; Greco e Vercellone, Le invenzioni e i modelli industriali, Torino, 1968, pp. 407, 408 etc.) si dimostrò sostenitore di una visione interpretativa a sostegno di una novità obiettiva ed assoluta, da intendersi non diversamente dal concetto di originalità. La concezione della novità relativa, secondo la sua innovativa interpretazione, non soltanto era priva di base normativa (dato il richiamo che la Legge modelli faceva alla “novità assoluta” contenuta nella Legge invenzioni) ma, richiedendo l’elemento della creatività, confondeva il piano della tutela autorale con quella brevettale.
[6]Si veda Di Cataldo in Il Codice Civile, Commentario, (fondato da Piero Schlesinger, diretto da F.D.Busnelli)– I brevetti per invenzione e per modello di utilità, I disegni e modelli, artt. 2584-2594, III ed. Milano, 2012, p. 298.
[7]L’art. 2593 c.c., pur modificato, è rimasto invece laconico e si limita a rinviare alla disciplina speciale: “chi ha ottenuto una registrazione per un nuovo disegno o modello che abbia carattere individuale, ha il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso, in conformità alle leggi speciali” (rectius:al c.p.i.).
[8]Su tale riferimento temporale, decorrente dal momento della presentazione della domanda di registrazione o di rivendicazione della priorità, la lettera della norma è chiara (anche nel far salve poi alcune ipotesi di predivulgazione, v. infra): v. Galgano, Trattato di diritto civile,vol III, parte XIII – L’impresa, Padova, 2010, p. 550 ; Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2012, p. 531; Murelli, Disegni e modelli nella attuale configurazione legislativa, in Ventiquattrore Avvocato, dicembre 2006, n.12, p. 56 ss.
[9]Cfr. art. 34 c.p.i.: la commercializzazione della vettura de quacostituisce una delle ipotesi di divulgazione anteriore sufficiente a far venir meno il requisito della novità del modellino che la riproduce.
[10]Questa era la tesi sostenuta (pre-riforma 2001), non senza difficoltà interpretative e di coordinamento normativo, da Sarti, in La tutela dell’estetica del prodotto industriale, Milano, 1990, pp. 134 ss. Contro questa visione v. Floridia, I disegni e modelli in Auteri-Floridia-Mangini-Olivieri-Ricolfi-Spada, Diritto industriale- proprietà intellettuale e concorrenza, III ed., Torino, 2009, p. 296, ove si legge: “non è (…) il caso di parlare di uno“stato dell’estetica dei prodotti industriali nel settore” come concetto parallelo allo “stato della tecnica” perché il raffronto con le anteriorità non postula un giudizio critico fra ciò che è noto e ciò che è nuovo, ma postula semplicemente un riscontro di identità”; Murelli, Disegni e modelli nella attuale configurazione legislativa,in Ventiquattrore Avvocato, dicembre 2006, n.12, p. 56 ss., la quale “nonostante l’acceso dibattito sulla questione”, ritiene che si possa affermare che “la novità non vada intesa in senso assoluto, ma solo relativamente al settore commerciale in cui il modello o disegno verrà utilizzato e quindi con riferimento agli operatori del settore del mercato territoriale per cui si richiede tutela (…)”.
[11]Così Fabbio, Disegni e modelli, Trento, 2012, pp. 21-23. Secondo le interpretazioni offerte dalla Commissione Ricorsi dell’EUIPO (ex UAMI), l’irrilevanza dei dettagli sussiste, in primo luogo, fintanto che quest’ultimi siano palesemente “esterni od accessori al progetto”in sé considerato. In secondo luogo, altro criterio valutativo (condiviso anche da dottrina e giurisprudenza italiane) consiste nell’escludere la rilevanza di tutte le modifiche operate a fini di adattamento tecnicoal prodotto. In terzo luogo, sono stati ritenuti irrilevanti anche tutti i dettagli che passano inosservati nell’economia complessiva del disegno o modello, in quanto minuscoli, irriconoscibili o ignoti agli occhi del consumatore. Un esempio si può rinvenire nella sentenza della Corte d’Appello di Milano, sez. spec. in materia d’impresa, del 21.12.12 che ha visto in lite la società automobilistica tedesca “BMW” e quella l’italiana “OMCI” (importatrice e distributrice, per l’Italia, di vetture prodotte dalla cinese “Shuanghuan”), in tema di contraffazione del design industriale di alcuni modelli di auto, in Riv. Dir. Ind., 2013, fasc. 2, parte 2, pp. 51 ss.: la Corte ha ritenuto “nuova” (ma non per questo avente anche “carattere individuale”) la diversa configurazione di ruote, bombature, profilature, parafanghi, portelloni posteriori, angolazione di parte dei finestrinietc., concretantesi in “dettagli rilevanti”. Nella giurisprudenza comunitaria, si veda ad es. la sentenza del Tribunale UE, sezione VI, del 21 novembre 2013, causa T-337/12, che ha visto contrapporsi la società spagnola “El Hogar Perfecto del Siglo XXI” e l’UAMI (oggi EUIPO).La prima aveva registrato in data 22.11.07 il disegno e il modello comunitario di un cavatappi. Due anni dopo, la società concorrente“Wenf International Advisers Ltd”, intervenientee controinteressata nel processo, presentava, presso l’UAMI, domanda di dichiarazione di nullità della suddetta registrazione, sul presupposto che il cavatappi de quofosse identico a quello da essa stessa prodotto e già registrato nel 1994 in Spagna. Il 12.9.10 l’UAMI accoglieva tale domanda dichiarando nulla la registrazione del cavatappi da parte della “El Hogar Perfecto del Siglo XXI”, la qualericorreva innanzi alla commissione ricorsi UAMI prima, al Tribunale UE dopo, risultando soccombente in ambi i casi. Si legge nella sentenza, in tema di novità (par. 43 e 44), che, sebbene vi fossero “alcune differenze a livello del manico, della lama, della spirale e della doppia leva (…) la lunghezza del manico del disegno o modello contestato è solo di poco inferiore a quella del manico del disegno o modello anteriore, e non è possibile riscontrare alcuna differenza significativariguardo alle dimensioni complessive, nonché alle proporzioni e alla disposizione dei vari elementi attorno al manico, dei disegni o modelli in esame, sia che essi siano in posizione aperta oppure in posizione chiusa (fonte:eur-lex.europa.eu). Per altri simili casi si vedano le decisioni delle commissioni di ricorso UAMI R1451/2009-3 del 2.10.10, par. 32; R1411/2007-3 del 7.7.08, par.20; R557/2007-3 del 17 aprile 2008, par.19; R1258/2008-3 del 7.5.09, par.27; R 2179/2010-3 del 26.10.11, par. 22, R196/2008 del 2.9.08, par. 15, indicate in Fabbio, Disegni e modelli, Trento, 2012, pp. 22 e 23.
[12]Il riferimento al carattere dell’industrialità costituiva, prima della riforma del 2001, uno degli elementi discretivi rispetto alla tutela autorale che, in virtù del criterio della scindibilità tra arte e industria, tutelava solo la prima, sul presupposto che la seconda fosse coperta, appunto, dal brevetto per disegno o modello ornamentale (v. art. 2 n. 5 L. sul diritto d’autore prima dell’emanazione del d.lgs. 95/01). Così Fabiani e Di Nicolantonio, I disegni e modelli industriali o artigianali, in La protezione delle forme nel codice della proprietà industriale, a cura di De Sanctis, Milano, 2009, p. 136.
[13]Sarti,I requisiti sostanziali di brevettazione dei modelli ornamentali,in La tutela dell’estetica del prodotto industriale, Milano, 1990, pp.98 ss. ; Bichi, La tutela della forma del prodotto e le nuove prospettive introdotte dalla direttiva comunitaria n.71/98,in Scritti di diritto industriale Segni e forme distintive – la nuova disciplina, collana diretta da Vanzetti e Sena, Milano, 2001, p. 239-240; Sarti,Marchi di forma ed imitazione servile di fronte alla disciplina europea del design,in Scritti di diritto industriale- Segni e forme distintive- la nuova disciplina, collana diretta da Vanzetti e Sena, Milano, 2001, p. 250.
[14]In questi termini, infatti, si esprime la recente dottrina. Ad es. Petraz, La protezione della forma alla luce delle nuove normative in materia, in La protezione della forma, Milano, 2007, p. 227, il quale scrive: “L’anteriorità distruttiva della novità rileva solo se è presente negli ambienti specializzati del settore interessato ed è conosciuta nella normale attività economica commerciale”, sia pur mitigando questo principio di relatività con la considerazione che le differenze fra i prodotti “non possono limitarsi a dettagli minimi ed irrilevanti” né risultare da “esperienze estetiche lontane nel tempo, se dimenticate o troppo sofisticate e circoscritte (…) ad un ristretto gruppo di cultori”; Fabbio, Disegni e modelli, Trento, 2012, p. 21, che parla di una nullità relativa sia dal punto di vista merceologico, sia spazio-temporale; Fabiani , Di Nicolantonio, I disegni e modelli industriali o artigianali, in La protezione delle forme nel codice della proprietà industriale, a cura di De Sanctis, Milano, 2009, p. 128, i quali ribadiscono che “una novità assoluta non appare giustificata per forme o aspetti attinenti all’aspetto esteriore del prodotto” ed “ è sufficiente che il disegno o modello abbia un aspetto diverso rispetto a quelli relativi ai prodotti considerati”; v. anche Gargiulo, Industrial design e marchi di forma nella prospettiva del secondary meaning, in Il Dir. Ind., n. 5 del 2008, p. 432. In giurisprudenza, già prima della riforma, v. Trib. Vicenza 18.10.00, in Giur. Ann. Dir. Ind. N. 4244, 405, 409; App. Milano 2.11.99 in Giur. Milanese, 2000, p. 140; Cass. N. 7077 del 1990.
[15]V. Scordamaglia, La nozione di disegno e modello nelle proposte di regolamentazione comunitariain Riv. di Dir. Ind., fasc. 3, parte I, 1995, p. 143; Di Cataldo, Dai vecchi disegni e modelli ornamentali ai nuovi disegni e modelli – I requisiti di proteggibilità secondo il nuovo regime inEuropa e Diritto Privato, 2002, p. 72;
[16]Così Fittante, La nuova tutela dell’industrial design,Milano, 2002, p. 51.
[17]Così Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale,Milano, 2012, p. 531 e Floridia, I disegni e modelliin Auteri-Floridia-Mangini-Olivieri-Ricolfi-Spada,Diritto industriale- proprietà intellettuale e concorrenza, III ed., Torino, 2009, p. 290; Gargiulo, Industrial design e marchi di forma nella prospettiva del secondary meaning in Il Dir. Ind., n. 5 del 2008, pp. 433-434, per il quale possono oggi costituire oggetto di tutela anche forme assolutamente semplici, prive di un reale gradiente estetico, ma capaci di imporsi all’attenzione del consumatore”; si veda anche Ricolfi,nella nota a Trib. Udine, 28.1.02, in Giur.It., 2002, p.1664: l’autore sostiene che, con la nuova disciplina introdotta con d.lgs. 95/01 e l’eliminazione del requisito dello speciale ornamento, “il grado di originalità richiesto per accedere alla speciale tutela che è assicurata dalla registrazione del modello risulta ora senz’altro ridotto e non aumentato”.
[18]Si tenga presente che l’alternatività con la tutela d’autore è caduta, similmente, attraverso l’inserimento dei prodotti “artigianali” nell’art. 31, c.2 c.p.i. e la contestuale aggiunta dell’art 2 n.10 l.a. (che protegge mediante diritto d’autore le opere del disegno industriale) ad opera del d.lgs. 95/01.
[19]V. Sarti, I requisiti sostanziali di brevettazione dei modelli ornamentali,in La tutela dell’estetica del prodotto industriale, Milano, 1990, p.129-130; Liuzzo, Strumenti di protezione delle forme nel campo della proprietà intellettualeinPetraz, La protezione della forma, Milano, 2007, p. 48, che richiama la dottrina della crowded arta mente della quale “nei settori (…) in cui convivono numerosi prodotti dalle forme similari, anche differenze modeste rispetto alle forme preesistenti possono dar luogo ad un valido modello”; Petraz, La protezione della forma alla luce delle nuove normative in materia, in La protezione della forma, Milano, 2007, p.227;sul minor rigore del giudizio sulla novità nei settori “affollati”, v. ancheMagelli, L’estetica nel diritto della proprietà intellettuale, Padova,1998, p.76; Vanzetti, I diversi livelli di tutela delle forme ornamentali e funzionali,in Riv. Dir. Ind., 1994, fasc. 2, parte I, p. 319; De Sanctis, I disegni e modelli ornamentali dopo la direttiva 98/71 CE, in AIDA, 1999, p. 300. In giurisprudenza, v. ad es. Trib. Roma 30.9.77 in Giur. Ann. Dir. Ind., 1977, p. 981.
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