sabato, Aprile 27, 2024
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Reati sessuali e soggetti vulnerabili

Reati sessuali e soggetti vulnerabili: la posizione del minore “mero testimone” del reato è paragonabile a quella minore che è persona offesa dal reato? La parola alla Consulta

La Corte costituzionale con la sent. n.14 del 5 febbraio 2021 si è pronunciata sull’art. 392, comma 1-bis c.p.p. che disciplina le ipotesi di cd. incidente probatorio “speciale o atipico” introdotto dalla legge n. 66/1996, con cui si introduce una deroga rispetto ai presupposti ordinariamente richiesti per l’ammissione dell’incidente probatorio (previsti dal comma 1 dell’art. 392 c.p.p.).

La Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis c.p.p. sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost. “nella parte in cui prevede che, nei procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche persona offesa dal reato[1]”.

A parere del gip nell’ordinanza di rimessione la previsione dell’art. 392, comma 1-bis c.p.p. che di fatto impone l’anticipazione alla sede incidentale dell’escussione non solo dei minorenni che siano persone offese dal reato ma anche di coloro che siano solo “meri testimoni”, operando una equiparazione tra le due categorie di soggetti, non sarebbe ragionevole perché porterebbe a priori all’audizione del minore con l’incidente probatorio , senza lasciare al giudice un adeguato spazio di valutazione “in ordine alla specificità del singolo caso, alla concreta prevedibilità o meno di possibili conseguenze traumatiche della loro audizione, alla esigenza o meno di anticipata audizione degli stessi[2]”.

Dato che la norma in esame sembra correlare l’incidente probatorio del minorenne sia persona offesa sia “mero testimone” alla tipologia dei reati e all’età del testimone, si potrebbe riscontrare, a parere del rimettente, una violazione del principio dell’immediatezza della prova che implica l’identità fisica tra il giudice che assiste alla assunzione delle prove e quello che decide (il giudice dibattimentale che è l’organo deputato all’emissione della sentenza) “senza alcuna necessità o utilità processuale[3]” e questo vulnus non sarebbe sanato neanche dall’art. 190-bis, comma 1-bis c.p.p. ( per cui nei procedimenti che riguardano i reati sessuali l’esame di un testimone minore degli anni diciotto è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze) perché si tratta di una norma eccezionale e la cui applicazione dipende dalla valutazione discrezionale del giudice del dibattimento. Inoltre la posizione del testimone minorenne appare già tutelata dagli artt. 472, ultimo comma e 498 c.p.p. che prevedono anche in fase dibattimentale delle modalità di audizione che mirano ad assicurargli una tutela particolare: il primo prevede la possibilità che il giudice dibattimentale disponga l’esame a porte chiuse del minore, mentre il secondo prevede modalità particolari per l’esame testimoniale come la possibilità di avvalersi dell’ausilio di un suo familiare o di un esperto in psicologia infantile.

Inoltre, per il giudice a quo nel caso di specie non sarebbe necessario ricorrere all’incidente probatorio per l’audizione della testimone minorenne, perché non si riscontrerebbero esigenze di tutela particolare della stessa (perché prossima alla maggiore età) o la possibilità di compromettere la veridicità delle sue dichiarazioni se differite al dibattimento: infatti in riferimento al minore che sia solo testimone del reato non vi sarebbe il pericolo di una “vittimizzazione secondaria”, dato che non vi sono ragioni per ritenere che per  chi sia stato solo testimone dei fatti l’audizione dibattimentale sia di per sé un’esperienza traumatizzante, né che vi sia il pericolo che la memoria del teste si perda nei tempi ordinariamente necessari per la istruttoria dibattimentale[4]”.

La Corte dichiara la questione non fondata, motivando la decisione attraverso un percorso argomentativo che mira a evidenziare la ratio della disposizione censurata e le caratteristiche del sistema normativo di appartenenza. L’art. 392, comma 1-bis c.p.p. è stato introdotto dalla legge n. 66/1996 (Norme contro la violenza sessuale) ed è parte di un sistema normativo che punta a predisporre strumenti e misure atte a tutelare in maniera adeguata soggetti che versano in condizioni di vulnerabilità (ad esempio i minori) che siano coinvolti in procedimenti penali diretti all’accertamento di reati sessuali: la norma in esame prevede l’assunzione anticipata in sede di incidente probatorio dei contenuti testimoniali di soggetti vulnerabili per impedire fenomeni di “vittimizzazione secondaria” ed evitare l’esperienza difficile e psicologicamente traumatica di rendere testimonianza in pubblico dibattimento su fatti e circostanze legati all’intimità e connesse a situazioni di violenza subita o cui si è assistito.  L’obiettivo principale perseguito dal legislatore con l’introduzione della figura dell’incidente probatorio “speciale” è stato quello di tutelare la personalità del minore e permettergli di uscire dal circuito processuale quanto prima e liberarsi delle conseguenze psicologiche dell’esperienza.

Sono correlate alla norma in esame e parte di questo sistema normativo anche quelle disposizioni che predispongono modalità particolari per l’escussione del minore: si pensi all’art. 398, comma 5-bis c.p.p. (in base al quale se si procede per questi reati il giudice stabilisce luogo, tempo e modalità particolari attraverso i quali procedere all’incidente probatorio se tra le persone da sottoporre ad audizione ci siano minorenni “quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno[5]”) e l’art. 498, commi 4 ss. c.p.p. ( si pensi al possibile ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile).

La Corte ritiene che alla base della normativa in esame vi siano due finalità concomitanti: una di natura extraprocessuale e l’altra di natura endoprocessuale.

La prima tende a tutelare il minorenne di fronte situazioni che potrebbero esporlo a traumi psicologici: si pensi alla deposizione in pubblica udienza in tribunale, all’esame e al controesame del pubblico ministero e dei difensori su fatti e circostanze legati all’intimità della persona o al dover testimoniare di fronte all’imputato, la cui sola presenza potrebbe essere motivo di timore o disagio.

La seconda finalità mira ad assicurare una garanzia all’imputato rispetto alla genuinità della prova, tutelandolo dal pericolo di “deperimento dell’apporto cognitivo[6]” in riferimento al mantenimento dei ricordi del teste: per la Corte, infatti, secondo l’orientamento già espresso in una pronuncia precedente (sent. n. 92 del 2018) esporre il minore all’esame testimoniale può rivelarsi un’esperienza traumatica tale da incidere negativamente sulle capacità comunicative e mnemoniche dello stesso e compromettere la genuinità della prova, per cui ammettere l’acquisizione anticipata della sua testimonianza in sede incidentale e in un momento più vicino alla commissione del fatto (rispetto al rinvio al dibattimento) potrebbe rivelarsi una maggiore garanzia proprio per l’imputato.

Il concorso di queste finalità sorregge la normativa censurata (e il sistema normativo di cui fa parte) e non va ad intaccare la sua natura eccezionale in quanto nell’ammettere la formazione della prova in una fase antecedente al dibattimento, favorendo “l’ingresso di contenuti testimoniali[7]” sulla base di una presunzione di indifferibilità e non rinviabilità della prova per la natura dei reati contestati e la presenza di soggetti vulnerabili da esaminare, introduce una deroga al principio dell’immediatezza della prova che postula “l’identità tra il giudice che acquisisce le prove e quello che decide[8]”.

La Corte dichiara la questione non fondata in riferimento a entrambi i parametri evocati nell’ordinanza di rimessione attraverso alcune considerazioni sulla disposizione censurata e il sistema normativo di riferimento.

In primo luogo ritiene non ingiustificata l’equiparazione che la norma censurata opera tra la testimonianza del minore che sia persona offesa dal reato e quella del mero testimone, poiché è presumibile che entrambi i soggetti versino in una condizione di vulnerabilità e che presentino, quindi, una medesima esigenza di protezione e in virtù di ciò il giudice potrebbe essere indotto ad assumere in via anticipata la testimonianza di entrambi i soggetti: il primo per aver vissuto un’esperienza in re ipsa traumatizzante ed essere chiamato a riferire su fatti legati a violenze subite; il secondo per aver appreso o assistito ad esse.

In secondo luogo, la Corte sottolinea come la presunta equiparazione tra le due categorie di soggetti operata dalla disposizione in esame non travalichi la sfera di discrezionalità riservata al legislatore nella “conformazione degli istituti processuali anche in materia penale[9]” e non può perciò essere ritenuta manifestamente irragionevole.

In terzo luogo mostra come l’eccezione introdotta al principio dell’immediatezza della prova sia contemperata da previsioni che mirano a garantire il diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini: se la richiesta di incidente probatorio viene avanzata dal pubblico ministero, quest’ultimo dovrà depositare tutti gli atti di indagine compiuti e l’indagato e i difensori avranno il diritto di ottenerne copia, mettendo in tal modo la persona sottoposta alle indagini in condizione di poter esercitare pienamente il suo diritto al contraddittorio nel corso dell’esame testimoniale del minore. Inoltre, al giudice resta sempre un certo margine di discrezionalità nella scelta delle modalità con cui procedere all’audizione del minore per contemperare l’esigenza di protezione di quest’ultimo con le garanzie difensive dell’indagato, potendo optare per un contraddittorio pieno quando ritenga che “l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste” (art. 498, comma 4 c.p.p.) o per modalità diverse che assicurano tutele maggiori al soggetto vulnerabile, come previsto dalle disposizioni esaminate in precedenza.

[1] Corte Costituzionale, sent. n. 14, 5 febbraio 2021, punto 1 del Ritenuto in fatto

[2] Ivi, punto 1.1 del Ritenuto in fatto

[3] Ibidem

[4] Ibidem

[5] Art. 398, comma 5-bis c.p.p.

[6] Corte Costituzionale, sent. n. 14, 5 febbraio 2021, punto 4.2.2 del Considerato in diritto.

[7] Ivi, punto 5 del Considerato in diritto .

[8] Corte Costituzionale, ord. n. 381, 29 luglio 2008.

[9] Corte Costituzionale, sent. n.14, 5 febbraio 2021, punto 5 del Considerato in diritto. Sul punto si vedano anche Corte Costiuzionale, sent. n. 137 del 2020, n. 31 e n. 20 del 2017, n. 216 del 2016.

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