venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Che ruolo svolge la sentenza dichiarativa di fallimento nel reato di bancarotta?

Diversi orientamenti e un caso di specie: Sentenza Ravenna-Calcio

L’imprenditore commerciale risponde di bancarotta fraudolenta o semplice “se dichiarato fallito”; ne deriva allora, che accanto alla commissione dei fatti elencati dall’art. 216 e 217 della l.fall., occorre che vi sia stato fallimento. È opportuno allora porsi un quesito: che ruolo svolge la sentenza dichiarativa di fallimento nel reato di bancarotta?

Secondo la concezione tradizionale di origine privatistica la bancarotta consiste nel fallimento dell’imprenditore, preceduto o seguito da fatti dolosi tassativamente previsti dal legislatore e il fallimento rappresenta l’elemento centrale del reato, mentre i singoli fatti di bancarotta rappresentano l’elemento morale. ( Antolisei,2008,49)

Giurisprudenza e dottrina hanno orientamenti differenti sul ruolo da assegnare alla dichiarazione giudiziale d’insolvenza rispetto ai delitti di bancarotta. Le Corti annoverano la sentenza dichiarativa di fallimento tra gli elementi costitutivi del reato, ma spesso giungono a risultati interpretativi incerti. Mentre l’opinione  prevalente in dottrina considera il  fallimento come  condizione obiettiva di punibilità, a norma della nozione che si ricava dall’art. 44 c.p.

Accanto a questa concezione si registrano tuttavia dei pareri divergenti:

Antolisei ritiene che la pronuncia di fallimento sia una condizione di punibilità che presenta delle caratteristiche speciali, non potendo considerarsi estrinseca al reato, avendo un valore determinate nell’economia dello stesso. Secondo Perdrazzi la concezione analizzata metterebbe in questione la costituzionalità delle fattispecie di bancarotta, in particolare alla luce del principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 co. 1 Cost.).

Nessuno degli argomenti sostenuti dalla dottrina è stato accolto dalla giurisprudenza, tradizionalmente ferma sullo storico precedete della sentenza del 25 gennaio 1958 delle Sezioni Unite, secondo la quale: “ la sentenza dichiarativa di fallimento non è condizione di punibilità, ma elemento indispensabile per qualificare come reati , nelle ipotesi di bancarotta prefallimentare, fatti e comportamenti che, diversamente, rimarrebbero leciti e indifferenti.“  

Emblematica è la vicenda della sentenza Ravenna Calcio,  Sent. V Sezione N°. 47502 del 24 Sett. 2012, in quanto la Corte, andando contro le precedenti pronunce, afferma che: “nel reato di Bancarotta Fraudolenta patrimoniale per distrazione lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso, e pertanto deve porsi in rapporto casuale con la condotta dell’agente, e deve altresì essere soggetto dall’elemento soggettivo del dolo. “    

Il caso di specie riguarda il fallimento della società Ravenna Calcio S.r.l., al cui default è conseguita la condanna, a titolo di bancarotta, dei componenti della famiglia Corvetta, vertici del club calcistico. A questi ultimi è stato addebitato di aver distratto ingenti somme di denaro dal patrimonio del predetto club, al fine di finanziare la Misano navigazione S.p.A., altra impresa riconducibile ai Corvetta. Il capo d’imputazione formulato nei confronti degli imputati riguarda l’illecito di bancarotta per distrazione, previsto all’art. 223, comma primo, L.Fall.

La Corte d’Appello aveva pronunciato la condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta societaria ex art. 223 co. 1 in relazione all’art. 216 co. 1 n. 1 l. fall. considerando che non fosse necessaria un’indagine sul nesso causale tra le condotte compiute dagli imputati e la dichiarazione di fallimento.

Contro tale sentenza fu proposto ricorso in cassazione.

La soluzione adottata nel caso di specie presenta comunque dei nodi irrisolti; da un lato questa sentenza ha il merito di rimettere in discussione un orientamento consolidato della dottrina, negando alla dichiarazione di fallimento natura di condizione obiettiva di punibilità, dall’altro la sottrae alle regole generali sull’imputazione oggettiva e soggettiva di cui agli artt. 40-43 c.p., senza giustificare in maniera plausibile il fondamento normativo di questa deroga.

La parentesi aperta con la sentenza Ravenna Calcio è stata definitivamente chiusa da un recente provvedimento della Corte di Cassazione che ha affermato: “attraverso il primo comma dell’art 216 l.f. il legislatore ha voluto punire condotte che attentano all’integrità della garanzia patrimoniale dei creditori, indipendentemente dalla loro effettiva incidenza causale sulla determinazione del fallimento, ancorchè sul piano fattuale, ben possano registrarsi (e invero frequentemente si registrano) casi in cui le condotte normotipo effettivamente determinano il dissesto dell’impresa”. (Cass. Pen. Sez.V,5 dicembre 2014 dep. 15 aprile 2015, n 15613, Pres. Lombardi, Est. Savani e Pistorelli, Imp. Geronzi e altri)

In conclusione riguardo la bancarotta pre-fallimentare è indiscusso il fatto che la dichiarazione di fallimento segna il momento consumativo del reato, non essendo rilevante il momento storico in cui la condotta tipica è stata tenuta. Nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta post-fallimentare la tesi prevalente configura la sentenza dichiarativa di fallimento come un presupposto del retato. Il reato in questo caso si considera consumato nel momento in cui è posta in essere la condotta tipica.

Mariaelena D'Esposito

Mariaelena D'Esposito è nata a Vico Equense nel 1993 e vive in penisola sorrentina. Laureata in giurisprudenza alla Federico II di  Napoli, in penale dell’economia: “bancarotta semplice societaria.” Ha iniziato il tirocinio forense presso uno studio legale di Sorrento e spera di continuare in modo brillante la sua formazione. Collabora con ius in itinere, in particolare per l’area penalistica.

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