lunedì, Ottobre 7, 2024
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Esiste la responsabilità oggettiva della Pubblica Amministrazione? L’intervento dell’Adunanza Plenaria

A cura di Pasquale La Selva

Qual è la differenza tra responsabilità soggettiva e responsabilità oggettiva? Non lo si specifica perché si dubita delle conoscenze giuridiche del lettore, bensì perché le definizioni sono utili come parametro per effettuare una analisi critica sull’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che si è pronunciata circa il risarcimento del danno in una circostanza peculiare, qualificando la responsabilità dell’amministrazione come oggettiva piuttosto che soggettiva.

Responsabilità soggettiva: nell’ambito del diritto penale (al quale si richiama la stessa AP) si fa riferimento alla responsabilità soggettiva per individuare quei casi in cui un soggetto risulta responsabile per aver provocato un illecito, attraverso un atto doloso o colposo, imputabile alla propria condotta.

Responsabilità oggettiva: è una forma di responsabilità secondo la quale un soggetto è chiamato a rispondere di un illecito, senza che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa. È necessaria l’esistenza di un nesso psichico tra il fatto illecito ed il comportamento dell’individuo (terzo, come ad es. la responsabilità dei genitori, tutori, animali ecc.).

Può una Pubblica Amministrazione dunque, essere imputata di una responsabilità oggettiva?

Nel 2014 l’ANAS s.p.a. ha indetto una gara per l’affidamento di lavori di manutenzione straordinaria su alcuni viadotti. Al termine della procedura ad evidenza pubblica, l’ANAS ha aggiudicato la gara ad una società di costruzioni, subordinando l’efficacia e l’esecutività dell’aggiudicazione alla verifica del possesso dei requisiti dichiarati dal concorrente in sede di gara.

L’anno successivo l’amministrazione, resasi conto di alcune irregolarità nei requisiti autodichiarati da parte della società, ha annullato l’aggiudicazione, attribuendola conseguentemente alla società di costruzioni seconda classificata.

Successivamente, la società prima classificata ha impugnato gli atti di fronte al TAR Calabria – Catanzaro, che con sentenza 903/2015 ha accolto il ricorso e per effetto consequenziale, ha annullato l’aggiudicazione dell’appalto alla società seconda in graduatoria.

La seconda società dunque, di tutta risposta ha impugnato la sentenza del TAR Calabria – Catanzaro, chiedendone inoltre la sospensione in via cautelare.

Il Consiglio di Stato (IV Sezione) dunque, all’esito della camera di consiglio fissata per la decisione dell’istanza cautelare, riconoscendo un contrasto riguardante la regolarizzazione del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) dichiarato negativo, ha deciso di rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, respingendo la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del TAR Calabria.

Nel 2016 l’Adunanza Plenaria ha accolto il ricorso della seconda società ricorrente in appello, respingendo con sentenza 6/2016 così il ricorso proposto in primo grado dalla prima società vincitrice, dichiarando quanto segue: «Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, comma 3, del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto».

Ancora, nella sentenza dell’AP si evince che: «nel caso di specie è pacifico […] che la posizione MAS Costruzioni nel momento in chi ha reso la dichiarazione ai fini della partecipazione alla gara non era regolare (cfr. nota Inail del 9 dicembre 2014 che conferma l’irregolarità contributiva dell’impresa MAS alla data del 27 agosto 2014).

 Risulta accertato, quindi, che la concorrente in sede di gara ha attestato, contrariamente al vero, la regolarità della posizione contributiva e che solo successivamente alla conoscenza dell’aggiudicazione ha proceduto alla relativa regolarizzazione.

 Nel caso di specie, peraltro, MAS Costruzioni era certamente consapevole della propria irregolarità contributiva, trattandosi di contributi dovuti in autoliquidazione, rispetto ai quali l’impresa ha prima chiesto la rateizzazione, senza poi corrispondere quanto dovuto.

 La dichiarazione ex art. 38, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 163 del 2006 è stata, quindi, resa nella piena consapevolezza della non corrispondenza al vero».

In questa sede dunque, la società lesa lamentando l’inottemperanza da parte dell’ANAS che non aveva dato attuazione al giudicato dell’AP formatosi nel 2016, ha chiesto in via principale di provvedere per vedersi aggiudicata definitivamente la gara d’appalto ed in subordine, ove sia acclarata l’impossibilità di aggiudicare l’appalto, il risarcimento del danno.

L’ANAS si è difesa argomentando che non vi era stata alcuna inottemperanza al giudicato in quanto quest’ultimo è intervenuto dopo l’ultimazione dei lavori oggetto dell’appalto, con conseguente impossibilità di far rientrare la seconda società partecipante nei lavori; in merito alla domanda di risarcimento del danno, l’ANAS ha sostenuto che non vi fosse responsabilità, essendosi limitata a dare attuazione alla sentenza del TAR Calabria, poi riformata dall’Adunanza Plenaria nel 2016, non sospesa in via cautelare, motivo per il quale la sentenza del TAR aveva efficacia sino alla ultimazione dei lavori. Secondo l’Ente per le Autostrade dunque la responsabilità del risarcimento del danno ricadrebbe in capo alla prima vincitrice, perché avrebbe partecipato comunque alla gara pur sapendo della irregolarità che possedeva.

L’Adunanza Plenaria inizia la propria trattazione partendo anzitutto dalla fondatezza della domanda di risarcimento del danno, che effettivamente sussisterebbe ai sensi dell’art. 112 comma 3 c.p.a.

Nel caso di specie, il danno lamentato è quello di non aver ottenuto l’esecuzione in forma specifica del giudicato e non aver potuto prendere parte ai lavori, in quanto, non essendo stata sospesa l’esecutività della sentenza del giudice di primo grado, la sentenza dell’AP del 2016 è intervenuta solo dopo che i lavori erano stati ultimati.

Appurato che l’illecito che provocherebbe il risarcimento del danno è dotato di peculiarità rispetto alla responsabilità civile, questo non riveste la qualifica di “violazione o elusione del giudicato” (presupposto specificato dal comma 3), ma di mera impossibilità, che è un fatto diverso dalla violazione o elusione del giudicato, ma che è comunque tutelato dalla norma contenuta nell’art. 112.

La norma dunque trascende da un dato tipicamente processuale, ma contiene anche un dato sostanziale, perché in deroga alla disciplina generale della responsabilità civile, ammette una forma di responsabilità che prescinde dall’inadempimento imputabile alla parte tenuta ad eseguire il giudicato. La deroga è in particolar modo al regime di responsabilità da inadempimento dell’obbligazione ex art. 1218 c.c., secondo il quale il debitore si libera dall’obbligazione solo se prova che l’inadempimento è stato determinato da una impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Secondo l’Adunanza Plenaria dunque, questa ipotesi di responsabilità (che darebbe diritto alla ricorrente al risarcimento del danno) è una forma di responsabilità che, nei casi di impossibilità non imputabile a violazione o elusione del giudicato, sarebbe qualificata come responsabilità oggettiva, dal momento in cui mancherebbe l’elemento soggettivo (dolo o colpa), ma sussisterebbe il rapporto di causalità e l’antigiuridicità della condotta.

In ragione della peculiarità e difficoltà del caso in esame, l’Adunanza Plenaria ha esplicato in maniera esauriente tutti gli elementi di fatto e di diritto, arrivando così ad enunciare alcuni principi di diritto:

  • Dal giudicato amministrativo, una volta verificata la fondatezza della pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di discrezionalità nel successivo esercizio del potere, nasce ex lege, in capo all’amministrazione, un’obbligazione, il cui oggetto consiste nel concedere “in natura” il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza.
  • L’impossibilità sopravvenuta di esecuzione in forma specifica dell’obbligazione nascente dal giudicato, non estingue l’obbligazione, ma la converte, ex lege, in una diversa obbligazione, di natura risarcitoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato in sostituzione dell’esecuzione in forma specifica; l’insorgenza di tale obbligazione può essere esclusa solo dalla insussistenza originaria o dal venir meno del nesso di causalità, oltre che dell’antigiuridicità della condotta.
  • In base agli articoli 103 Cost. e 7 c.p.a., il giudice amministrativo ha giurisdizione solo per le controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione o un soggetto ad essa equiparato, con la conseguenza che la domanda che la parte privata danneggiata dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione in forma specifica del giudicato proponga nei confronti dell’altra parte privata, beneficiaria del provvedimento illegittimo, esula dall’ambito della giurisdizione amministrativa.
  • Nel caso di mancata aggiudicazione, il danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno cd. Curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Spetta, in ogni caso, all’impresa danneggiata offrire, senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova rigorosa dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64 commi 1 e 3 c.p.a.), e la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità di una precisa prova sull’ammontare del danno.
  • Il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato o potuto riutilizzare mezzi e manodopera per altri lavori, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.

All’esito della trattazione dei fatti, l’Adunanza Plenaria ha accolto la domanda di risarcimento del danno nei confronti dell’ANAS, a titolo di responsabilità oggettiva.

Appare difficoltoso poter immaginare una ipotesi di responsabilità oggettiva dell’Amministrazione, eppure la giurisprudenza amministrativa recente sta remando proprio in questa direzione.

Nel caso in esame, sembrerebbe quasi che la responsabilità oggettiva dell’Amministrazione sia stata creata ad hoc per ottemperare ad un problema più rilevante, ovvero quello dell’inerzia dei giudici di fronte alla efficacia della sentenza di primo grado.

Il piano di analisi non è tanto quello della responsabilità oggettiva dell’Amministrazione per l’inottemperanza del giudicato da parte della prima società vincitrice, bensì è l’errore effettuato dai giudici, nell’aver negato l’istanza cautelare, ad essere il vero nodo della questione da sciogliere.

Non potendosi ravvisare una ipotesi di responsabilità dei giudici per l’inottemperanza del giudicato (avrebbero dovuto sospendere l’efficacia della sentenza di primo grado), la cd. patata bollente se l’è dovuta sorbire la Pubblica Amministrazione, vittima, questa volta, di un errore processuale non imputabile alla stessa.

Pasquale La Selva

Pasquale La Selva nasce a Napoli il 22 Febbraio 1994. Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo "Il socio pubblico e la golden share", a relazione del Prof. Fiorenzo Liguori, ed ha conseguito, presso il Dipartimento di Scienze Politiche dello stesso Ateneo la laurea magistrale in Scienze della Pubblica Amministrazione, con una tesi sulle "competenze e poteri di ordinanza tra Stato, Regioni ed Enti Locali nell'emergenza sanitaria" a relazione del Prof. Alfredo Contieri. Pasquale ha conseguito anche un Master di II livello in "Compliance e Prevenzione della Corruzione nei settori Pubblico e Privato" presso l'Università LUMSA di Roma, con una tesi sulla rotazione del personale quale misura anticorruttiva. Pasquale è direttore del Dipartimento di diritto amministrativo di Ius in itinere ed è praticante avvocato. Durante il periodo degli studi, Pasquale è stato anche un cestista ed un atleta agonista: detiene il titolo regionale campano sui 400 metri piani della categoria “Promesse” dell'anno 2016, è stato vice campione regionale 2017 della categoria "assoluti" sulla stessa distanza, ed ha partecipato ad un Campionato Italiano nel 2016. Contatti: pasquale.laselva@iusinitinere.it

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