Second hand market: oltre la tendenza
1. Un nuovo mercato: il second hand market
Il 9 marzo 2020 ha segnato un giorno catastrofico per il retail costringendo qualsivoglia punto vendita ad abbassare la saracinesca per oltre 60 giorni. L’interesse dei consumatori abituali del lusso, tuttavia, non si è certamente placato ma ha continuato a tenere vivi i diversi brand attraverso gli acquisti online e favorendo l’uso di piattaforme di e-commerce che hanno registrato un’impennata del 150% delle vendite, acquisendo ogni giorno nuovi utenti ed aprendo – a questi ed alle aziende già digitalizzate – nuovi e molteplici scenari. La situazione economico-politica retta da incertezza e calo del potere d’acquisto della maggior parte degli acquirenti ha fatto sì che in rete si incontrassero due nuove necessità dettate del Covid-19: quella dei grandi collezionisti di monetizzare dismettendo i loro pezzi unici e quella dei clienti in cerca di prezzi vantaggiosi restando però fedeli ai brand di lusso. Viene così alla luce una fetta di mercato troppo spesso considerata di nicchia: il second hand. Da non confondere con il vintage, questo nuovo mercato si sviluppa su siti dedicati che si occupano di fare da tramite tra venditore ed acquirente o che più semplicemente (è questo il caso di TheRealReal) acquisiscono in conto vendita diversi pezzi da inventariare e rivendere in magazzini fisici.
1.2 Economia ed ecologia
Il second hand market si rivela una strategia di marketing mossa prevalentemente da due fattori: il risparmio e l’attenzione verso l’ambiente. Se da una parte infatti l’acquisto dell’usato consente al cliente di ottenere il pezzo desiderato ad un prezzo con un margine di sconto pari ad almeno al 35%, dall’altra fa si che si riducano le emissioni di anidride carbonica legate alla produzione diventando questa la scelta più ecologica possibile e contribuendo in questo modo allo sviluppo di una vera e propria economia di mercato che attualmente in Italia forma l’1,2% del PIL[1]. Il risparmio si aggira intorno ai 4,5 milioni di tonnellate di CO2, dato realizzato attraverso l’analisi del ciclo di vita, metodo scientificamente riconosciuto che si prefigge di calcolare l’impatto ambientale che genera la vendita di un prodotto usato sostituita quella di una nuova produzione con tutti gli oneri che ne conseguono: gestione dell’ordine, ripartizione e consegna[2].
Attenzione ambientale e responsabilità sociale, dunque, si impongono sulle nuove abitudini commerciali – soprattutto tra gli under 30 – che rivendono per acquistare un modello superiore assicurandosi di stare al passo con la moda mentre il target superiore che ricopre una quota del 18% delle vendite ricerca articoli per la casa prevalentemente seguiti dalle nuove tecnologie[3].
La fotografia oggettiva di quanto succede attualmente nel mercato second hand ce la fornisce il report annuale del miglior sito mondiale di reselling: Vestaire Collective; “The smart side of fashion” – questo il nome della relazione stilata – ha riportato solo nel mese di maggio 2020 un aumento dei depositi pari all’88% e contestualmente un aumento degli ordini del 119%. I marchi più acquistati sono stati Adidas e Nike, spinti soprattutto dalle nuove necessità di inside workout. Hermes è cresciuta del 68% e Louis Vuitton segue con il 23%.
Creare guardaroba di valore, rispettare i nuovi canoni ambientalisti, innovare risparmiando: saranno questi i nuovi pilastri della moda che porteranno inevitabilmente il mercato del second hand a superare quello ormai saturo del fast fashion. Gli utenti attenti ai movimenti dei big del lusso hanno addirittura richiesto che siano proprio le aziende a creare dei canali diretti di vendita del proprio usato così da garantirne la provenienza e quindi autenticità[4].
2. La scelta del regime fiscale
Le problematiche legate ad un mercato del genere si legano prevalentemente all’autenticazione del prodotto e dunque alla possibilità di ricevere prodotti contraffatti e come evitarlo e in secondo luogo alla difficile questione dell’inventariare gli items e far sì che domanda ed offerta siano incanalati in modo corretto; quest’ultima fattispecie concerne un’attenta selezione non solo di chi venda ma anche di cosa questi immetta in mercato[5].
L’imporsi di questa nuova tipologia di vendita ha creato interminabili interrogativi su quale fosse il regime fiscale corretto da adottare per chi, come moltissimi utenti, percepisce un ricavo dalle transazioni effettuate online.
A prescindere dal quantitativo d’utile è bene ricordare che un privato che venda un bene personale usato non sta ponendo in essere alcuna attività economicamente utile ossia un’attività che produca plusvalore e di conseguenza alcun reddito da dover tassare. La prospettiva cambia qualora ad essere venduti non siano più beni personali; a questo punto si configurerà un’attività economica come tale soggetta a precisi adempimenti fiscali[6].
La vendita dell’usato su portali online va distinta in tre categorie: vendite una tantum, attività commerciale occasionale e attività commerciale abituale. Vediamole separatamente.
2.1 Vendita una tantum
Come specificato precedentemente, chi si libera di un bene personale cercando acquirenti su internet o contattando un amico non realizza un’operazione tassabile per cui non avrà dovere di emettere fattura o applicare l’IVA, la vendita non è abituale e non ci sono oneri di nessun tipo. Tuttavia, sarebbe opportuna conservare una documentazione (anche semplicemente un accordo tra le parti nella forma della scrittura privata) da esibire all’Agenzia dell’Entrata qualora la vendita avvenisse tramite accrediti in conti correnti e quindi diventi rilevante la provenienza di quel denaro poiché rientrerebbe in ipotesi di tassazione.
Quand’è che si configura allora un’attività commerciale?
Ci è utile fare riferimento alla nozione di imprenditore commerciale postulata all’art. 2082 c.c. secondo cui: “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Sarà tale, pertanto, chi esercita un’attività che comporti lo svolgimento di atti economici supplementari e correlati a questa anche se concernenti un solo affare così come evidenziato nella risoluzione dell’Agenzia dell’Entrate n. 21/E/2004[7] del 01.03.2004 e allo stesso tempo colui che contestualmente si avvalga del lavoro altrui o di specifici strumenti.
2.2 L’attività commerciale occasionale
A questo punto è semplice intuire come si venga a creare la seconda ipotesi di vendita, quella che si configura come un’attività commerciale occasionale che non avviene sistematicamente ma che implica un’organizzazione ben strutturata: è il caso di chi si occupa della gestione dei siti di reselling in contemporanea al proprio stabile lavoro. Il privato in questione per essere in regola con il nostro Fisco dovrà indicare nella dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta durante il quale è avvenuta la cessione quanto abbia ricavato dalla vendita con la specifica delle spese accessorie (ad esempio quelle di spedizione o packaging) per cui i ricavi saranno tassati al netto delle spese. Questa tipologia di redditi rientra in quella di redditi diversi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente così come previsto dall’art 67 TUIR[8]. Ad essere tassata sarà l’Irpef [9]mentre non si applicheranno né Irap[10] né Iva[11]. Anche in questo caso è utile munirsi di documentazione d’appoggio per eventuali controlli fiscali.
2.3 L’attività commerciale abituale ed il regime del margine
L’ultima ipotesi di attività commerciale del settore è quella abituale che consta dello svolgimento della stessa in modo totalmente professionale e organizzato in modo sistematico. Questa non si limita alla vendita online di pochi pezzi di beni usati ma viene svolta costantemente da un soggetto che si pone magari come intermediario acquistando e rivendendo a soggetti terzi dapprima interessati all’acquisto. Tale tipologia di attività viene tassata ai fini Irpef ed Irap ed inoltre necessiterà dell’applicazione dell’Iva dovendo emettere di conseguenza ricevute e fatture dovute. Da qui scaturirà l’obbligo della tenuta dei libri e registri contabili nonché tutta la documentazione relativa ai corrispettivi di vendita[12].
E’ importante sottolineare che le vendite second hand rientrano in particolare regime Iva definito “regime del margine” rivolto a chi effettua attività di commercio al dettaglio o all’ingrosso, va applicato solo sulla differenza tra quanto percepito e il valore di acquisto del bene. Disciplinato agli art. 36 ss. del D.L. n 41/1995, tale strategia nasce per evitare i fenomeni di doppia imposizione per quei beni che una volta usciti dal circuito commerciale vengono ceduti ad un terzo soggetto passivo per la successiva rivendita facendo sì che vi sia nuovamente imposizione per il prezzo di vendita praticato da quest’ultimo[13].
[1] Così come riportato dalle ultime ricerche della società Schibsted con l’Istituto Svedese di Ricerca Ambientale
[2] “Second hand effect”, definizione precedentemente data da www.ilcorrieredellasicurezza.it, online magazine
[3] Ultima analisi dell’osservatorio “Second hand Economy”
[4] 7° report True luxury global consumer insights di Altagamma-Bcg
[5] S. Schirinzi, Perché l’usato è diventato di lusso, Studio Industry, magazine online, 5 novembre 2018
[6] Studio legale Martinasso&Valente “Vendita usato: il parere del fisco” su Laleggepertutti.it, magazine online
[7] Per una consapevole lettura si legga
[8] Per il privato che svolge questo tipo di transazioni è possibile anche rilasciare una vera e propria ricevuta attestante quanto ricevuto ed entità del bene in duplice copia. Accanto alle generalità dell’acquirente sarò apposta soltanto la seguente dicitura” Corrispettivo relativo a cessione di beni compiuta quale attività commerciale occasionale di cui all’art. DPR 917/86”. Qualora l’importo sia superiore a 77,47 euro bisognerà anche apporre sulla ricevuta una marca da bollo del valore di 2 euro.
[9] Imposta sul reddito delle persone fisiche
[10] Imposta regionale sulle attività produttive
[11] Imposta sul valore aggiunto
[12] Dirittoefisco, magazine online
[13] Fiscomania.com , regime del margine per la vendita di beni usati, magazine online, 20 luglio 2020
Per ulteriori approfondimenti si legga:
Palazzetti, The impact of Covid-19 on the Bangladeshi garment sector, Ius in itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/the-impact-of-covid-19-on-the-bangladeshi-garment-sector-27370