Street Art e anonimato: il caso Banksy, per l’EUIPO non c’è tutela
Introduzione
In questa sede, affronteremo una recente controversia avente come protagonista l’artista inglese Banksy e la sua opera di street art “Il lanciatore di fiori”. Oggetto della questione è la posizione dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), in materia di diritto d’autore e anonimato. Difatti, quest’ultimo ha dichiarato con fermezza che la registrazione come marchio di una delle opere d’arte più emblematiche dell’artista non possa essere considerata come valida perché compiuta in malafede[1].
Chi è Banksy?
Difficile dirlo con certezza. Banksy è senza ombra di dubbio uno degli artisti emblematici del Ventunesimo secolo, le sue opere sono discusse, dirette e anticonvenzionali. Ma quest’ultime non sono le sole ad essere dibattute, anche il suo desiderio di restare anonimo è stato oggetto di controversie e pareri contrastanti, suscitando non poche dispute ed incertezze, anche da un punto di vista di tutela della proprietà intellettuale.
Le sue opere di street art sono associate ad una identità sconosciuta, celata agli occhi di chi le osserva, ma fortemente originali e contraddistinte da un modus operandi unico. L’artista offre opere d’arte apprezzabili da cittadini di Paesi e continenti diversi, agendo nell’ombra e con imprevedibilità, abbellendo muri di città come Bristol, Venezia, Londra, Parigi e Birmingham.
“Banksy è eclettico, diretto e la sua identità celata ed avvolta dal mistero ha senza ombra di dubbio contribuito ad incrementare la sua fama”[2].
Il caso
La Pest Control Office Ltd.[3], società di diritto istituita da Banksy per autenticare le sue opere, nasce con l’obiettivo di tutelare i prodotti artistici a maggior rischio di falsificazione. I meccanismi insiti in questa realtà sono stati affrontati da parte dell’autore Will Ellsworth-Jones nel suo libro Banksy: The Man Behind the Wall[4]. Agli inizi della sua carriera, le opere dell’artista venivano vendute con facilità, trattandosi soprattutto di riproduzioni di graffiti, i falsari hanno visto nel suo anonimato un’enorme opportunità.
Nel 2014, Pest Control Office Ltd ottenne la registrazione del marchio figurativo “Il lanciatore di fiori” (domanda n. 12575155) rappresentato come Marchio dell’Unione Europea (d’ora in pio “MUE”), proprio in relazione ai prodotti e servizi coperti da MUE nelle classi 2, 9, 16, 18, 19, 24, 25, 27, 28, 41, e 42 della Classificazione di Nizza[5]. Cinque anni dopo, l’opera di Banksy divenne oggetto di un’intensa battaglia legale, promossa davanti ai giudici dell’Unione Europea. In concreto, la Full Colour Black[6], un’azienda del North Yorkshire produttrice di biglietti d’auguri ispirati all’arte urbana, chiese di ottenere una dichiarazione di nullità in relazione a tutti i prodotti e servizi coperti dal suddetto MUE, per registrazione in malafede ai sensi dell’art. 7, paragrafo 1, lettera b) e l’art. 59, paragrafo 1, lettera a) e b), RMUE [7].
Il concetto di malafede ex art. 59 (1) (b) RMUE
L’articolo 59 cita rubricato “Motivi di nullità assoluta” cita[8]:
- Su domanda presentata all’Ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, il marchio UE è dichiarato nullo allorché;
- è stato registrato in contrasto con le disposizioni dell’art. 7;
- al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede.
- Il marchio Ue, registrato in contrasto con le disposizioni dell’art. 7, paragrafo 1, lettere b), c) e d), non può essere dichiarato nullo se, per l’uso che ne è stato fatto, dopo la registrazione ha acquisito carattere distintivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato.
- Se il motivo di nullità sussiste solo per una parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio UE è registrato, la nullità del marchio può essere dichiarata soltanto per i prodotti o servizi di cui trattasi.
La malafede sussiste quando il titolare del marchio dimostri di non aver interesse ad utilizzare un marchio, ovvero di impegnarsi in modo equo nella concorrenza, dunque con l’obiettivo di ledere interessi terzi. Ergo, l’utilizzo esclusivo del marchio, viene impiegato per scopi differenti da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio dell’Unione Europea. L’avvocato Sharpston ha proposto di definirlo come un “comportamento che si discosta dai principi accettati e dai comportamenti etici, ma altresì contrario a pratiche commerciali corrette” [9].
L’art. 59, paragrafo 1, lettera b), RMUE, soddisfa l’obiettivo di interesse generale di prevenire una registrazione abusiva del marchio, favorendo dunque pratiche commerciali oneste e corrette. La malafede così delineata emerge quando il titolare del MUE risulti di non aver mai avuto l’intenzione di usare il marchio in relazione ai prodotti e ai servizi coperti dalla disciplina europea, con l’intenzione di minare interessi terzi.
Le argomentazioni delle Parti
Come abbiamo avuto modo di introdurre sommariamente, secondo l’azienda ricorrente, il titolare del marchio non avrebbe concretamente utilizzato il segno come marchio distintivo, ma la considerazione del medesimo avveniva sotto una prospettiva artistica, piuttosto che commerciale. La Full Colour Black, sulla base di convinzioni alquanto tenaci, sostiene che l’artista Banksy avesse come intenzione quella di raggiare agevolmente le normative, desideroso di monopolizzare questa ed altre immagini per un periodo indefinito contrariamente ai principi del diritto d’autore[10].
Come spiegato, in un’intervista alla BBC, dall’avvocato Aaron Wood che rappresenta la Full Colour Black: “Il problema di Banksy sta nel fatto che per far valere il suo diritto d’autore dovrebbe uscire dall’ombra. Dovrebbe uscire allo scoperto e dire ‘eccomi, sono io che ho creato l’opera’. E per farlo perderebbe il suo anonimato. Quindi non lo farà”. Sulla questione del marchio, Wood dice che “chiunque può registrarne uno, così l’azienda di Banksy ha registrato il marchio della sua opera. Un marchio può durare in eterno, è un monopolio perpetuo. Invece il diritto d’autore dura solo un certo periodo di tempo e per sfruttarlo Banksy dovrebbe uscire dall’anonimato, mentre affidandosi al marchio può rimanere anonimo e utilizzarlo anche più a lungo. Ma secondo noi questo non è il modo corretto di affrontare la questione” [11].
A supporto di questa tesi, la ricorrente ha sostenuto che l’opera oggetto della registrazione sia un’opera di street art collocata in un luogo pubblico, dunque fotografabile liberamente da soggetti terzi. La Full Colour Black ha ricordato inoltre che lo stesso Banksy sembrava piuttosto favorevole alla diffusione del suo lavoro, dal momento che lo stesso forniva versioni scaricabili delle sue opere sul suo sito web.
La Full Colour Black ha ricordato inoltre che lo stesso Banksy sembrava piuttosto favorevole alla diffusione del suo lavoro, pertanto fornì versioni scaricabili delle sue opere sul suo sito web. Ed ancora, nel libro “Wall and Piece”[12] l’artista affermava apertamente “il copyright è per perdenti”. Ebbene, per Banksy il pubblico sembrava risultare libero moralmente e legalmente di produrre e modificare qualsivoglia opera protetta da copyright, essendo pertanto consapevole di come le sue stesse creazioni siano estremamente fotografate e riprodotte da terzi.
A sua volta, l’artista ha sostenuto una tesi che andasse a scongiurare la registrazione in malafede, contestando in primo luogo rilevanza delle prove relative alla sussistenza della malafede, le quali riguardavano momenti antecedenti e/o successivi al deposito della domanda, dove ai sensi dell’art. 59(1)(b) del Regolamento, si richiede la prova della sussistenza della malafede al momento esatto del deposito della domanda di registrazione. Contrariamente alle affermazioni di Parte attrice, per Banksy le prove fornite non dimostrano un esplicito consenso dell’artista per il libero utilizzo del diritto d’autore, negando altresì che l’accesso da parte del pubblico ad un segno e la sua successiva ampia diffusione, non rilevano come ostacolo per la registrazione.
Per il convenuto, risulta chiaramente naturale e giustificata la volontà di un individuo/società, di proteggere un segno come marchio per impedire che soggetti terzi commettano violazioni senza impedimenti, sfruttando scappatoie legali.
La decisione EUIPO n. 33843 C del 14 settembre 2020
Avallando le argomentazioni svolte da parte degli avvocati della Full Colour Black, l’EUIPO accogliendo la domanda di nullità del marchio, osservando che seppur in assenza di una definizione legale di “malafede”, dichiarava il marchio in questione invalido ai sensi dell’art. 59 (1)(b). Inoltre, l’Ufficio sottolineava come quest’ultima sussistesse anche qualora la domanda fosse stata proposta per scopi altri, quale l’obiettivo di scongiurare pratiche sleali, ovvero con l’intenzione di ottenere una mera protezione e di conseguenza un diritto esclusivo per funzione diverse da quelle tipiche di un marchio.
In particolare, rimanendo anonimo, dunque, per l’EUIPO lo street artist non può essere identificato come il chiaro proprietario di tali opere. L’anonimato dell’artista, ha ampliato il concetto di “malafede strumentale” nella registrazione di un marchio, ed inoltre, gli esaminatori hanno colto l’occasione per ribadire che: seppur sormontino l’ostacolo dell’anonimato, le opere di street art non sono tutelate dal diritto d’autore.
La linea seguita dall’Ufficio era chiara: “Gli esaminatori hanno infatti stabilito che in questo caso la nullità del marchio è da considerarsi ab origine, in quanto Banksy non ha mai utilizzato la propria immagine per identificare la paternità delle proprie opere. Da tale pronuncia ne consegue, come logico corollario, che qualora l’autore di un’opera non utilizzi la propria immagine rimanendo anonimo non può essere in grado di dimostrare giuridicamente la paternità dell’opera stessa e di conseguenza il marchio a lui riconducibile deve essere dichiarato nullo”. Riassumendo, Banksy non può rivendicare la paternità dell’opera, dunque non ha la facoltà di essere riconosciuto come il legittimo autore dell’opera, poiché la sua identità “mascherata” rende difficile l’attribuzione di diritti d’autore su un semplice murale.
L’EUIPO ha pertanto precisato che le opere di street art, “le quali non vengano eseguite con l’espressa autorizzazione del proprietario del bene su cui sono realizzate, costituiscono atto criminale e, in tale misura, nessun diritto d’autore potrebbe derivare da un’opera del genere (o si potrebbe sostenere che il diritto d’autore sia stato donato al proprietario del supporto dall’artista). Inoltre, le opere di street art vengono normalmente realizzate in luoghi pubblici affinché tutti possano vederle e fotografarle, il che potrebbe anche “annullare” qualsiasi diritto d’autore, anche se tale circostanza fosse espressamente negata dal titolare dei diritti”.
Prospettive italiane
Ci sono diversi aspetti che emergono. In Italia, proprio la questione della titolarità del diritto morale d’autore (ex Titolo I, Capo III, Sezione II della Legge sul diritto d’autore del 22 aprile 1941, n. 633 – artt. 20-24 [13]) considerato come diritto della personalità composto da una serie di facoltà a tutela esclusiva della personalità dell’autore, nel caso di opere anonime, impone una lettura diversa dalla prospettiva europea che tratteremo in seguito. Infatti, la peculiarità del diritto di creazione dell’opera intellettuale – il legame di paternità intellettuale tra artista ed opera – rende possibile l’attribuzione del diritto morale anche nel caso dell’anonimato. Il diritto di cui si tratta è riconosciuto dalla legge anche nel caso di anonimato/pseudonimo, rendendo possibile una rivendicazione di paternità da parte dell’autore in qualsiasi momento.
Nel 2019, in merito alla relazione tra diritto morale d’autore ed anonimato, la Suprema Corte con sentenza n. 18220 del 5 luglio 2019[14], ha stabilito che il diritto a veder riconosciuta la paternità dell’opera viene leso laddove manchi anche il solo riconoscimento di tale paternità, indipendentemente dall’attribuzione dell’opera ad altri. La Corte di Cassazione ha quindi affermato che il diritto morale d’autore, da intendersi come autonomo ed indipendente rispetto al diritto di utilizzazione economica dell’opera, va interpretato nel senso che il diritto di rivendicare la paternità dell’opera consiste non soltanto in quello di impedire l’altrui abusiva auto o etero attribuzione di paternità, ma anche nel diritto di essere riconosciuto come l’autore dell’opera, indipendentemente dalla parallela, ma pur solo eventuale, attribuzione ad altri.
Il concetto della registrazione del marchio in malafede di cui all’art. 19 co. 2 D.Lgs 30/2005 [15], viene sottoposto ad esame anche dal Tribunale di Milano (Sezione specializzata in materia di impresa) grazie alla sentenza del 14 luglio 2014 (R.G. n. 43968/11). La norma afferma: “non può ottenere una registrazione per marchio d’impresa chi abbia fatto la domanda in mala fede”; in conformità con essa, l’art. 25 co. 1 b) CPI prevede che il marchio registrato in mala fede sia nullo.
Il Tribunale di Milano riporta che “l’ipotesi di registrazione in malafede, contemplata dall’art.19 C.P.I., è un rimedio che tutela la legittima aspettativa del soggetto rispetto ad un determinato marchio, pregiudicata dalla più tempestiva registrazione del medesimo segno compiuta da altro soggetto (consapevole delle intenzioni del primo) che agisca allo scopo proprio di ostacolare il progetto del concorrente”[16]. In sintesi, anche nel caso di specie il Tribunale dichiara la nullità dei marchi registrati dall’agenzia convenuta, per registrazione in mala fede, inibendo l’agenzia dell’utilizzo di questi.
Conclusione
La posizione dell’EUIPO e quindi dell’Unione Europea è chiara: se un artista resta anonimo, non è identificabile come proprietario di un’opera. Per il momento, all’artista non resterebbe che perdere l’anonimato come unica e possibile scelta in vista di una tutela del suo diritto d’autore.
“È chiaro che è necessario operare un bilanciamento tra le categorie di diritti d’autore e quelle del diritto all’anonimato, è certamente difficile conciliare il diritto all’anonimato con la pretesa di rivendicare il diritto d’autore”, così recita l’avvocato F. Ferrari, docente dell’Università dell’Insubria.
Quello che possiamo dire ora è che Banksy ha scelto di rimanere anonimo e “di dipingere graffiti sulle proprietà di altre persone senza il loro permesso, piuttosto che dipingerli su tele o su sue proprietà”. Come sottolinea la decisione in esame: “l’artista ha anche scelto di essere molto esplicito riguardo al suo disprezzo per i diritti di proprietà intellettuale”.
Dunque, staremo a vedere se in futuro Banksy deciderà di mantenere il suo anonimato, anche a discapito della tutela delle proprie opere, o se, invece, riuscirà a trovare un compromesso con la disciplina del diritto d’autore.
[1] Decisione EUIPO n. 33843 C 14/09/2020, disponibile qui.
[2] D. Delfino, Banksy. Essere o non essere, questo è il problema! La doppia faccia dell’anonimato, 19 Novembre 2020, disponibile qui: https://www.filodiritto.com/banksy-essere-o-non-essere-questo-e-il-problema-la-doppia-faccia-dellanonimato
[3] Sito web di riferimento per consultazioni https://pestcontroloffice.com
[4] W. Ellsworth-Jones, Banksy: The Man Behind the Wall, St. Martins Pr, Reissue edizione 12 Febbraio 2013, disponibile qui https://www.amazon.it/Banksy-Behind-Wall-Will-Ellsworth-jones/dp/1250025737
[5] Classificazione di Nizza
[6] Sito web di Full Colour Black https://www.fullcolourblack.com
[7] Regolamento UE 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione europea https://www.marchiedisegni.eu/wp-content/uploads/2017/07/nuovo-regolamento-marchio-ue.pdf
[8] REGULATION (EU) 2017/1001 on the European Union trade mark of 14 June 2017art. 59 disponibile qui https://ipright.eu/trademark-regulation/en/Article-59
[9] Conclusioni dell’avvocato generale Sharpston sul concetto di malafede- causa Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, Goldhase, C‑ 529/07, EU:C:2009:148, par. 35, 36 e 57, decisione disponibile qui http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=74488&doclang=en
[10] E. Rosati, Il copyright è per perdenti, articolo di Il IPKat disponibile qui https://ipkitten.blogspot.com/2020/09/copyright-is-for-losers-and-so-are.html
[11] Articolo di Finestre sull’Arte, “Banksy perde una battaglia legale sul marchio: l’artista avrebbe “agito in mala fede””, Settembre 2020, disponibile qui https://www.finestresullarte.info/arte-e-artisti/banksy-perde-battaglia-legale-sul-marchio
[12] Banksy, Wall and Piece, L’Ippocampo, 2012, disponible qui: https://www.ippocampoedizioni.it/libro/9788896968604
[13] Legge n. 633, 22 Aprile 1941, disponibile qui https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1941/07/16/041U0633/sg
[14] Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 18220, 5 luglio 2019 https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-18220-del-05-07-2019
[15] Codice della Proprietà Industriale https://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/testi/05030dl.htm
[16] E. Martini, Il Tribunale di Milano sulla registrazione del marchio in malafede, Lexology, 30 luglio 2014 https://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=ff1a1b6d-4d12-468f-8bb7-ad59b0b0d912
Elena Pavan è una studentessa italo-francese di giurisprudenza presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. I suoi interessi vertono soprattutto intorno alla Proprietà Intellettuale, il Diritto d’Autore nel campo della moda e dell’arte, e il diritto Commerciale e Societario. Ha completato il suo percorso educativo con un Corso di Alta Formazione in Fashion Law presso l’Alta Scuola Federico Stella. Ha lavorato a Bordeaux per una società immobiliare, percorso lavorativo che l’ha portata ad integrare la CCI France-Italie a Milano. È membro di Elsa Italy, un’associazione di studenti di giurisprudenza, e membro dell’Istituto Francese a Milano. Ha svolto attività di volontariato presso l’Humanitas Hospital di Milano, l’ONU online e il Fondo Ambiente Italiano. Attualmente è consulente legale di Mondo Internazionale, un’associazione senza scopo di lucro con il focus di valorizzare il capitale umano dei giovani, e consulente per Taras Consulting, società che si occupa di internazionalizzazione d’impresa.
Collabora con Ius in Itinere per le aree “Fashion Law” ed “IP & IT”.